Balla con me.

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La luce filtrava debole attraverso le tende tirate dell’appartamento al secondo piano del 221b di Baker street.
Nonostante fosse ormai mattina inoltrata nessuno si era premurato di aprirle o perlomeno socchiuderle e così sarebbe stato per almeno un’altra ora.
Una musica classica suonava nella stanza, anche se era tenuta al minimo del volume, quasi come se volesse essere nascosta a coloro che non erano presenti nella stanza.
La porta, esattamente come le tende, era stata chiusa appena la signora Hudson era ritornata al piano di sotto dopo aver portato il tè del mattino ai due coinquilini.
I due erano in piedi uno di fronte all’altro che si guardavano, mentre le loro braccia si cingevano una sul corpo e una nella mano dell’altro. Il più alto dei due era sicuramente più armonioso nei movimenti e dettava passo cercando di farsi seguire dal compagno. Aveva uno sguardo severo eppure sotto sotto era divertito dall’impegno che il militare ci stava mettendo. Continuarono a muoversi per la stanza con passi leggeri fino a quando Sherlock si dovette ritrarre guardandosi un piede, alzando un sopracciglio. Era la quarta volta, quella mattina, che John calpestava malamente il piede dell’altro. Quello mormorò uno “scusa” quasi impercettibile per poi tendergli nuovamente il braccio come per richiesta di continuare quella loro lezione.
Ormai, infatti, mancavano solo due giorni al matrimonio tra John e Mary, e l’uomo ci teneva a fare il possibile per fare si che il loro primo ballo da sposati fosse perfetto. Così aveva chiesto a Sherlock una mano, in quanto quest’ultimo aveva una passione smisurata per la danza e la musica. Lui aveva accettato, ma per evitare problemi avevano preso tutte le precauzioni del caso: musica bassa, tende e porta chiuse.
Sherlock prese nuovamente la mano del compagno facendo ripartire da capo la musica e ricominciò a ballare seguito dal suo studente.
Le loro mani erano strette e la mano di John cingeva il fianco asciutto del riccio, essendo più basso il suo sguardo era diretto al suo petto, ma invece di guardare davanti a sé osservava i suoi piedi, per evitare di torturare ancora una volta i piedi dell’amico. Sherlock si fermò nuovamente e John lo guardò sorpreso, non capiva dove avesse sbagliato quella volta.
<Devi guardarmi negli occhi John, non pensare di ballare con Mary fissandole i piedi>. Disse quello con un pizzico di severità nella voce.
John sospirò e annuì, ricominciando a muoversi, questa volta tenendo la testa sollevata verso il viso del detective, che a sua volta lo guardava chinato su di lui, con un leggero sorriso. John continuò a guardarlo, perdendo la cognizione del tempo, perdendosi nell’azzurro calmo dei suoi occhi e in quel leggero sorriso che gli stava donando. Di canto suo Sherlock guardava lo sguardo di John, che cercava di stare il più concentrato possibile guardandolo con il suo solito sguardo interrogativo. I minuti sembravano interminabili e più i due uomini ballavano avvolti da quella atmosfera surreale, nella penombra, più i loro corpi sembravano una cosa sola. La rigidità di John era sparita e ora seguiva alla perfezione i passi dell’altro, i loro respiri si incrociavano e i loro volti si avvicinavano, senza che i loro occhi si staccassero gli uni dagli altri.
Tutto era così perfetto, tutto era così loro, come nulla lo era mai stato. Sherlock non si era mai trovato così tanto in sintonia con un altro essere umano, Sherlock non aveva mai provato quello che provava in quel momento con nessun altro e Sherlock si sentiva un completo idiota per aver buttato via due anni di quelle sensazioni. Si sentiva un idiota perchè ora era lì ad insegnare a John Hamish Watson a fare la cosa che amava di più al mondo, per poterlo fare con la donna che avrebbe sposato da lì a poco. Si sentiva un idiota perchè da quel giorno lui e John non avrebbero mai più ballato e lui non l'avrebbe più guardato in quel modo. Più guardava John più avrebbe voluto voltare lo sguardo, non capiva come quello avesse potuto perdonarlo dopo tutto il dolore che gli aveva causato.
John di canto suo era teso, pensava al matrimonio, pensava a Mary e pensava a Sherlock. Era appena tornato nella sua vita e ora se ne stava andando lui stesso. Quando per due dannatissimi anni aveva sperato, pregato e pianto ogni singolo giorno per lui. Erano passati due anni da quando aveva chiesto quell’ultimo miracolo e ora lui era lì, nella sua stessa stanza e stavano ballando insieme.
Erano entrambi immersi nei loro pensieri, troppo impegnati a seguire quella leggera musica, troppo impegnati a sperare che quel momento non finisse, che non si accorsero che i loro visi erano dannatamente vicini.
<Non sposarti. John non sposarti>. John si fermò all’improvviso e guardò Sherlock senza allontanarsi di un solo millimetro, ma il suo cuore prima perse un battito e poi accellerò, deglutì e aprì leggermente la bocca sorpreso da quella affermazione. E fu in quel momento che Sherlock comprese di non aver solo pensato quelle dannate parole.
<Come hai detto?>. Chiese il militare sorpreso.
<No, John, scusa io non intendevo quello io…> Sherlock aveva tolto il braccio dalla spalla di John e aveva abbassato l’altro che però ancora stringeva la mano del biondo.
L’altro di canto suo continuava a guardarlo senza dire nulla, solo tenendogli la mano, passandogli il pollice sul polso.
<Oh dannazione Sherlock… Non avresti potuto dirlo prima? Perchè hai dovuto aspettare… due giorni prima… io…>
Nessuno dei due si era più mosso, erano in piedi in mezzo alla stanza, la musica che suonava, la penombra dovuta alle tende chiuse e alla luce spenta.
<Non c’è niente da dire>. Sherlock cercò di essere il più convincente possibile in quelle parole. <Non intendevo quello… solo che…>. Per la prima volta nella sua vita non sapeva come completare quella frase. Non riusciva a mentire ancora una volta all’uomo a cui aveva finto la sua morte. All’uomo che amava. All’unico che aveva mai amato.
Passarono secondi o forse minuti interminabili nei quale nessuno disse nulla, poi senza saperne il motivo, senza pensare al matrimonio, senza pensare alle conseguenze del suo gesto, John si alzò in punta di piedi, fino a raggiungere le labbra dell’altro, per unirle alle sue. Sherlock rimase interdetto, non si mosse di un centimetro, poi cinse la vita dell’amico ricambiando quel bacio proibito, John alzò la mano libera e la portò sulla guancia del più alto, con l’altra che ancora stringeva la sua . Non calcolarono quanto era durato quel momento, ma quando si staccarono fu solo perché si potè chiaramente udire la Signora Hudson fare le scale per aprire la porta subito dopo.
Non parlarono più di quello che era successo. Nessuno dei due tirò fuori l’argomento. Non ci furono più baci e due giorni dopo, come era stato deciso, John si sposò con Mary.

Nota dell'autore
so che forse non è il finale che vi aspettavate, ma sinceramente questo il mio Mood degli ultimi giorni: mai na gioia.
Inoltre, avendo raccontato un fatto realmente accaduto (Sherlock ha realmente insegnato a John a ballare) non ho voluto stravolgere completamente la storia, solo aggiungere un pizzico di malinconia agli eventi.
Vi avviso che sto lavorando ad un altro racconto, sempre tema Johnlock, dove il tutto si prospetta lieto fine (è a più capitoli e molto più romanzata).
Detto questo, miei cari amici, vi auguro un buon fine settimana e a presto (spero)
-Jawn

Balla con me ||JohnlockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora