Capitolo 9

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Il giorno della verifica di David si avvicina, mancano solo due giorni e sia oggi che domani mi ha chiesto di saltare la scuola per studiare tutto il giorno. I suoi genitori sono fuori per lavoro e mi ha invitato a casa sua. Sono emozionata, sarò in casa sola con lui. Ho pensato tanto a quei baci non dati e alle parole che mi ha detto, ma ha ragione lui e l'ultima cosa che vorrei è perderlo, ma cavoli quant'è bello. Devo ammetterlo a volte vorrei baciarlo. Ora però devo concentrarmi sul suo cervello. La filosofia ci aspetta.

Arrivo davanti a casa sua alle nove, mi soffermo a leggere il nome sul campanello "Angeli" dopo aver osservato quella scritta per alcuni secondi prendo coraggio e suono, un piccolo rumore precede l'apertura del cancello. Percorro il piazzale, piastrellato con piccole mattonelle bianche, e arrivo dov'è parcheggiata la moto, passandole davanti ho un brivido. Il ricordo dei nostri viaggi mi produce sensazioni contrastanti, il bisogno di stare con lui si scontra con l'impossibilità di andare oltre. Sta diventando un supplizio, ma non posso farne a meno.
Salgo i gradini e arrivo al portone che è aperto, ma non c'è nessuno ad accogliermi.  Prendo coraggio ed entro.

«David, sono io» dico per avvisare della mia presenza.

«Vieni Lea, sono su. Sali le scale.» sento la sua voce. È al piano di sopra.

Vedo le scale che portano al piano di sopra e le salgo fino a quando trovo un corridoio dove si affacciano alcune porte, tutte chiuse tranne una.

Mi avvicino con passi pesanti e decido che è meglio chiamarlo. Non voglio sorprenderlo in mutande, anche se l'immagine che mi sono visualizzata nella mia testa  non mi è dispiaciuta affatto.

«David?»

«Lea vieni, sono qui.» seguo la voce e arrivo davanti alla porta semiaperta.

Lui è lì dentro, è seduto sul letto con solo i pantaloni addosso, è a torso nudo e scalzo. Noto che ha diversi tatuaggi, su entrambe le braccia e sul petto, non riesco veder cosa rappresentino ma rimango ferma a guardarlo. Mi immagino le mie mani sul suo corpo come quando siamo in moto, ma lui senza maglietta.

«Ehi pazza! Perché rimani li ferma e impalata? Non hai mai visto un uomo a torso nudo?» mi dice lanciandomi una maglietta che era appoggiata sul letto.

«Sì. Certo... ma... forza David vestiti. Dobbiamo studiare.» cerco di portare la conversazione su un terreno neutro. Cavolo quant'e bello... non so se riesco a rimanere concentrata.

Per fortuna ci mette poco a mettersi la maglietta che gli porgo, cercando di non guardarlo troppo, e dopo alcuni minuti siamo seduti sul letto con il libro di filosofia aperto.

«Senti, ma questo ballo... come funziona?» mi chiede.

«In che senso?»

«Nel senso... ci veniamo da soli o dobbiamo invitare qualcuno? Sì... sai come nei film.» mi dice con aria interrogativa.

Ha avuto il mio stesso dubbio.

«Non lo so, non ne abbiamo ancora parlato. Perché hai una bella ragazza da invitare?» gli chiedo con una speranza nel cuore.

«No, solo per curiosità. Sono sicuro che qualcuna che viene con me la trovo.» mi dice con quello sguardo ammaliante che tira fuori spesso. Il bullo torna fuori.

«Ma falla finita!» gli urlo tirandogli addosso un cuscino.

«Cosa?! Vuoi la guerra? Eccoti la guerra» prende il cuscino e si avventa su di me, tenendomi ferma. Non riesco a non ridere, mi fa il solletico sulla pancia e con il cuscino tenta di darmi colpi che non mette mai a segno, perché anche lui ride. Le nostre risate si fondono, sembrano tutt'una. Ho una voglia matta di baciarlo, ma ho paura che se ci provo lui mi ricordi che siamo solo amici, quindi rimango a ridere con lui, ma ogni volta che muovendosi mi arriva il suo odore ho una fitta al cuore.

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