Prologo

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Qualcuno si sarà mai chiesto se tutta la sua vita, tutto ciò che sapeva di sé stesso, fosse reale?
Ci sarà qualcuno, oltre a me, che ha vissuto nella menzogna, qualcuno che ha convissuto con dei ricordi non reali, dove la maggior parte degli stessi, erano anche scomparsi.
29 maggio 2002, il giorno in cui io sono nato.
Mi chiamo Gabriel Bonzanni, ho 22 anni e sono un orfano, nato in Italia e cresciuto in Giappone.
Ho passato circa 2 anni della mia vita in un orfanotrofio italiano, per essere precisi, da quando avevo 7 anni fino al mio nono compleanno, quando una famiglia giapponese, decise di adottarmi per poi portarmi in Giappone, nel Kanto.
Ho sempre vissuto con la consapevolezza, che i miei veri genitori fossero morti in un incidente stradale, insieme alla loro figlia primogenita, mia sorella maggiore. Ho scoperto solo qualche anno fa, che tutto quello che ricordavo della mia famiglia, fosse solo una bugia.

C'era una cosa che mi ero portato con me dall'italia, il mio violino. Ce l'avevo già da prima ancora di essermi trasferito in un orfanotrofio, ma non ricordavo né chi mi insegnò a suonarlo né come l'ottenni. Tutti i giorni passavo le ore suonando il violino in orfanotrofio, ignorando tutto e tutti. Non volevo compagnia, non volevo amici; volevo semplicemente rimanere da solo, senza nessuno con cui parlare o qualcuno di cui mi sarei dovuto preoccupare.

Trasferirmi in Giappone fu abbastanza semplice, anche se non conoscevo la lingua e le loro usanze, i miei genitori adottivi sapevano un po' l'italiano, quindi non ci volle molto ad insegnarmi la loro lingua e a farmi abituare alla nuova vita.

Già dai primi mesi che ho trascorso nella nuova casa, in Giappone, ho iniziato a mangiare cibo sano e dopo qualche anno iniziai a usare l'attrezzatura da palestra del mio papà adottivo. Non mi è mai interessato apparire bello, però ci tenevo alla mia forma fisica. Per quanto riguarda il mio modo di vestire, mi bastava solo essere comodo e non avere freddo d'inverno. Ho sempre odiato i miei capelli rossi, volevo averli di un altro colore, ad esempio il nero, oltretutto non li curavo neanche, perciò erano sempre spettinati. L'unica cosa che ho sempre adorato di me, sono i miei occhi, non ho mai capito il motivo e, oltre a ciò, ho sempre pensato che mi sarebbero piaciuti ancor di più, se fossero stati azzurri.

La casa in cui iniziai ad abitare era bellissima, aveva tre piani, un giardino spazioso ed era in una zona molto tranquilla. Mi diedero, già dal primo giorno, una cameretta tutta per me e mi fecero scegliere i mobili da metterci dentro. Pensai subito che la mia nuova famiglia fosse benestante, oltretutto avevano anche in progetto di mettere una piscina interrata in giardino.

La mia famiglia adottiva è composta dai due genitori, la figlia minore, chiamata Akane, che ha 3 anni in meno di me, infine la figlia maggiore, che si chiama Mizuki e ha 2 anni in meno di me.
I miei genitori adottivi sono sempre stati molto gentili fin dal primo giorno, però capitava molto spesso che dovevano fare dei lunghi viaggi di lavoro, anche all'estero, perché erano dei famosi architetti, infatti quando mi adottarono, erano in Italia per uno dei loro viaggi di lavoro, mentre le mie due sorellastre erano rimaste in Giappone, dalla nonna.
La sorella più piccola aveva dei lunghi capelli rossi, il colore era simile al mio, un poco più scuri forse. È sempre stata una ragazza parecchio vivace e nel tempo libero adorava disegnare.
La sorella più grande, invece, è sempre stata più tranquilla, ma le piaceva molto scherzare. A differenza di Akane lei aveva i capelli neri e molte volte portava degli occhiali per la vista.
Akane e Mizuki le vidi, per la prima volta, solo dopo una settimana dal mio trasferimento in Giappone.
Mi ricordo che Akane si avvicinò a me e disse una frase a me incomprensibile a quei tempi, dato che non conoscevo la lingua, ma dopo aver imparato il giapponese, ripensando a quella frase, mi accorsi che fece semplicemente un complimento rivolto ai miei capelli.
Disse che le piaceva il colore dei miei capelli, perché le ricordava molto il suo.

Mi capitava spesso di iniziare a suonare il violino quando mi annoiavo e le mie sorelle mi guardavano di nascosto, perché in realtà loro volevano giocare insieme a me, mentre a non me ne importava nulla di giocare con loro.
Ammetto che mi dava fastidio essere spiato mentre suonavo, ma non ho mai voluto dirglielo, per non fare preoccupare ancor di più nostra madre.

GENJITSU- La realtà in cui sono cresciuto è una bugia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora