18 giugno 2014 (prima parte)

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E così eravamo arrivati alla cosiddetta resa dei conti dove è meglio mettere da parte l'orgoglio se non vuoi rischiare di perdere colui che nei mesi successivi ti ha donato tanta felicità senza nemmeno rendersene conto.
Era il 18 giugno, per alcuni nostri amici era il secondo mesiversario, per altri era una giornata d'estate come un'altra, ma per noi poteva finire tutto, dovevamo solo metterci in gioco.
Arrivai a casa della mia amica, mi fiondai in doccia e cercai di lavarmi il più in fretta possibile, poi sentii suonare un campanello e pensai: "cazzo Fra sbrigati che è arrivato". Uscii dalla doccia con un'asciugamano intorno al corpo e uno a mo di turbante nei capelli e mi ritrovai davanti lui e la sua bici rossa.
"Fili un attimo che mi preparo e arrivo subito". Per scaramanzia mi ero portata la maglia turchese che già precedentemente avevo indossato quando avevo fatto pace con lui e quindi speravo che funzionasse anche questa volta.
Ero ancora stanca dalla partita di tennis e mentre mi vestivo avevo il fiatone, un po' per l'agitazione per quello di cui avremmo dovuto parlare e un po' perché faceva un caldo tremendo e io dovevo infilarmi dei jeans lunghi. Mi diedi una passata veloce con il phon, presi la borsa e uscimmo. Lo aiutai a mettere nell'ascensore la bici, lo aiutai a ritirala fuori quando arrivammo al piano terra. Poi iniziammo a camminare e finché non arrivammo ai Murazzi nessuno dei due iniziò a parlare.
Avevamo tutti e due timore, due timori molto diversi. Il mio era il solito, era la mia solita e costante paura di perderlo e solo più avanti capii il suo. Il suo era come trovare la parole, le parole per lasciarmi andare.
Camminavamo e la bici stava nel mezzo, ci separava e io non potevo dargli la mano, probabilmente l'aveva messa in mezzo apposta.
Se ora cercassi di ricordare quello ci fummo detti non mi ricorderei tutto, ma mi ricorderei i gesti, i movimenti e i mille pensieri che mi frullavano in testa per le parole che diceva.
Quando iniziai a parlare con il mio solito tono un po' arrogantello non avrei mai immaginato che potessi rischiare così tanto. Gli chiedevo di spiegarsi, non volevo che continuasse con i suoi soliti "non lo so". Volevo delle risposte chiare, volevo sentirmi dire che voleva stare ancora con me, che avremmo migliorato la situazione, che ce l'avremmo fatta.
E anche la mia reazione a quello che mi disse fu imprevedibile. Come tutto quello che successe nelle ore successive.

Chiunque ci avrebbe guardati in quel momento ci avrebbe presi per pazzi, lui che cercava di spiegarmi con un po' di tatto quello che sentiva e io che non volevo dargli retta. Io che mi ero dovuta prendere un momento di pausa perché se no sarei potuta scoppiare da un momento all altro. Peccato che questo momento di pausa consistette nel camminare avanti e indietro ridendo a sguarciagola. Ridevo, ridevo e anche quando pensai di essermi calmata e tornai da lui gli risi in faccia. Non la smettevo di ridere, forse pensavo che quello fosse uno dei suoi tanti giochetti, che quello era uno scherzo e che ci stava riuscendo. Mi stava mettendo il panico addosso e io non sapevo come gestirlo. Non volevo accettare la verità. Mi ricordo che gli dissi: "Ora non posso tornare a casa della mia amica senza di te, senza averti più, la mia mente non può concepirlo, non sono pronta."
Andammo avanti così per un po', con lui che cercava di farmi ragionare e io come una bambina che si tappa le orecchie per far dispetto ai genitori.
Quando per un attimo capii quello che stava succedendo la mia risata cessò e i miei occhi si inumidirono. Cercai di abbracciarlo e dal nervosismo iniziai a giocare con il manubrio della sua bici, lui mi toglieva le mani da lì perché se no avrei staccato dei pezzi, anche se dopo poco anche lui iniziò a giocare con quello.
Avevo questo pensiero in mente: e se ora lui sale sulla bici e se ne va per sempre io che faccio? Così cercavo di tenerla nelle mie mani ma poi qualcosa cambiò.
Mi disse che voleva bere e per arrivare alla fontanella potevamo fare o delle scale o passare per una rampa. Lui mi disse che sarebbe passato per la rampa e io salii per le scale. Mi salii un panico assurdo e solo quando lo vidi di nuovo fui tranquilla.
L'acqua fu miracolosa, quell'acqua sarà santa. Dopo quell'acqua lui cambiò idea, forse perché l'avevo sfinito o forse perché provava troppa pena per me, decise che avremmo potuto riprovarci. Che fino al 6 luglio, quando poi lui sarebbe partito per Dublino, saremmo rimasti insieme e anche se non mi assicurava che i sentimenti verso di me sarebbero rifioriti ci saremmo frequentati. Dal mio sguardo triste comparse il sorriso più grande che abbia mai fatto.

Un attimo di felicità, l'illusione di una vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora