Fidelity.

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- Fedeltà al proprio signore. – Unì i propri pollici. – Pietà filiale verso i genitori, propri e degli altri. – Unì i propri indici, mentre la candela si affievoliva sotto il suo sguardo, concentrato a osservare la statua senza soffermarsi realmente. Gli occhi di quel viso aureo erano permanenti su di lui, ricadeva uno sguardo austero che iniziava a pesargli sul capo e si era ritrovato in un vortice di vertigine continua. Evitava, quindi, di voltare la propria vista troppo in alto. O forse voleva evitare di guardare direttamente quel viso scolpito?

- Fiducia e fedeltà tra i camerati. – Anche la sua voce, come la fiamma della candela accesa poco prima, iniziava a scivolare via da quel luogo sacro. Nemmeno il tempio avrebbe dovuto percepire quelle parole ripetute per una promessa ingiuriosa. Unì i propri diti medi. Era quasi al termine.

- Mai ritirarsi in battaglia. – Gli anulari si sfiorarono, lasciando così libere le ultime due dita delle sue mani, che ancora non avevano cominciato a tremare. Il dolore alla testa stava diventando più opprimente ad ogni parola. A breve sarebbe caduto a terra, ma non poteva lasciare in sospeso quel giuramento. Ma le ultime parole che avrebbe dovuto pronunciare, di quella cantilena che ripeteva da quando aveva diciotto anni, ora avevano un reale significato. E avrebbe dovuto tradirle. Avrebbe bestemmiato dentro al tempio più sacro del regno di Silla.

- Non uccidere. – Dovette puntare le proprie iridi su quelle dorate della statua di fronte a sè. Quel viso imperturbabile sarebbe durato molto poco, a distanza di ore lo avrebbe ritrovato sempre di fronte a sé, ma colmo di sofferenza e risentimento.

- Non uccidere indiscriminatamente. – Unì i mignoli. Le sue mani furono del tutto unite, così le strinse e incastrò ogni tassello, avvicinando il pugno alle proprie labbra e baciandolo tre volte di fila. Le sue palpebre si abbassarono, mentre captava l'atmosfera del tempio farsi costantemente più freddo. In una folata di vento improvvisa, la luce della piccola candela si spense in una vampata rapida. Quando riaprì gli occhi, la statua era nell'ombra. La candela era spenta.

Il giovane prese tra le proprie mani, ora marchiate di infedeltà, la candela e la propria spada, lasciata a terra, accanto alla statua dorata. Guardò il monarca rappresentato e piegò veloce solo la propria testa, salutando per l'ultima volta quel posto e portando i suoi migliori omaggi alla famiglia reale. La prima volta che aveva posato i propri piedi tra le piastrelle di quel luogo santificato, teneva la mano della persona che era stata poi scolpita al centro di quel rigoglioso giardino. E attendeva con immensa passione di stringere di nuovo la sua mano, l'indomani.

Lasciatosi alle spalle il portone in legno, percorse uno stretto sentiero tra il bosco folto che anticipava la città. Teneva le dita strette nella propria arma, pronto a brandirla non appena qualcuno avesse osato sfiorarlo. Anche se non aveva proprio voglia di macchiare prima del necessario il proprio tesoro, guadagnato dopo così tanti anni di allenamento e pena.

- Hwarang, cosa ci fai nel Labirinto a luna piena inoltrata? – Il ragazzo si voltò e intravide l'uniforme scura del proprio mentore. Si inchinò rapidamente, mostrando la propria candela spenta.

- Rientra immediatamente nelle tue stanze. Se qualcuno ti vedesse, potresti non tornarci più. A nessuno importa più che tu sia il favorito. Forza. Vai. –

Il giovane soldato non osò restare nelle vicinanze ancora oltre. Scomparì dalla vista del comandante e scattò veloce verso i dormitori dei Hwarang, da cui si intravedevano ancora le candele accese in alcune stanze.

Quando rientrò, non andò nella propria stanza, situata in fondo al corridoio, ma scivolò dentro le porte della camerata più ampia, dove vi erano già radunati diversi ragazzi.

- Grazie agli Dei! Sei arrivato. Eravamo sicuri che ti avrebbero beccato. –

- Dovevi andare a pregare proprio stanotte? –

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