Aveva raccolto in modo incurante la Monster accantonata all'angolo del salotto, uno di quelli maledettamente e asfissiantemente disordinati. D'altronde, era quello di Han Jisung.
Le lancette erano l'unica cosa a tenergli compagnia, ma da un po' di tempo s'erano insediate nella sua vita quelle lattine dal retrogusto dolciastro – che, precisiamo, beveva per pura noia. Era difficile trovare bevande saporite, e ciò era l'unica cosa che Dio aveva saputo servirgli.
La depressione aveva cominciato ad attaccarlo durante i primi anni adolescenziali, senza lasciarlo libero nemmeno al compimento dei suoi diciott'anni (passati da quasi due anni, oramai) e, sfortunatamente, aveva deciso di accoglierla così: Han Jisung aveva cominciato a trascurarsi, trascurando persino l'ambiente esterno e il soccombere dei momenti.
Passavano le ore, è vero, a segnarlo erano le lancette di quell'orologio fin troppo vecchio; ma a lui non importava, o almeno non più. E a renderlo triste, era la causa sconosciuta di questo soffocamento che da anni lo uccideva.
Aveva provato a distrarsi guardando dei cartoni, puntualmente era finito su Super a guardare quelle eroine stralunate delle LoliRock e a pentirsene perché, come sempre, erano solo puntate viste e straviste; aveva persino provato a distrarsi scrivendo, componendo, ma proprio non ne aveva voglia. La sua mente non era altro se non una scatola vuota e amara, alla quale era stata svuotata ogni briciola di felicità e Jisung aveva imparato questo, perché i secondi trascorrevano incessantemente e aspettava solo l'ora della propria morte.
Di venerdì sera si è sempre piuttosto stanchi, aveva annotato a se stesso guardando lo schermo della televisione e assaporando la Punch; aveva trascorso la giornata a studiare, pur di riempirsi la memoria e di non farsi trascinare dai pensieri negativi, ma puntualmente aveva preso un brutto vuoto. E non si sentiva nemmeno più in colpa, per i suoi, per la retta universitaria; sapeva di essere un fallimento, e gli era stato ripetuto fino alla nausea.
Probabilmente, era stata anche questa la causa del suo declino adolescenziale, ma il nome di essa era solo uno, e Jisung mai l'avrebbe dimenticato: Lee Minho.
In effetti, pensava Jisung, Minho era stata la nebulosa planetaria ad aver scombussolato tutti i suoi piani, fin dal subentro dei suoi tredici anni, ma era anche l'unica persona per la quale provava dei sentimenti.Le lancette dell'orologio avevano cominciato ad infastidirlo, quasi da superare il volume rigorosamente della televisione ma, per puro stato di pigrizia continuo, aveva deciso di godersi quel lamento e di abbandonarsi ai propri pensieri. O almeno così sperava.
Difatti, poco tempo dopo, forse qualche minuto o magari qualche secondo (perché il tempo nelle fiabe non conta davvero, alla fine. È tutto lasciato al caso), aveva sentito un bussare incessabile alla porta del suo appartamento, la sua era una piccola casetta trovata nel Distretto 9 di Seoul.
Aveva lasciato andare, alla prima bussata – "Sarà la vicina: vorrà darmi altri dolci" –; anche alla seconda, alla terza chiuse gli occhi e alla quarta si lasciò sfuggire un sospiro eternamente infastidito. Il suo stato di quiete era stato rovinato da colui che proprio non s'aspettava di vedere, soprattutto se dopo un bel po' di mesi. E, come nelle fiabe, alla sua porta c'era il soggetto dei pensieri precedenti.
« Minho? » Aveva chiesto, la Punch tremava e con essa pure la mano di Jisung; possiamo dire, in effetti, che ciò che il ventenne provava per il maggiore (ma solo di poco) era un misto tra l'odio e la rabbia repressa. La rabbia repressa di Han Jisung causata solo ed unicamente da Lee Minho, la persona che s'era fidanzata con Hwang Hyunjin – e Jisung ne era stato innamorato, un tempo.
Ma, in quel momento, i pensieri negativi avevano preso un'altra piega: a contornare gli occhi, il dolce e giovanile volto, di Minho erano lacrime copiose e amare. Non preannunciavano sicuramente buon tempo, e questo Jisung l'aveva capito nel vederlo così.
« Posso... entrare? » Aveva osato il non più ragazzino, con la voce rotta dal pianto ma al contempo tremendamente profonda da far rabbrividire il minore. Egli sospirò, cosa poteva fare? Lasciarlo fuori? « Entra, Minho. D'altronde, piove ».
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CAFUNÉ, minsung
Fanfiction« Minho... Ti odio, » Jisung aveva affondato il viso nell'incavo del collo del ventunenne, beandosi al contempo del profumo di colonia, « Tu mi manchi. E tanto, ed io mi sono sentito morire senza di te ».