Cammino tranquillo per le strade di Hrodna, la città della Bielorussia in cui vivo. È una giornata monotona, non avrei fatto niente di che, sarei andato all'università per parlare con i miei prof e poi sarei tornato a casa.
Ho sempre lo stesso giubbino e lo stesso bigliettino in tasca, non so da dove proviene ma non riesco mai a separarmene, è diventato come uno spunto per andare avanti, anzi lo è da sempre.
I miei genitori sono a lavoro, sono tutti e due originari tedesche, mio padre Alf è un avvocato e mia madre Becki una fioraia. Erano emigrati con me in Bielorussia quando io avevo circa 8 anni e la grande guerra si preparava ad affrontare l'ultimo anno di combattimento. È strano io non mi ricordo nulla della guerra, zero, niente di niente. Ho letto qualcosa sui libri di storia ma nient'altro. Come d'altronde tutto il mio passato dagli otto anni in giù.
Comunque dicevo, cammino tranquillamente almeno fino a quando un ragazzo, non tanto alto e moro, mi viene addosso. Stava correndo e mentre girava la curva ci siamo scontrati.
Mi ritrovo per terra insieme allo sconosciuto.
"Ahia! Che botta!" borbotto massaggiandomi la testa.
"A chi lo dici" risponde lui.
Proviamo ad alzarci mai io per sbaglio li do un ulteriore craniata.
"Oops! Scusa mi dispiace tanto!" tento di scusarmi.
Lui ridacchiò "Ciao! Hai un bel modo di presentarti" dice sdrammatizzando. Ridacchio pure io.Lo squadro dall'alto in basso. Non è molto alto, ha un ciuffo color miele che teneva su un lato, i lineamenti spigolosi e un leggero accenno di barba, gli zigomi pronunciati, un sorriso bellissimo e degli occhi azzurri come il ghiaccio... quegli occhi... quegli occhi risvegliarono nella mia mente un ricordo, di quando avevo all'incirca 7 anni... un bambino... un bambino con il viso paffuto, gli stessi occhi di questo ragazzo e i capelli a scodella... stava giocando con un pallone in un giardino... lo passava me e lo sentii chiamare un nome... Harry! Stava chiamando un certo Harry... poi basta tutto sfocato.
Guardo ancora il ragazzo e cerco di rammentare ancora ma niente.
Anche lui mi sta studiando con attenzione."Allora... come ti chiami?" chiedo cercando di intrattenere conversazione.
"Oh io sono Louis" dice porgendomi la mano.
"William" dico stringendogli la mano. Dalla manica si intravede il mio tatuaggio con delle cifre, non so cosa sono e mi importa poco tanto non ho intenzione di toglierlo, al contrario Louis lo guarda alquanto interessato.
"Dove lo hai fatto?" domanda allarmato. Cosa ci sarà di tanto pericoloso in delle cifre non lo so, ce le ho sul braccio da quando ho memoria.
"Non lo so, mi ricordo di avercele già avute all'età di 8 anni" dico con noncuranza.
Lui sempre più allarmato mi chiede "sai cosa significano?"
"No" rispondo vago. Non mi interessa a dire la verità.
Osserva un'altro po' di tempo le cifre poi i suoi occhi si illuminano.
"Harry!" grida con un sorriso a 32 denti. Ancora quel nome, ma chi cazzo sono tutti sti Harry e io che minchia centro?
"Chi?" chiedo.
"Sei tu! Harry ti ricordi di me? Sono Louis! Ci conosciamo da tantissimo" Mi spiega.
Io indietreggio spaventato. Ma questo si è fumato qualcosa o è semplicemente pazzo? Io non mi chiamo Harry e di sicuro non conosco questo ragazzo.
"N-non so di cosa tu stai parlando... io non sono il ragazzo di cui parli.... e non ti conosco, ci siamo incontrati per caso prima ma stai certo che di una cosa sono sicuro, non voglio avere niente a che fare con te!" ribatto duro.
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Quando mi dimenticai quel coglione che mi salvò la vita - Larry Stylinson
Historical FictionEra il 1956. La grande guerra era finita da 11 anni, ma la gente se la ricordava ancora come se stessa ancora avvenendo, uomini, donne, bambini tutti; Tutti a parte uno. William era un normalissimo ventenne o quasi. Era un'orfano senza passato. I su...