L'Assassino

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L'ASSASSINO

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Gerusalemme, 1313
 

C’era una storia strana, che veniva raccontata nelle taverne di Gerusalemme.
Di solito, gli uomini attendevano che calasse l’oscurità e che gli stranieri se ne andassero per poterla narrare. Parlava di una nave da guerra francese e del tesoro che il suo capitano era stato incaricato di difendere a costo della sua stessa vita; un tesoro di dimensioni ridotte, ma prezioso quanto un segreto. Erano tempi difficili. I pirati che vagavano per mare si stavano moltiplicando e gli uomini che potevano dirsi “ricchi” erano sempre meno. Le navi mercantili cercavano nuovi percorsi, stremate dalle razzie e spaventate dalla peste che stava invadendo il mondo che tutti conoscevano. Eppure, per quanto allettante, l’idea di quel tesoro così unico e consistente, anziché fargli venire voglia di inseguirlo, gli metteva una paura dannata.
Hasan si mise a sedere sul letto con un sospiro, lasciandosi alle spalle la sinuosa figura di Fatima. Era stata lei, dopo avergli offerto il proprio corpo all’interno di uno dei tanti bordelli di Gerusalemme, a raccontargli quella storia. Le era stata sufficiente una parola per catturare la sua attenzione e fargli mancare il respiro, anche se poi erano state le sue morbide labbra a restituirglielo.
Un brivido leggero gli increspò la pelle delle braccia nude. I muscoli della schiena si tesero, mentre alla luce delle candele i serpenti che si era fatto tatuare su tutto il lato sinistro del corpo parevano quasi prendere vita e strisciare sulla sua pelle scura, frutto dell’incrocio di due nature diverse. Hasan era un contraddizione vivente, e lo sapeva. Era figlio di uno schiavo e di una donna bianca che non avrebbe mai visto. Era cresciuto da solo, tra i vicoli di pietra di Gerusalemme e le morbide dune del Negev. Era stato molte cose contrastanti nella propria vita: guerriero, ladro, traditore, giustiziere e persino pirata. Aveva seguito molte strade, per terra e per mare, ma non avrebbe mai smesso di avvertire una profonda spaccatura dentro di sé; una ferita destinata a ricordargli per sempre che ciò che doveva fare, non sarebbe mai stato ciò che voleva fare.
Avvertì Fatima muoversi alle sue spalle ed inarcare la schiena per trovare una posizione più comoda. Non si voltò, ma riuscì ugualmente a percepire il calore della candela che le accarezzava la curva piatta del ventre e la carne docile dei seni nudi, tesi e pronti ad essere stretti ancora dalle sue mani. Deciso a non cedere nuovamente alla tentazione si alzò in piedi e si avvicinò all’incenso che stava bruciando sul tavolo accanto al letto. Fatima l’aveva sistemato in una ciotola di legno, così che il suo profumo perdurasse più a lungo all’interno della stanza.
Per un istante l’odore dei fiori di loto lo portò indietro nel tempo, ricordandogli che anche se due anni prima aveva scelto di solcare il mare a bordo di una nave pirata, la sua natura era molto più affine al sangue, che al sale. Strinse i pugni, ma non chiuse gli occhi. Mentre le tende d’organza danzavano leggere, accarezzate dalla brezza della sera, il passato tornò a tormentarlo. Davanti a lui una falce di luna illuminava il deserto del Negev ed oltre ad esso luoghi che conosceva fin troppo bene, destinati a ricordargli sempre che in un tempo non troppo distante era stato anche assassino.

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Fortezza di Alamut, cinque anni prima
 
I piaceri che la vita offriva erano molti. Uno di questi era il giardino che il Vecchio della Montagna concedeva come premio a coloro checredevano. Si trattava di un luogo incantevole, protetto dalle solide pareti di una fortezza inespugnabile, all’interno del quale splendide donne velate accoglievano gli uomini in mezzo a fontane d’acqua e a profumatissimi fiori. Lì, dove i fumi dell’oppio rendevano tutto più leggero, non esisteva un solo istante in cui i liuti e le rababah cessassero di allietare gli spiriti ed i sensi. Si trattava di un giardino magico, più vicino al Paradiso che alla terra; un luogo destinato soltanto ai più fedeli di Allah.
Hasan gettò il capo all’indietro, mentre una splendida odalisca gli spalmava le braccia e le spalle con degli olii profumati. L’odore dell’incenso era così intenso da togliere il respiro e da fargli dimenticare ciascuna delle colpe che gli segnavano il petto. Una per ogni vita che si era ritrovato a strappare; una per ogni scaglia di serpente che si era fatto incidere sulla parte sinistra del viso. Sospirò, mentre accanto a lui Farouq intonava una vecchia nenia.
Anche se era soltanto un ragazzo, quel giorno era stato lui a far calare la lama sull’uomo che il Vecchio della Montagna aveva ordinato loro di uccidere. Potendo scegliere, aveva scartato il veleno ed aveva preferito la scimitarra. Vestito di una tunica bianca come l’innocenza perduta, aveva portato a termine la prova che gli era stata assegnata ed ora era uno di loro: un assassino.
Lungo il viaggio che li aveva condotti oltre il deserto ed al compimento della missione, Hasan lo aveva ammonito a lungo. “Una volta divenuto assassino lo resterai per sempre”, gli aveva detto. Anziché preoccuparsi, Farouq aveva alzato le spalle con la leggerezza che contraddistingueva la sua giovane età ed aveva risposto semplicemente “Inshallah”. Se Dio vuole. La verità, però, era che non sapeva a cosa stava andando incontro.
Entrare a far parte della temuta Setta degli Assassini era qualcosa che ti cambiava per sempre la vita; che ti si radicava dentro e che nemmeno il tempo o la morte avrebbero mai potuto cancellare. Quando eliminavi un uomo per il Vecchio della Montagna non era vendetta; era giustizia. Uccidere non era un obbligo, né un piacere: era un atto di fede. Era l’unico modo che veniva concesso ai vivi per meritarsi un premio dopo la morte. Era la cosa giusta, Hasan lo sapeva. Ciononostante, un dubbio si era insinuato in lui da diverso tempo, avvelenandogli il sangue così come il profumo dell’incenso gli stava intossicando il respiro.
Seppure annebbiato dai fumi dell’oppio e dai piaceri, trovò la forza di voltarsi verso Farouq e di chiedersi quanto a lungo un giovane come lui avrebbe potuto sopportare quella vita di silenzio e obbedienza. Lui sorrideva sereno, ignaro. Cantava, fiducioso del fatto che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto cambiare il proprio destino mille volte ancora. Illuso. Era nel pieno della vita. Aveva i capelli cosparsi d’olio, il gilet aperto in modo da mostrare il torace glabro e gli occhi più neri di tutta la Persia. Non sapeva ancora che il nome che aveva conquistato quel giorno – assassino – gli sarebbe rimasto addosso per sempre, qualsiasi strada avesse scelto da lì in avanti.
Seppure annebbiato dai fumi e stremato dal sangue, Hasan trovò la forza di alzare gli occhi verso il soffitto di roccia che lo separava dal cielo. I campanelli appesi alle caviglie delle odalische condussero la sua mente lontano, anche se prima di assopirsi non poté fare a meno di chiedersi quanto a lungo ancora sarebbe durata tutta quella pace.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 03, 2015 ⏰

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