XVI

363 29 0
                                    

Diana si ritrovò a sbattere freneticamente le palpebre sollevando lo sguardo sul capo chino dell'uomo davanti a lei.

Aveva sicuramente sentito male.

-Perdonami. Il mio comportamento di ieri sera è stato irrispettoso e... a dir poco riprovevole.

Non aveva udito male. La giovane abbassò gli occhi sul pavimento con la testa popolata da domande. Perché si stava scusando? Era un principe. Un nobile, un reale. E lei era... solo una schiava.

-Non dovete chiedere il mio perdono, mio signore. Sono una vostra proprietà adesso, avete il diritto legale di disporre di me come meglio desiderate.

A quel punto, dopo le sue brillanti repliche della sera prima, sarebbe già dovuta essere in ginocchio con la frusta a strapparle la pelle della schiena. Era quello il destino di una schiava. Non aveva il diritto di replicare. Non aveva il diritto di dire "No".

Eppure l'aveva fatto.

-No, tu...

Diana osservò con meticolosa attenzione il modo in cui il giovane signore portò l'altra mano sulla sua faccia e prese a strofinarsi viso e occhi, emanando uno sbuffo stanco. La sua voce sembrava ancora più rauca della notte passata. Crepitava nella sua gola come il fuoco in un camino, fiamme gentili che ammantavano i pezzi di legno e dipingevano l'ambiente di un arancio accogliente.

Quando il principe finalmente sollevò il capo, Diana vide per l'ennesima volta la morte nel suo sguardo. Gli occhi scuri come il Tartaro sembravano offuscati da una nebbia diversa da quella che li aveva posseduti la sera prima, mentre la sua pelle pallida era spiegazzata come un lenzuolo usato e recava i segni di un sonno tormentato.

-Tu non sei... una mia proprietà- affermò puntando le oscure pupille nelle sue.

Diana voleva distogliere lo sguardo ma non ci riusciva. Gli occhi del suo interlocutore si erano assottigliati impercettibilmente, rendendo ancora più affilato il loro taglio affusolato e catturandola in una rete ineluttabile.

Strinse involontariamente le mani a pugno. No.

Non doveva fidarsi.

Non poteva fidarsi.

Lo aveva già fatto in passato, aveva già lasciato che il suo cuore si aprisse, che confidasse nella bontà umana. Non avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore.

-Ascoltami: in questa casa non esistono schiavi, non esistono nobili, non esistono intoccabili.

La fiamma sempre più divampante nascosta nella voce del giovane si assottigliò brevemente al calare dell'ultima parola e Diana non poté fare a meno di domandarsi che cosa significasse ciò. Era a conoscenza del sistema di caste esistente in alcune culture orientali e sapeva che gli intoccabili erano il fondo della piramide sociale, una categoria umana relegata all'isolamento a causa di determinati lavori che svolgevano.

C'era un intoccabile in quella casa? E se era così... chi era?

-Ti ho acquistata, questo è vero... ma tu non sei una schiava.

"Non fidarti."

Non doveva. Il discorso del giovane era miele per le orecchie ma Diana ormai sapeva che le parole avevano valore quanto le foglie al vento. Una volta che la corrente le trasportava via, se ne andavano per sempre, senza lasciare alcuna traccia dietro di sé. Chiunque sarebbe stato capace di promettere regni, ricchezze e potenza con la lingua, ma proferire il contrario il giorno seguente. La parola era fugace, senza peso.

-Vi ringrazio per la vostra benevolenza, mio signore.

Diana chinò rigidamente il capo con la schiena dritta come un manico di scopa, mentre si stritolava le mani e stringeva la mandibola per pronunciare quelle parole ossequiose. Aveva già rischiato troppo sputando ad alta voce i suoi pensieri, da quel momento avrebbe dovuto mantenere molta più discrezione.

Il principe del calmo mattino (M.YG)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora