Capitolo 14.1: Sguardi

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Avete presente gli aghi, quelli grandi e acuminati? Sento di averne miliardi nel cuore in questo momento

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Avete presente gli aghi, quelli grandi e acuminati? Sento di averne miliardi nel cuore in questo momento. Ho permesso a me stessa e alla mia rabbia di perderlo di nuovo. L'ho visto andare via ancora una volta, e questa volta per sempre. Non ho trovato il coraggio per urlargli di restare, di scendere da quella dannata barca, di non andarsene ancora. Cammino tra le alte siepi di questo viale che mi portano a casa, mentre il mio cuore sta chiedendo pietà a questo dolore che sembra essere ancora più forte dell'altra volta. L'avevo conosciuto, ci eravamo innamorati, l'avevo perso e ritrovato infinite volte, l'ultima se n'era andato. Ha fatto ritorno, l'ho trattato con freddezza, paura e rabbia, tanta rabbia e l'ho perso di nuovo. Questa volta per sempre.

Arrivo alla tenuta, e guardo casa mia immersa nel buio, nel più totale dei silenzi. L'unica cosa udibile sono lo scorrere delle lacrime e i miei singhiozzi. Sono consapevole che passerò questa notte in balia del dolore e non riuscirò a trovare pace nascondendomi nel sonno. Entro in casa e mi accomodo sul divano. I singhiozzi scuotono le mie spalle, mentre la mano preme sul petto, sul cuore, come a voler lenire quel dolore rinato. Le ore scorrono veloci o forse lente, e i miei occhi gonfi dalle lacrime versate tutta la notte, accolgono le luci dell'alba che invadono la stanza. Tra poco la casa sarà piena di persone, e so che non posso farmi vedere cosi. Ci sono già io a preoccuparmi di quello che resta di me stessa, non serve far agitare i miei cari. Mi alzo da questo divano, mettendomi in piedi con non poca fatica. La notte appena trascorsa potrei dire che è stata la peggiore della mia vita. Ma d'altronde, tutte le notti senza di lui, tutti i giorni, i mesi, i secondi e le ore senza di lui, sono orribili. Vado in camera e prendo un cambio d'abiti. Scelgo una abito verde, un colore che da pace ai miei occhi. Dicono che simboleggi la speranza, forse potrebbe aiutarmi a sperare che questo male che provo, vada via. Entrata in bagno mi infilo sotto il getto caldo della doccia. Insapono ogni parte del mio corpo con forza, cercando di lavare via ogni piccolo dolore. Rimango più del dovuto sotto l'acqua calda. Sapevi benissimo che sarebbe andato via. Cosa ti aspettavi Sanem? Non era venuto qui per te, lo sai benissimo. Fattene una ragione, non tornerà.

Esco dalla doccia e mi rivesto alla svelta. Uscita dal bagno, do un'occhiata alla camera. Osservo vari libri sul comodino, e ne prendo uno a caso. Ho bisogno di non pensare, di allentare la morsa al petto che sempre più stretta, di secondo in secondo non mi permette di respirare. Torno in salone e mi accomodo nello stesso punto dove mi ero alzata poco prima, decisa a rifugiarmi nelle pagine di un libro. Lo apro a caso e inizio a leggere.

"Tutto il mio cuore è vostro, Signore. Vi appartiene e con voi deve rimanere, anche se il destino portasse via tutto il resto di me, lontano da voi per sempre"

Brontë. Tra tutti i libri che avevo a disposizione, avevo pescato Jane Eyre dal mucchio. Che scherzi orribili che mi fai Allah. Penso per un minuto eterno alle parole appena lette, e inizio a sfogliare quelle pagine senza più leggere, per timore di trovare qualche cosa che mi riconduca a Can. Il tocco della carta stampata mi rilassa almeno un po'. «Buongiorno Agnellino!». La voce di Denize attira la mia poca attenzione. La guardo distrattamente e lei inclina la sua testa per scrutarmi meglio in viso. Abbasso lo sguardo su quelle pagine, fingendomi concentrata nella lettura del libro. Sento i passi di Denize correre per la casa, e poco dopo fa ritorno in salone di corsa. Mi si avvicina sorridente e mi sfila il libro dalle mani. «Cosa sta succedendo?» gli chiedo, mentre lei frenetica posa il libro sul tavolino e prende un cuscino adagiandolo sulle mie gambe. La osservo e la vedo sdraiarsi e appoggiare la testa su quell'enorme cuscino che mi ritrovo addosso. «Tieni» mi dice allungandomi quello che è il romanzo che ho scritto io. Sempre più confusa osservo il mio libro e lo prendo dalle sue mani. «Quindi? Cosa devo farci?» chiedo. «Leggi, sto aspettando!» mi dice entusiasta. Non capisco. Tra tutti i libri perché il mio. «No. Non capisco perché tu non possa leggerlo da sola!». Denize prontamente mi risponde che non le piace leggere da sola e che preferisce ascoltarli, come se in me trovasse un audiolibro. Mi prega di leggerlo, infinite volte. Le sorrido e le accarezzo i suoi lunghi capelli rossi. Denize è come una bambina. È come la me di un tempo. Le dico che sembra che stia facendo una terapia vedendo la sua posizione su quel divano. Apro il libro a caso, e inizio a leggere. Appena i miei occhi vedono le prime parole, un nodo inizia a stringere la gola, ma so di non poter farci nulla. Dopo un attimo di esitazione inizio a leggere, nella speranza che la mia voce non tradisca il dolore che provo.

GOCCE D'AMBRA (SOSPESA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora