1. Caffè e Capelli Rosa.

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Aprii lentamente gli occhi, me ne stavo rannicchiata nel letto, incapace di alzarmi o di intendere alcunché, desiderosa di rimanere a poltrire per tutto il giorno.

Era una mattinata di metà Novembre come tante altre, sentivo la pioggia che picchiettava insistente sui vetri della finestra, la stanza era immersa nell'oscurità e non riuscivo a distinguere nulla ad un palmo dal mio naso.

Mi stropicciai le palpebre, cercando di soffocare uno sbadiglio, mentre un brivido di freddo mi percorse il corpo, così in un gesto automatico mi strinsi addosso il pesante piumone nel quale ero avvolta, beandomi per qualche minuto di quell'improvvisa sensazione di calore.

Un rumore molesto, proveniente dal comodino al mio fianco, iniziò a distruggere quell'idilliaca atmosfera. Infastidita, allungai di malavoglia il braccio e tastai la superficie di legno, fino a che la mia mano non trovò l'oggetto incriminato.

Premetti il dito sul display del mio cellulare, l'improvviso fascio di luce quasi mi accecò, facendomi stringere gli occhi in due fessure.

Una volta recuperata parte della vista, osservai distrattamente le notifiche apparse, c'erano sei chiamate perse da Levy.

Ma che vuole a quest'ora?!

Alzai lo sguardo sui piccoli numeretti in alto a sinistra e spalancai gli occhi di scatto, erano le nove meno venti, ed ero in super ritardo.

Mi tolsi la coperta di dosso in un gesto secco, scendendo dal letto in fretta e furia. A causa di tutto quel buio non mi accorsi dello zaino buttato sul pavimento, inciampai e caddi a faccia in giù sul tappeto come un sacco di patate.

"Cazzo!" Inveii con rabbia rialzandomi.

Alle nove avevo lezione di letteratura all'università e non sarei mai arrivata in tempo.

Mi diressi in bagno come una furia, mi lavai la faccia con l'acqua gelida e cercai di spazzolarmi i lunghi capelli biondi, che durante la notte dovevano aver preso vita propria, visto quanto erano aggrovigliati.

Frustrata, ci rinunciai e me li legai alla bell'e meglio in un orribile chignon disordinato.

Una volta tornata in camera, mi separai di malavoglia dal mio amato pigiama rosa con le stelline; sarei uscita volentieri con quello indosso, ma avevo ancora un minimo di senso del pudore.

Afferrai un paio di jeans scoloriti, un maglioncino nero, ripescato dalla montagna di vestiti sparsi sulla sedia della mia scrivania, e le mie inseparabili scarpe da ginnastica, infilandomi tutto alla velocità della luce.

Uscii di casa senza neanche guardarmi allo specchio, imbacuccata come se la mia meta fosse stata il Polo Nord.

Correvo affannata già da più di dieci minuti, ero quasi arrivata al Campus, avevo un bicchiere in una mano, lo zaino su una spalla che rischiava di scivolarmi da un momento all'altro e come se non bastasse, dal cielo cadeva una fastidiosa pioggerellina che si insinuava fin dentro le ossa.

Mi maledii mentalmente per aver scelto una casa così distante, l'affitto aveva un prezzo stracciato rispetto a quelli che solitamente si trovavano a Magnolia, ma non avevo minimamente tenuto conto della mia innata capacità di arrivare sempre in ritardo.

In principio mi dissi che quella mattinata non sarebbe potuta andare peggio, ma ovviamente mi sbagliavo. Poteva andare peggio eccome.

Una persona mi sbucò davanti all'improvviso, inutile dire che gli finii contro ed il contraccolpo mi fece ruzzolare con il sedere sul marciapiede. Come al rallentatore vidi il mio caffè fare una specie di giravolta innaturale per aria, imbrattandomi la faccia ed i vestiti.

I'm Fired Up, Lucy. (Nalu)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora