Notte Buia

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5 chiamate perse.
Mi morsi il labbro inferiore, passandomi nervosamente la mano tra i capelli spettinati. L'avergli detto che quella sera suonavo non l'aveva fermato dal richiedere cosí insistemente la mia presenza. E il non avergli risposto per ben 5 volte di fila non avrebbe portato altro che male. Mi guardai furtivamente in giro, osservando i ragazzi della band infilarsi maglioni e mettere gli strumenti nelle custodie. Ficcai il telefono nello zaino, infilando il cappotto (quello nero bucherellato che lui odiava), e raccolsi le bacchette, afferrando il cappello e preparandomi a tutta velocità. Glasgow dovette notare la mia fretta e il mio silenzio perché esclamò
-Dove vai cosí di fretta? Adesso andiamo giú al pub.
-Non ho tempo.- biascicai, caricandomi lo zaino in spalla - Ci sentiamo domani, gente.
-Tutto a posto, ragazza?- Sick alzò un sopracciglio e io produssi un sorriso di circostanza
-T'apposto, Sick. Sono solo stanca e domani ho una prova di esame. Ci becchiamo, ragazzi.
Corsi fuori dal camerino e dal locale dalla porta di servizio sul retro, sentendo i richiami dei miei bandmates. Un freddo umido mi corse dentro le ossa non appena misi piede nel vicolo e mi strinsi nel cappotto. Dovevo richiamarlo immediatamente, prima che facesse scenate, le sue patetiche, ridicole, scenate. E perché, mi disse la coscienza, tu non sei forse patetica? Non sei forse ridicola a girare ancora in giro a quel folle? Sospirai, infossandomi nella sciarpa, e uscii dal vicolo umido, i muri bagnati dalla pioggia serale. Non volevo stargli in giro, ma non ne potevo fare a meno. Era un divertimento viscido, blasfemo e malato, ma d'altronde non mi avevano sempre detto tutti che io ero viscida, blasfema e malata? Affrettai il passo lungo il marciapiede, strascicando un po' i piedi come sempre, il cappello calcato in testa e la sciarpa dove avevo affondato il viso. Non mi conosceva nessuno, ma non avevo comunque voglia che qualcuno mi notasse. Sospirai, tirando fuori il telefono e decidendomi a telefonargli. Chissà se voleva ancora vedermi. Forse era morto, nel frattempo. Un brivido mi percorse a quel pensiero: quanto a volte desideravo che sparisse, quanto sapevo che di lui non avrei potuto farne a meno. Composi il numero, aspettando che rispondesse. Squillò a lungo prima che lui tirasse su la cornetta
-Ti fai viva.- brontolò, e dalla voce percepivo fosse ubriaco.
Non mi piaceva quando beveva, specialmente se beveva da solo, seduto al tavolo della cucina con la tovaglia a quadretti, nella peggiore rappresentazione del neorealismo.
-Oggi suonavo, te l'avevo detto.- risposi, calma - Vuoi che venga?
-E lo chiedi anche?!- urlò, e immaginai avesse dato un pugno sul tavolo.
-Non urlare.- brontolai, ma per tutta risposta ricevetti un insulto.
-E non bere piú.- conclusi.
Un altro insulto e mise giú la chiamata.
Sospirai rumorosamente, lo zaino ballonzolante sulla spalla e mi chiesi se dovessi chiamare mia sorella e dirle che quella sera non sarei tornata a casa. Ma conoscendola sarebbe stata a letto a dormire e non mi andava di svegliarla. Tremai di freddo, mentre saltai sull'autobus mal riscaldato che andava verso San Basilio.

Niente di anormale nel palazzo addormentato. Niente di anormale in una ragazza imbaccuccata che entrava, saliva rapidamente le scale, rischiando di scivolare, e arrivava davanti a una delle porte del quarto piano. Niente di anormale in me che entravo nella sua casa come se fosse mia, urlando un saluto che non ebbe risposta. Scossi la testa, posando lo zaino, spogliandomi di giacca, sciarpa e cappello, e mi diressi verso il salotto
-Oi, Nic, sono qui.- dissi, incerta.
-Finalmente, dannazione. Ma quanto diavolo ci hai messo?
Lui era sprofondato nel divano, una bottiglia di vino mezza vuota davanti e una montagnetta di cicche sul tavolino. Ignorai la sua domanda e mi sedetti sul divano accanto a lui. Puzzava di vino, ma c'ero abituata. Era a torso nudo, gli orecchini brillanti nella luce soffusa, gli occhiali di sghimbescio sul naso. Lo guardai, e lui mi guardò.
-Che é successo oggi?- chiesi.
-Deve succedere qualcosa perché io ti voglia qui con me?- brontolò, passandosi una mano sul viso sciupato.
-Mi chiami solo quando succede qualcosa, quindi direi di sí.- ribattei, incrociando le gambe e togliendomi le scarpe.
-Sono stanco.- fece per prendere la bottiglia ma io la spostai - Non ne posso piú.
-Di cosa? Di essere un cantante famoso?
-Di tutto. Parto.- annuí da solo, sputando per terra - E tu vieni con me.
-Sei ubriaco, Nic. Dovresti piantarla di bere quando sei da solo, diventi una piattola.
Dovetti essermi presa troppe libertà, perché mi afferrò poco graziosamente per il braccio e mi trasse a sé. Aveva gli occhi iniettati di sangue, ma non lo temevo. Mi divertiva, quello sí. Mi piaceva pure, ma sicuramente non mi spaventava.
-Stai zitta, Nadya. Tu fai quello che ti dico di fare.
Gli risi in faccia, i nostri visi attaccati, i nostri fiati a mischiarsi.
-Non farmi ridere, ragazzo. Hai bisogno di me.
-Non ho bisogno di nessuno.- ringhiò, ma i suoi occhi già vacillavano.
-Sei patetico.- sussurrai, sulle sue labbra piene.
Mi leccai appena l'anellino all'angolo del labbro, i suoi occhi scuri, lucidi, fissi in maniera ossessiva sulla mia bocca. Aveva bisogno di me quanto io ne avevo di lui, perché adoravamo dissetarci dei nostri corpi e delle nostre anime che non trovavano mai una fine al loro viaggio disperato. L'odio che provavamo uno verso l'altra era diventato il nostro motivo per vivere e consumarci tra le rispettive braccia. Gli accarezzai la pelle nuda della spalla, cosí calda, olivastra, in contrasto con la mia, fredda e pallida.
-Sei diabolica, Nadya.- gemette lui, prima di afferrarmi il viso e baciarmi in quel modo grottesco che avevamo, un bacio languidamente nauseante che sapeva di vino e del sangue delle mie labbra screpolate dal freddo.
-Mai quanto te.- gemetti appena, nella sua bocca calda, quando mi morse il labbro con rabbia, intrecciando il dolore fisico e psicologico che vivevamo tutti i santi giorni dentro.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 29, 2021 ⏰

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