Ubriaco di potere

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Il primo dei tre Doni arrivò in un piccolo villaggio di maghi poco prima della mezzanotte. Che sciocchi che erano stati i suoi fratelli, pensava avvicinandosi al piccolo caseggiato. Su quel ponte, quella sera, avevano avuto l’opportunità di cambiare vita, di cambiare tutto. La stessa Morte si era loro inchinata davanti e lui era stato l’unico ad aver capito come usare quell’inchino a proprio vantaggio. Lo sapevano perfino i bambini più piccoli che la magia non poteva riportare in vita i morti e per questo il primo fratello era convinto che il Dono del secondo fratello fosse una truffa e il Mantello: alla morte si poteva chiedere molto di più di un mantello dell’invisibilità. Erano stati ottusi.

Nel frattempo, il mago era giunto nel centro del villaggio. La Bacchetta pesante nella tasca del mantello. L’unica luce del villaggio usciva da una piccola locanda in fondo alla strada, e fu lì che si recò il primo fratello. Nella locanda ci saranno stati pressappoco una dozzina di maghi e streghe intenti a bere e chiacchierare intorno a dei tavolini malmessi. Il mago si avvicinò al bancone del locandiere e chiese rudemente un bicchiere di whisky incendiario. Se lo scolò velocemente e ne chiese un altro. E un altro ancora. La Bacchetta fremeva sempre di più nella tasca. Era ubriaco. Ubriaco d’alcool. Ubriaco di potere.

Tra un bicchiere e un altro gli giunsero all’orecchio le parole di un giovane mago che si vantava con un gruppetto di attenti ascoltatori delle sue imprese contro draghi e lupi mannari. Era esattamente quello che il primo fratello voleva. Si alzò bruscamente dal bancone scalciando lo sgabello di legno che finì in fondo alla sala e si avvicinò al tavolo del giovane mago. “Va tutto bene?” chiese il mago vedendo l’altro uomo avvicinarsi. “Vi ho sentito parlare delle vostre a dir poco affascinanti imprese tutta la sera e volevo sapere se Voi siete veramente il grande mago che dite di essere o se sono solo parole”. I pochi avventori della locanda ormai erano tutti girati verso i due uomini.

“È pazzo” sussurò qualcuno, “È ubriaco” dissero altri. “Scusatemi ma temo di non capire cosa stiate dicendo” negli occhi del giovane mago c’era un misto di curiosità e paura, “Io vi sfido a duello” ruggì il primo fratello guardandosi intorno per vedere la reazione delle persone a quelle parole; “Accettatte?” il ragazzo ora era in piedi faccia a faccia con il suo sfidante. Rispose con tutta la calma possibile: “Mi dispiace ma credo che stasera io non sia nelle condizioni adatte a un duello: sono alquanto…stanco”. Il primo fratello voltò le spalle al giovane mentre parlava: “Mi sembra strano che un uomo temerario come Voi abbia paura di duellare contro un vecchio ubriacone come me”. Quando si rigirò il giovane aveva fatto esattamente quello che il mago voleva: gli stava puntando la bacchetta contro. “Non ho di certo paura di uno come Voi, tirate fuori la bacchetta”.

I tavoli furono addossati alle pareti per fare spazio ai duellanti, il proprietario della locanda cominciò a porre formule protettive su piatti e bicchieri per difenderli dagli incantesimi. Non era il primo duello nella sua locanda, immaginava come sarebbe andata a finire: uno dei due sarebbe stato schiantato e avrebbe dovuto offrire da bere a tutti i clienti. Sempre la stessa storia. Ma quella volta sarebbe andata diversamente.

I due maghi erano pronti, la Bacchetta di sambuco sfrigolava nella mano del mago più anziano. Il locandiere diede il via e le scintille delle bacchette illuminarono la sala.

Il ragazzo era veloce, questo dovette ammetterlo, ma neanche minimamente potente quanto lui. Dopo un po’ il primo fratello cominciò a stancarsi. Perché il suo sfidante non soccombeva al suo potere? La Morte lo aveva forse ingannato con quel Dono?  A questi pensieri il volto dell’uomo si accese di rabbia. Le parole vennero dettate più dalla Bacchetta che dal cervello. “AVADA KEDAVRA!”. La luce verde riempì la locanda. Nell’udire la maledizione molti fuggirono dalla porta, altri, invece, sfoderarono a loro volta le bacchette.  “Rimettete a posto le bacchette” quando gli occhi del primo fratello si alzarono dal corpo senza vita del ragazzo nel suo sguardo c’era qualcosa di diverso, di malvagio “non vi servirebbero a niente contro di me. Vedete, questa Bacchetta non è come le altre, è un dono, un Dono della Morte. Me l’ha data perché sono riuscito a sconfiggerla e adesso io sono il mago più potente del mondo. Niente e nessuno mi potranno battere”. Detto questo si girò verso il locandiere e puntò la bacchetta “Dammi una delle tue stanze! La più adatta a una persona importante”. Il vecchio mago porse con una mano tremante la chiave al primo fratello senza neanche osar parlare di pagamento.

Quando entrò nella stanza il mago pensò che per essere la più bella della locanda era comunque molto primitiva: un letto con un tavolino e una lampada accanto, nulla di più. Ma a lui sarebbe andata bene, avrebbe dovuto dormire là solo una notte. E così si addormentò: la testa sul cuscino e la Bacchetta vicino a lui.

E in quella camera la stessa notte entrò il ladro, l’assassino. La Bacchetta fu facile da rubare e non appena il ladro la impugnò un brivido gli percorse la schiena. Quando infine la sua lama venne a contatto con il sangue del primo fratello egli provò uno strano senso di godimento che mai avrebbe pensato di associare all’omicidio. Dopo di che sparì.

E fu così che la Morte prese il primo fratello: con l’anima spezzata e ubriaco di potere.

                                                                                                                      

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