Capitolo 32

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Mina vide la villa svuotarsi in pochi minuti. Seduta in disparte, sull'enorme divano del salotto, esaminò ogni invitato per scrutarne l'espressione e trovarne lo sdegno. La maggior parte per quell'insegnante nuova e già non molto ben vista, e una minima percentuale per lei. Aveva visto Micol fuggire, e niente avevano potuto fare le preghiere silenziose e gli occhi imploranti che le aveva rivolto. La ragazza era scappata, con una rabbia negli occhi che mai aveva percepito in quell'amica sempre pacata e pronta al dialogo. Le sarebbe corsa dietro, se Carlos non l'avesse congelata su quel divano con un'occhiataccia rabbiosa.

Aspettò che anche l'ultimo ospite lasciò la villa, sperando non lo facesse. Sapeva che, rimasti soli, niente avrebbe potuto frenare l'ira del padre. E così fu. Con una frase concisa che non ammetteva repliche, l'uomo congedò Eva, costringendola a chiudersi in camera: voleva rimanere con Mina.

Erano solo loro due. Mina avvertiva chiaramente lo sguardo pesante e carico di giudizio del padre, così distintamente che faticò ad alzare il suo, di sguardo, per ricambiarlo. Si sentiva in colpa, amareggiata e ferita. Sapeva quanto tutti avessero ragione, ma sperava che almeno qualcuno provasse a sentire la sua versione della storia. Confidò appena nel padre. Non era quello il compito dei genitori? Perdonare i figli, nonostante tutto? In Carlos non vide perdono, né alcun cenno di comprensione.

La ragazza nascose le mani sotto le cosce, per non far vedere quanto tremassero. Abbassò il capo, mortificata, lasciando libera qualche lacrima silenziosa che cadde indisturbata sullo splendido vestito ormai sporco e sgualcito. Tossì appena, cercando di raccogliere le idee per formulare una frase credibile. Il padre la interruppe prima ancora che aprisse bocca. Non voleva ascoltarla.

«Non parlerai» disse distaccato. «Non hai alcuna giustificazione. Ti ho cresciuta dandoti tutto, ti ho viziata, sperando di colmare quel vuoto che ci sarebbe sempre stato, inevitabilmente. Ho giustificato ogni tuo pessimo comportamento e, bada bene, non perché non li vedessi, ma perché pensavo fossero uno scudo per non soffrire ancora. Mi hai deluso, come non pensavo nemmeno potessi fare. Stasera ti ho vista per la prima volta per come sei: cattiva, arrivista, manipolatrice, spregiudicata, egocentrica, narcisista, viziata. Sei tutto ciò che speravo non diventassi mai, e la colpa è anche mia. Io mi assumo ogni responsabilità, tu fai i conti con te stessa». Quello sguardo sprezzante riuscì a colpire Mina nel profondo che, a metà discorso, aveva alzato gli occhi per pregare il padre di ascoltarla.

«Mi dispiace» sussurrò, la voce rotta dal pianto. Carlos ghignò amaro.

«Non importa. Non si può tornare indietro. A che pensavi? Quando hai chiesto a quell'arpia di Wilma di indagare, a cosa pensavi? Ti ha almeno sfiorato l'idea che avresti potuto rovinarle la vita?» Ora urlava, la vena del collo sempre più grande, lo sguardo teso.

«Io...» Mina provò ancora ma il padre, di nuovo, la interruppe.

«Non pensavi affatto, è questo il problema. Hai sempre pensato solo a te. Ma anche le altre sono persone, sai? E ora sparisci». Le voltò le spalle, aspettando silenzioso che la ragazza ubbidisse. Lei si alzò impacciata, barcollando appena. Non mangiava dal giorno prima, e sentiva le forze venir meno.

«Io non volevo» soffiò, sperando che il padre le credesse. L'uomo, tuttavia, non mosse un muscolo. L'avrebbe perdonata? Mina non lo sapeva. Ci sperava, ma iniziava a dubitarne. L'aveva fatta troppo grossa. Non era più una semplice bravata da liceali, aveva messo in mezzo un'insegnante, rischiando di farle perdere il posto. Aveva toccato il fondo e non sapeva come tornare a galla.

Salì l'enorme scalinata di marmo quasi per inerzia. Non sentiva più di appartenere al suo corpo, o alla sua vita. Non era la persona che il padre aveva appena descritto, forse non lo era mai stata. Ma come dimostrarlo? Avrebbe voluto urlare che sì, l'idea di quello stupido piano era stata sua, ma che aveva anche detto a Wilma di lasciar stare. Ma chi le avrebbe creduto? O, ancora, a chi sarebbe importato?

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