Capitolo 30

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Il fermento, a villa Ramon, era iniziato all'alba di quel giorno. Nulla di nuovo, per Mina, da sempre abituata alle feste organizzate dalla sua famiglia. La serata annuale di beneficenza, poi, era quella a cui i genitori tenevano di più. Ogni anno tutta la Moonlight che contava si riuniva nell'enorme salone della villa per mangiare, bere, parlare di politica e raccogliere fondi. Li faceva sentire così dannatamente utili, dopo un intero anno passato a spendere soldi in frivolezze. Da bambina, Mina amava quella serata. L'avevano cresciuta con l'idea che quella sera, più di qualsiasi altro giorno dell'anno, poteva davvero aiutare qualcuno e l'ingenua bambina dagli occhi azzurri e i capelli di seta ci aveva sempre creduto.

Crescendo, il suo punto di vista era cambiato. Aveva capito che, agli adulti, non serviva una serata per aiutare il prossimo. Che avrebbero potuto farlo giornalmente, se avessero voluto, e che la festa di beneficenza era solo l'ennesima scusa per far baldoria. Non aveva mai protestato, comunque, prendendo, di anno in anno, parte a quella festa senza mai contestarla, se non con Micol tra le quattro mura della sua stanza.

Nei giorni precedenti all'evento aveva provato, per la prima volta, un'agitazione per niente legata al party, a cui ormai era così avvezza da esserne quasi annoiata. Da quando aveva invitato Colin, infatti, non riusciva a pensare ad altro. Avrebbe voluto dirlo a Carlos ed Eva, ci aveva provato, ma senza alcun risultato. Confidava nel buon senso dei genitori, consapevole che mai avrebbero fatto una scenata davanti agli ospiti.

Si erano da poco sentiti al telefono, e il ragazzo le aveva ribadito quanto fosse euforico. Non per la festa, a cui quasi non faceva caso, quanto per la voglia incontenibile di vederla, seppur fosse passato poco tempo dall'ultima volta. Avevano, tuttavia, trascorso l'intero sabato divisi e, disse lui quasi in affanno, avrebbe contato ogni minuto che lo separava da quella festa. Mina aveva sentito le ginocchia tremare e il cuore finirle in gola. Anche lei contava i suoi stessi minuti, mentre una mancanza lacerante cominciava a farsi strada. Aveva bisogno di stringerlo, di guardarlo negli occhi, di sapere che tutto sarebbe andato bene.  E aveva voglia di farsi vedere da Colin in uno dei suoi abiti migliori.

Chiusa la chiamata si guardò intorno. Eva le aveva riempito la stanza di decine di abiti. Tutti pezzi unici, tutti di alta sartoria. Una semplice boutique non andava bene per l'evento dell'anno. Mina li studiava da giorni, eternamente indecisa. Li aveva provati dozzine di volte, scoprendosi delusa ogni volta. Erano stupendi, erano perfetti, ma nessuno la rispecchiava davvero. Non bastava un abito sfarzoso per fare colpo su Colin. Lui non era come gli altri, e l'ansia del ritardo la pervase. Mancavano poche ore alla festa, e lei non sapeva ancora cosa indossare.

Dopo averci rimuginato per giorni, prese la drastica decisione di raggiungere la soffitta, per cercare qualcosa tra quei vestiti ormai smessi, relegati tra la polvere e il buio. Erano abiti considerati fuori moda soprattutto da Eva che, periodicamente, ripuliva l'armadio della ragazza senza nemmeno chiederle il permesso, facendo sparire anche ciò che Mina non aveva mai indossato.

Salì a passo lento la scala in legno che conduceva alla stanza più in alto della casa. Aveva sempre avuto un certo timore di quel luogo, troppo buio e troppo silenzioso. Entrando, diede una prima occhiata. Gli abiti erano tutti riposti in un armadio in legno sotto l'enorme finestrone sul tetto ma quello che subito la colpì fu un baule che mai aveva notato prima, ben riposto nell'angolo più buio e remoto. La curiosità prese il sopravvento e, dimenticando ogni paura, si avvicinò spedita, aprendolo senza nemmeno riflettere. In alto, a salutarla, una foto che Mina non aveva mai visto. Erano Carlos e Nadia, giovani e innamorati, stretti in un abbraccio che Mina riuscì a percepire. Una lacrima sfuggì indisturbata, mentre la ragazza iniziò a frugare in quel mondo sconosciuto. Era il mondo della madre: vecchi libri, fotografie, fermagli per capelli e un abito stupendo color ametista, esattamente come le striature dei suoi occhi, impreziosito con qualche pietra qua e là sul corpetto. Provò a rifletterci un po'. Perché era tutto nascosto? Perché quelle fotografie non erano esposte? Perché il padre aveva preferito lasciare che quei libri venissero risucchiati da polvere e oscurità? Non seppe darsi alcuna risposta e, pensando che quell'abito perfetto fosse un segno del destino, si trascinò a fatica quel baule fino al soggiorno. Vedendola, il padre trasalì leggermente.

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