1. Anime disperse

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Salvador de Bahia, diciotto anni dopo

Rayanne

Il salotto della Trinidade era la stanza più grande della villa. Arredata con mobili vittoriani e dallo stile retrò, era fonte di attrazione per chi, da fuori, veniva a visitare quei ragazzi con l'intento di portarsene uno a casa. Era raro che qualcuno venisse a guardare i volti di quelle sperdute anime, chiedendosi se tra quegli occhi avrebbe potuto scorgere il richiamo dell'amore farsi vivido ed eterno. Eppure, quando questo avveniva, la prassi da seguire era sempre la stessa. I ragazzi, in fila, tenevano il busto dritto e l'espressione seria. Avevano imparato molto bene a nascondere quel senso di agitazione dovuto, probabilmente, a un prossimo addio non voluto. Era sempre dura sapere di trascorrere anni e anni con una persona per poi sentire la sensazione di non rivederla mai più. Erano disposti tutti in ordine di altezza e età. Il più grande della fila era Paulo, un diciottenne dalla pelle scura e l'uniforme grigia sempre stirata, merito della sua sorella acquisita che si preoccupava di presentarlo sempre al meglio. Non che per lui ci fosse possibilità di essere adottato, comunque. Solitamente, prediligevano sempre i bambini piuttosto che gli adolescenti. Io, accanto a Paulo, osservavo con i miei occhi scuri e curiosi la donna davanti a noi che, camminando a passo di lumaca, cercava di studiare il portamento e i volti di quei ragazzi un tantino impacciati. Mi chiesi da dove provenisse, considerando la pelle talmente chiara da essere facilmente riconducibile a quella di un fantasma. Aveva un portamento sopraffine, camminava con velata eleganza, e dava la sensazione di giudicare attraverso lo sguardo freddo come il colore delle sue iridi. Abbassò leggermente il capo quando si fermò davanti a me, e congiunse le mani sullo stomaco come era solita fare davanti a qualcuno che doveva ritenere superiore. Odiavo essere vista come la ragazza senza nome, mi dava l'idea di essere una persona completamente inesistente davanti agli occhi del mondo. Il mondo. Come se lo avessi esplorato davvero. Non eravamo soliti fare viaggi, naturalmente. Le spese da affrontare erano ingenti e dare corda alle esigenze di quattordici ragazzi non era affatto semplice. A volte capivo Marìa, e ammiravo la sua calma nel dover badare a noi senza stancarsi mai. Osservai sottecchi la donna che si avvicinava a Pedro, il più piccolo dei maschietti. Aveva appena quattro anni ed era di un'intelligenza fuori dal comune. Era bravissimo in matematica, suonava il flauto con una certa maturità ed era curioso riguardo a qualsiasi periodo storico del mondo. In casa lo definivano come il piccolo genietto, forse era quello il motivo per cui la nonna lo scaricò come un pacchetto scassato dopo la morte dei genitori. Purtroppo, in Brasile, c'era ancora una categoria di persone che vedeva l'intelligenza come qualcosa di strano e inconcepibile. Sperai con tutta me stessa che il bambino mantenesse vivo l'interesse della donna. Crescere in una buona famiglia sarebbe stato davvero ottimale per una mente brillante come lui. Ma a volte dimenticavano che Pedro era un bambino e che, ovviamente, reagiva a seconda delle sue simpatie. Era bastata una sola linguaccia e il disappunto della donna per far accrescere nella signorina Gotz un senso di furia. Aveva storto il naso, ringraziato la loro governante e se ne era andata con una smorfia di sdegno sul volto. La signorina Gotz, che era la nostra istitutrice da qualche anno, ordinò rabbiosa ai ragazzi di tornare nella loro stanza, poi mi rivolse uno sguardo gelido e rigoroso mentre tenevo ancora il capo chino verso il pavimento. «Nel mio ufficio, Rayanne! Adesso!» Urlò, camminando furiosa verso la porta in fondo al corridoio e facendo echeggiare il rumore dei suoi tacchetti per la grande sala.

Deglutii, guardando di sfuggita il mio amico Paulo e sorridendo appena per tranquillizzarlo. Marìa e Manuèl erano persone molto buone e gentili, ma lo stesso non si poteva dire della governante Gotz, una donna di sessant'anni tedesca con lo sguardo sempre imbronciato. Era stata lei a educarci, ed era colei che rimaneva a vigilare su noi quando i coniugi Souza si assentavano per lavoro. Percorsi a passi lenti il tragitto che portava all'ufficio della governante, poi aprii la porta in legno e osservai il fisico corpulento della donna con espressione un po' intontita. Non avevo idea di cosa avessi fatto, ero sicura di essere stata impeccabile. La donna si sedette alla sua scrivania, osservandomi attraverso lo sguardo severo e le lenti spesse. Le sue labbra sottili si strinsero, poi fece un profondo respiro. «Ricordi, mia cara, cosa ti ho chiesto stamattina, prima dell'arrivo della signora Furges?» Chiese seria.

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