Human

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–Vai– disse la guardia di fronte a me. Teneva un mazzo di chiavi in mano, una sigaretta tra i denti e mi dava le spalle. Un'altra guardia, dietro di me, mi spinse fuori dal cancello in malo modo, come un cane bastonato. Io caddi sul marciapiede in strada, strisciando il ginocchio sull'asfalto. Si sbucciò appena a causa dello sfregamento ed il vecchio pantalone già sdrucito di suo si strappò.
–Cerca di non farti più vedere, Chisaki– sputò l'uomo con la sigaretta in bocca, richiuse il cancello e se ne andò col suo collega.
Mi alzai con difficoltà, instabile sulle gambe a causa del mio scarso equilibrio, alzai gli occhi da terra e subito ricaddi all'indietro. Il sole, quel mattino, era molto più accecante di quanto pensassi.

Dopo anni passati rinchiuso tra quelle quattro mura grigie del carcere, rivedere il cielo fu lo spettacolo più bello che potessi immaginare. Restai lì qualche secondo, contemplai quella distesa immensa di azzurro che avevo quasi dimenticato e lasciai che il sole mi scaldasse la pelle. Era così caldo, così piacevole... quel calore mi fece sentire di nuovo felice. Non pulito, ma almeno ero libero.
Respirai a pieni polmoni l'aria della libertà. Sapeva di fumi di scarico delle automobili, ma sempre meglio dell'aria viziata della cella.

Mi rialzai ancora reggendomi con il cancello e  abbandonato quel luogo alle mie spalle, iniziai a vagare senza meta per le strade della città. Probabilmente avrei fatto il senzatetto per un po', dato che casa mia era stata letteralmente distrutta e posta sotto sequestro diversi anni prima. Chissà che fine aveva fatto il capo... probabilmente ormai era morto. Sospirai. Tutto ciò che avevo fatto a quella bambina non era servito a nulla, oltre che rendermi un essere indegno. Quando fui sbattuto in cella il mio primo pensiero fu di ritrovarla e farla pagare sia a lei che a quel ragazzino dai capelli verdi, ma dopo anni di silenzio e solitudine avevo capito che, al massimo, potevo pensare di ritrovare quella ragazza solo per chinare la testa davanti a lei e darle la soddisfazione di prendermi a calci in faccia. Sarebbe stato giusto. Forse, se mi avesse fatto male, il passato avrebbe ferito un po' meno entrambi.
Avrebbe fatto bene, me lo meritavo. Meritavo di peggio, ma non scendiamo nei dettagli.

In prigione, un uomo, se ancora così mi possiamo chiamare, ha tanto tempo per rimuginare sui propri errori.
Io l'avevo fatto, avevo parlato con me stesso, avevo straziato la mia coscienza e la mia vicina di cella e ne ero uscito distrutto.
Ho fatto cose orribili e l'ho capito quando era già troppo tardi; ad oggi mi faccio schifo da solo. Vorrei solo tornare indietro, prendere il me del passato e, dato che gli schiaffi ormai non posso più darli, tirargli una testata. "Non farlo, Kai" gli avrei detto, se avessi potuto. "Salvati finché sei in tempo. Resta umano, Kai".

Camminai per un po' sotto gli sguardi della gente. Qualcuno forse provava pena per me. Per le mie braccia o, per meglio dire, per il vuoto che esse avevano lasciato. Forse qualcuno provava pena anche per i miei occhi lucidi, sebbene avessi solo lacrime di gioia. Come avrei fatto a sopravvivere, senza mani e senza nessuno su cui potessi contare non era un gran problema. Al massimo sarei morto di fame, il che non era poi una così grande perdita per questo mondo.
Un passo dopo l'altro, giunsi fino ad un parchetto soleggiato. Era vecchio ma ben curato; un gruppo di bambini giocava in un angolo attrezzato ed i genitori li controllavano a vista.
Io non mi avvicinai, mantenendo una distanza di almeno qualche centinaio di metri. Non avevo il diritto né la forza di vederli giocare felici, dopo ciò che era successo.
Non avrei rovinato il pomeriggio di quei bimbi con la mia oscura presenza, né gli avrei permesso di vedere il mio volto sfregiato. Era il minimo che potessi fare.
Rimasi per un po' in quel parco, seduto su di una panchina in cemento, finché una ragazza mi lasciò un paio di spiccioli di fianco e mi rivolse un sorriso. –Sembri affamato. Comprati qualcosa.

La guardai dal basso, alzando timidamente lo sguardo per incrociare i suoi occhi.
Aveva un volto molto gentile. I suoi capelli erano dello stesso colore del mare, le iridi color ambra, la pelle chiara come il latte. Aveva le labbra sottili ed un naso dritto, qualche piccola macchia sulle guance, rimasta forse da un'acne adolescenziale, anche se ormai doveva avere venticinque anni o più, ma comunque meno di quanti ne avevo io. Era bassina, nascondeva qualche chilo di troppo dietro una maglietta nera, morbida e larga.
Per gli standard di bellezza della nostra società probabilmente non era niente di speciale, ma ai miei occhi sembrò un piccolo angelo illuminato dal sole.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 22, 2021 ⏰

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