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29 luglio

«Mio fratello è in un cazzo di stato catatonico e voi avete intenzione di sbattervene le palle?!»

Asettica. La fottuta stanza d'ospedale in cui era rinchiuso da almeno quindici giorni era una trappola per topi asettica che puzzava di candeggina e di sciroppo per la tosse.

Jungkook l'avrebbe bevuta volentieri la candeggina, l'avrebbe mescolata con lo sciroppo alla menta e avrebbe dato una bella mescolata al suo intestino sanguinante.

L'odore di fumo era inciso sui suoi polmoni, le fiamme scolpite come fotogrammi indelebili sotto le sue palpebre, e Jungkook ne vedeva la tremenda sequenza ogni volta che chiudeva gli occhi.

«Per favore, si calmi.» Era un'infermiera a parlare. Aveva la voce dolce.

Seokjin sospirò, si portò le dita a strofinarsi il volto e le iridi, forzate e doloranti, incontrarono la figura di Jungkook seduto su sul lettino, con le gambe penzoloni. Il suo sguardo era un incessante avanti e indietro di una pellicola vuota, triste, buia.

«Mi state dicendo», si schiarì la voce, cercando di impedire alla sua voce di tremare, «che mio fratello non mangia, non dorme, a malapena parla... ma che sta bene? Voi questo lo chiamate stare bene?» Tirò sul col naso, ignorando quella lacrima che gli aveva solcato il volto.

«Senta, Jungkook è perfettamente in salute», iniziò il medico e Seokjin sentiva già la voglia di tirargli una testata sui denti. «Non ha inalato troppo fumo, i suoi polmoni funzionano perfettamente, e non ha alcun danno cerebrale.»

«È perché è un cazzo di zombie, allora?!»

«Signore», l'infermiera mormorò.

Seokjin lasciò andare un profondo sospiro, si coprì il volto con le mani, strofinandosi gli occhi e cercando invano di cacciare via le lacrime e di placare il suo cuore dolorante. «Scusate», si voltò verso l'infermiera, «mi scusi.»

«Jungkook ha assistito», il medico esitò, «a uno spettacolo atroce... signore, suo fratello ha bisogno di tempo e di cure, ha bisogno di tutto il sostegno possibile per cercare di superare questo terribile momento.»

Seokjin si morse le labbra, tremavano sotto i suoi denti, erano un fottuto terremoto che gli schiacciava il cuore con le sue stesse ossa distrutte. Una lacrima, rosso sangue, dolorosa, gli bruciò la pelle.

Per un istante ebbe l'impulso di scoppiare a ridere. Pensava non lo sapesse? Jungkook aveva perso due amori in una volta sola e Seokjin si portava il peso del fratello come fosse il suo. Forse una piccola parte erano i sensi di colpa, che gli sgranocchiavano bastardi lo stomaco e gli facevano venire la nausea, perché era stato lui a dirgli di trasferirsi lì vicino a lui ed era stato lui a proporgli quella compagnia e, ancor di più, era stato lui a tirarlo fuori da lì, quando per un cosiddetto conto circuito gli effetti speciali s'erano rotti, i riflettori erano caduti e il sipario era andato a fuoco, mangiandosi tutto ciò che riusciva a trovare intorno a se, affamato e violento, implacabile e inesorabile. Era stato lui a cercarlo nel corridoio, seguendo le grida e trovando Jungkook alla disperata ricerca dei suoi compagni.

«Jungkookie», Seokjin cercò lo sguardo del più piccolo, un languido sorriso in volto, gli occhi rossi, ancora lucidi, che buttavano all'aria la sua farsa di voler sembrare tranquillo. «Andiamo a casa, Jungkookie.»

Jungkook alzò lo sguardo: il ritratto del terrore in viso; le palpebre strabuzzate, la bocca in un sorriso rovesciato, e le ombre delle fiamme che ancora riflettevano sulle sue iridi. L'odore di fumo che gli pizzicava il naso e gli accoltellava i polmoni, le fiamme che divoravano sogghignando la stanza intorno a lui. Jungkook osservò il volto di Seokjin: un ammasso di carne bruciata sanguinante, le orbite vuote con gli occhi che gli scivolavano sulle guance lasciando scie bavose di liquido scarlatto e la pelle che gli si staccava dal corpo, cadeva a pezzetti sul pavimento andando in fiamme e divorandogli le scarpe. Il sorriso rassicurante di Seokjin era diventato un ghigno senza denti di uno scheletro dalle ossa bruciate, un'espressione serena su un viso squartato dal sorriso intagliato.

Jungkook annuì, distolse lo sguardo per poggiarlo sulle sue scarpe: bruciavano, gli stavano bruciando i piedi e le gambe e salivano fino a fargli sudare le mani e sanguinare il cuore. Anche il cuore di Seokjin sanguinava, Jungkook l'aveva visto tra le sue ossa rotte e i suoi polmoni bruciati, era sicuro di averlo visto rompersi le arterie e ballargli tra le costole rompendole e ficcandosele nel petto. Jungkook era sicuro di averlo visto quell'attimo in cui aveva abbassato lo sguardo, era certo di aver visto le sue viscere sorridergli mentre si lanciavano bottiglie in fiamme e gridavano, Dio, non smettevano di gridare neanche un secondo, neanche quando Jungkook distolse lo sguardo smisero, non lo fecero mai, neppure quando seguì Seokjin fuori dall'ospedale o quando rimase solo nella sua stanza.

Non smisero mai di urlare strazianti, dominati dal dolore, sottomessi alla tortura eterna come se le fiamme non la smettessero mai di rosicchiarlo, di pizzicargli la pelle, la carne, le orbite.

Gli bruciavano gli occhi. Quando Jungkook rimase solo in camera sua gli occhi gli bruciavano. Cavolo, se bruciavano. Sembravano volersi sciogliere anche loro sulle sue guance e tirargli via le ossa dalle orbite. Jungkook riusciva quasi a immaginarseli i suoi occhi che gli si ficcavano nel cervello e gli afferravano le costole per piantargliele nelle orbite. Jungkook sentiva come se il suo corpo immobile, nel buio della stanza – che poi buia non era, perché Jungkook ci vedeva le fiamme ad illuminarla – gli stesse giocando solo un terribile scherzo e si stesse auto distruggendo.

Di sicuro gli stava giocando un brutto scherzo, perché le fiamme che vedeva sotto la porta dovevano solo essere un'immaginazione della sua testa, non potevano portarsi via anche la sua famiglia, suo fratello, non potevano divorarsi anche lui come avevano fatto con tutto il resto. Eppure, Jungkook sentiva il calore provenire dalla porta, vedeva la maniglia sciogliersi dorata sul legno bianco; lo sguardo di Jungkook era attirato come una falena da quella porta bruciante, e temeva di vederci il viso bruciato intagliato e fiammeggiante nel legno.

Si morse le labbra, prese il coraggio necessario per distogliere lo sguardo e Jungkook in quel momento era così cosciente da accorgersi perfino che le fiamme s'erano spente e la porta era ritornava come prima e aveva una paura fottuta di perdere quello sfuggente controllo da non riuscire neppure a domarlo mette lo teneva stretto. Era sicuro di questo, ed era certo che se i suoi occhi si fossero puntati di nuovo sulla porta questa si sarebbe aperta, con un cigolio atroce, e avrebbe mostrato l'ennesimo corpo bruciato, con le guance cadenti e le braccia spezzate e le ossa in mostra, intento a fissarlo sull'uscio della camera e Jungkook non voleva vederlo di nuovo, non voleva far incontrare il suo sguardo con due orbite vuote.

Eppure, nonostante non avesse neppure guardato la porta, adesso c'era una voragine nella parete e Jungkook era sicuro che non era reale, ne era sicuro, non c'era mai stata, eppure lo scheletro infuocato stava uscendo e stava correndo con il volto grondante di sangue e di pelle morta, con le ossa bruciate dalle fiamme, verso di lui, con le braccia e le mani tese pronte a stringersi intorno al suo collo e soffocarlo nella sua stessa stanza.

Però, no, non poteva essere reale, non doveva esserlo. E allora cos'era quel caldo? Cos'era quell'odore di bruciato, cos'era la sua pelle molle che si scioglieva sulla sua carne?

Jungkook si sentiva bruciare. Bruciava come il teatro, come il sipario che diceva addio, come il palco di cui era innamorato.

Jungkook si sentiva bruciare, così come era bruciato l'amore della sua vita.




***

prima o poi mi ricorderò di aggiornare questa storia in orario, spero.

btw ore discutibili a parte, mancano 4 capitoli + l'epilogo per la fine. spero vi stia piacendo questa storia nonostante sia un po' improvvisata <3

𝐍𝐔𝐓𝐒𝐇𝐎𝐖Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora