Shrimp

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Keiji era sempre stato meticolosamente ordinato e preciso, calibrando ogni minima quisquilia con la massima serietà.
Alcuni lo avrebbero considerato una persona talmente celebrale da risultare fredda e inanimata, come se in quel corpo di carne e nervi non vibrasse alcuna passione al suo interno. O alcuna vita. Origliando per sbaglio due colleghi in ufficio, li aveva scoperti mentre si riferivano a lui chiamandolo "automa".
Non ne era rimasto affatto sorpreso, solo un po' deluso. Nonostante il suo carattere freddo e distaccato in ambito lavorativo, pensava che almeno i colleghi con i quali lavorava gomito a gomito ogni giorno si fossero accorti delle sfumature tiepide dei suoi sorrisi o dei suoi gesti gentili.
Ma tutto sommato quel commento non lo aveva turbato. Affatto.
Se quella era l'impressione che loro avevano di lui nonostante gli anni di collaborazione, allora forse era davvero un robot privo di calore e prima o poi avrebbe dovuto scoprirlo. La loro opinione era legittima e Keiji non poteva farci niente per cambiarla.
Non che poi gli interessasse particolarmente. Erano solo settimane che continuava a sentire quella frase ripetersi nella sua testa come un'ossessione.
La verità celata sotto strati di orgoglio vanaglorioso era che ne era rimasto così ferito da non riuscire a dimenticare e passare oltre.
Come poteva dimenticare una cosa simile se era stata pronunciata proprio dalle labbra del collega di cui era disperatamente invaghito?
Non solo quel pettegolezzo fra colleghi rimarcava il fatto che avesse un carattere fin troppo scostante per gli standard socialmente accettabili, ma, da tali parole, traspariva a chiare lettere l'opinione che aveva di lui.
Se dopo tanti anni d'infatuazione silenziosa e collaborazione professionale non aveva suscitato altro in lui, come poteva fargli cambiare idea da un giorno all'altro?
La consapevolezza di essere stato notato e archiviato fra le persone da non ritenere interessanti, fu anche peggio del non sapere di essere stato notato.
Una stilettata sulla pelle avrebbe fatto meno male.
Perché poteva accettare dignitosamente che non lo avesse ancora notato – dopo anni che lavoravano insieme – poteva accettare anche un rifiuto diretto, ma quello era peggio.
Era la cosa peggiore che potesse capitargli perché era venuto a sapere piuttosto indirettamente di non essergli mai interessato perché si era fatto un'idea sbagliata di lui, ma non poteva replicare appunto perché altrimenti come avrebbe spiegato di essere a conoscenza di una conversazione che lo riguardava e che non era stata fatta direttamente con lui?
Incastrato, ecco come si sentiva.
Poteva aver mostrato indifferenza dietro al suo bel muro di facciata, ma la verità era che quel commento aveva perforato le sue difese come una palla di cannone. Ci aveva aperto una breccia dentro e adesso Keiji si sentiva più esposto che mai.
Con la mente ottenebrata da pensieri funesti, uscì dall'editoria con una leggera emicrania da stress.
Avrebbe tanto voluto lasciarsi quei commenti alle spalle e passarci sopra con candida serenità, ma gli si erano attaccati dentro con gli artigli, aggrappandosi alla sua carne e marchiandola con striate vermiglie dolorose.
Si trascinò verso la stazione della metropolitana seguendo il mare di persone che si erano riversate in strada ansiose di tornarsene a casa.
Come in un fiume alimentato da tanti piccoli affluenti, Keiji si lasciava trasportare senza pensare ad una meta ben precisa.
Di tornarsene a casa, da solo a deprimersi, non se ne parlava proprio. Era una settimana che portava avanti la sua routine di triste autocommiserazione e forse era giunta l'ora di finirla e metterci una pietra sopra. Un macigno inamovibile magari.
Forse era stupido soffrire e restarci così male per qualcuno che nemmeno si era preso la briga di volerlo conoscere. Razionalmente aveva più che senso! Perché perdere ancora tempo dietro a qualcuno che non lo meritava? Che non sapeva apprezzare né lui né i suoi piccoli gesti?
Dopo due anni da solo sprecati dietro a quell'idiota del suo capo, non era forse giunta l'ora di ributtare l'amo in mare?
Si fermò nel bel mezzo della folla colpito dal suo stesso pensiero. I passanti gli diedero delle spallate graziate rischiando di fargli male, così si spostò al limite del marciapiede, proprio sotto un'insegna rosa shocking che riportava in corsivo la parola Dark.
Keiji non era mai stato una persona particolarmente incline alle mondanità. A dirla tutta non era mai nemmeno entrato in un bar gay degno di quel nome. La caffetteria con quella vasta biblioteca che si poteva consultare ogni volta che si voleva, non contava. Anche perché quella era piuttosto una seconda casa per lui.
Ogni sabato mattina vi entrava alla buon'ora, quando ancora solo pochi clienti si azzardavano a mettere il naso fuori di casa, ordinava una teiera con del the inglese aromatizzato e si metteva a leggere seduto comodamente sul divanetto nell'angolo.
Ne usciva solo dopo aver letto almeno un libro intero e di solito sfogliava l'ultima pagina poco prima dell'ora di pranzo.
Acquistava allora un tramezzino e una bottiglietta d'acqua e andava al parco per consumare il suo pasto e godersi un po' di sole sulla pelle.
Il pomeriggio lo dedicava alle faccende di casa, nonostante in poco più di di due ore tirasse a lucido tutto il suo appartamento.
Dopo una cena piuttosto leggera, Keiji tornava a lavoro dedicando tutta la sua attenzione alla revisione dei manoscritti dal quale riemergeva soltanto la domenica sera.
Quel venerdì sera però, invece di tornarsene a casa come da copione, decise di lasciarsi trasportare dalle sue emozioni. Il fatto che il suo umore nero lo avesse portato fino ad un bar molto appariscente era tutta un'altra questione.
Avrebbe preferito un posto appartato, squallido forse, ma con qualche libro da poter sfogliare per ammazzare il tempo.
In quel locale da nome chic non si sentiva esattamente a suo agio. Sembrava il tipo di posto dove approdavano disperati in cerca di una scopata facile.
Si guardò intorno notando uomini forti e muscolosi giocare a freccette ed esultare come bambini ogniqualvolta riuscivano a centrare il bersaglio.
C'era un altro gruppetto di ragazzi che giocavano a biliardino bevendo ad ogni gol che facevano indipendentemente dalla squadra che lo subiva. Così, per spirito sportivo forse, bevevano tutti e ridevano un sacco.
Altri ragazzi seduti ai tavoli chiacchieravano animatamente mentre altri ancora erano tutti presi da un gioco da tavolo che Keiji non conosceva.
Altri ancora erano in procinto di amoreggiare come pazzi. Keiji soffermò poco lo sguardo su di loro per non risultare molesto.
Optò per sedersi all'ultimo sgabello al bancone, quello nell'angolo,  lontano da tutti e un po' nell'ombra.
Un barista biondo ossigenato fu subito da lui sorridendogli ammiccante. Indossava una maglia di rete gialla fluorescente che lasciava vedere tutto il suo petto. Praticamente stava lavorando mezzo nudo.
Keiji rispose con un accenno di sorriso davvero gelido. Non sopportava proprio chi si prendeva troppe confidenze quando non era lui a concederle.
"Cosa ti porto dolcezza?" Domandò il ragazzo leccandosi le labbra con lascivia. Gli occhi di Keiji saettarono sul suo piercing alla lingua e un brivido di disgusto gli corse lungo la schiena automatico.
"Gradirei un aperitivo analcolico." Rispose Keiji composto e serioso. L'altro lo guardò senza nascondere il suo stupore misto a sconcerto, ma l'altro non gli diede importanza.
"Dolcezza, è venerdì sera e lo vuoi passare sobrio?" Domandò ancora alzando la voce per lo stupore.
Qualche cliente si voltò nella loro direzione e Keiji sentì un fastidioso nervosismo attorcigliargli lo stomaco.
Non aveva assolutamente intenzione di bere niente di alcolico quella sera, ma nel l'espressione e nelle parole del barista Keiji rivide quelle dei suoi colleghi. Come uno scherzo mentale autoinflitto.
Strinse i pugni sul bancone. Forse era davvero così freddo come appariva... forse proprio la sua distaccata freddezza avevano contribuito a non fare in modo che venisse notato fra milioni di altre persone.
"Alcolico allora...grazie." Concluse infine con voce incerta, come se non fosse pienamente sicuro del suo ordine. E in effetti era proprio così.
Qualche minuto dopo un bicchiere rosa sfavillante con una cannuccia arrotolata e diverse fragole sul bordo gli fu messo sotto al naso. Assaggiò. Il sapore non era male e l'alcol si sentiva appena, decisamente ben mitigato dai frutti di bosco.
"Prima volta al Dark?" Gli chiese un barista alto dai capelli castani. Davvero un bel ragazzo dai lineamenti delicati e armoniosi. Non si sarebbe stupito di vederlo su una copertina di una rivista.
Anche lui, come l'altro biondo, non indossava niente di particolarmente sobrio. Il suo crack top nero con le maniche verde mare lasciava scoperta tutta la sua pancia tonica sul quale brillava un piercing ombelicale dello stesso colore delle maniche. Iniziava a sentirsi un intruso con la sua camicia chiara e la giacca abbinata.
Comunque annuì sorseggiando il suo drink. Ogni tanto aspirava con la cannuccia un mirtillo e allora si fermava per masticarlo e assaporarne il sapore dolce.
"Ti piace? L'ho preparato io. I cocktail fruttati sono la mia specialità." Si pavoneggiò il barista con aria piuttosto civettuola. Keiji gli sorrise un po' impacciato.
"È davvero molto buono, complimenti."
"Ho messo del gin aromatizzato al lampone piuttosto che della vodka alla fragola, pensi che stravolga il sapore della frutta così tanto?"
Keiji si ritrovò un po' a disagio parlando di quei tecnicismi di cui non sapeva assolutamente niente, ma si prese qualche secondo per pensare la risposta migliore da dargli mentre assaporava un altro mirtillo.
"Non m'intendo molto di alcol." Confessò un po' imbarazzato.
"Però il sapore è squisito e i frutti interi si amalgamano molto bene al sapore dello sciroppo."
"Non c'è sciroppo, solo frutta frullata." Lo corresse il ragazzo con una risatina piuttosto frivola.
Keiji sorrise colpevole incapace di dire altro che non risultasse una cavolata.
"Piacere di conoscerti, mi chiamo Tooru Oikawa." Iniziò il barista cambiando argomento e Keiji gli fu immensamente grato per questo.
"Piacere mio, Akashi Keiji."
Gli tese la mano e l'altro la strinse, poi però lo tirò verso di sé con uno scatto improvviso.
Keiji rischiò di rovesciare la sua preziosa e deliziosa bevanda.
"Senti un po', vedi quel gorillone tutto muscoli che gioca a freccette?" Gli domandò a voce bassa, con un sorrisetto malizioso sulle labbra che non lasciava scampo.
Keiji si spostò leggermente di lato incontrando il tizio in questione. Lo aveva notato subito perché era l'unico che, nonostante la partita in corso, stesse guardando nella loro direzione rigirandosi le freccette in mano con fare nervoso.
In effetti, "gorillone" era una parola che lo descriveva alla perfezione. Sotto la t-shirt verde bosco con i fiori blu elettrico, scoppiavano dei bicipiti e dei pettorali da paura. I jeans – anche quelli tirati al massimo – non lasciavano spazio alla fantasia e, oltre a mettere in evidenza un goloso pacco regalo, Keiji lasciò indugiare lo sguardo sulle cosce ammantate dal tessuto che pareva volesse cedere da un momento all'altro.
Annuì piano tornando a prestare attenzione al barista.
Tooru sorrise ancora di più assumendo un'espressione quasi diabolica.
"Bene, vorrebbe offrirti questo drink e magari un prossimo da bere con lui nella Dark room."
"La cosa?" Domandò confuso tornando a prestare attenzione al barista, ma dovette staccare gli occhi dal quel portento di muscoli con un po' di fatica.
"La Dark room." Ripeté Tooru scandendo bene le parole e lasciando il braccio di Kieji del quale si era appropriato da un po' troppo tempo.
"È la stanza sotto al locale con la luce soffusa ideale per le coppiette" gli spiegò brevemente liquidando la questione – e la sua espressione di confusione -  con un per niente esplicativo "quando la vedrai, capirai."
Keiji si mosse sulla sedia un po' a disagio. Il ragazzo era davvero bello, muscoloso e imponente proprio come piacevano a lui. I capelli erano un po' troppo stravaganti per i suoi gusti, ma aveva due occhi magnetici che sembravano attrarlo come calamite.
Non era mai successo che qualcuno flirtasse con lui in quel modo schietto e senza filtri. Oltre ad esserne imbarazzato, si sentiva soprattutto parecchio eccitato.
Era da un bel po' che il suo letto non s'infiammava, precisamente da quando aveva chiuso la sua ultima relazione dopo che si era trasformata più in un mordi e fuggi che altro.
Prese un altro sorso del suo cocktail e ne raschiò il fondo ingoiando pure due mirtilli. Gli occhi di Tooru non lo abbandonavano per un secondo mentre aspettava la risposta da riferire al gorillone.
Keiji si prese qualche altro secondo per ammirarlo struggersi in attesa di una risposta e dovette ammettere che era davvero tenero mentre spostava il peso da un piede all'altro e rigirava nervosamente le freccette fra le dita.
"Non sono la persona che accetta situazioni simili." Confessò sinceramente. Non era mai stato un tipo da una botta e via, anzi le sue relazioni – benché si potessero contare sulle punte delle dita di una mano – erano state tutte lunghe e durature.
E nessuna di esse era mai iniziata con un tentativo goffo di abbordaggio in un bar.
Tooru sospirò con drammaticità.
"Guarda che non deve essere mica il padre dei tuoi figli!" Gli fece notare sornione e Keiji ci ragionò su per poi dargli effettivamente ragione.
Dopotutto non era un freddo robot e anche lui poteva agognare il respiro caldo di un uomo sulla sua nuca.
Sorrise accondiscendente e cedette al tentativo goffo di abbordaggio.

Keiji non capì che cavolo fosse la dark room finché non ci si ritrovò dentro con il gorillone.
La luce era evidentemente opinabile. L'unica fonte di illuminazione era al centro del soffitto e si azionava ad intermittenza: ogni mezz'ora, la luce si spegneva per almeno un'ora e quello che succedeva in quella stanza restava in quella stanza.
Non che da accesa emanasse tutta 'sta gran luce, anzi, a dire il vero era una tenue luce soffusa sulle tinte del rosa che colorava ogni cosa di quel colore.
Keiji si lasciò guidare dal ragazzone in quel luogo sconosciuto. Molti ragazzi erano già appartati, altri chiacchieravano del più e del meno, mentre altri ancora non vedevano l'ora che la luce si spegnesse per andare fino in fondo.
Si appartarono in un angolo lontano da occhi indiscreti. Che poi, presi com'erano gli altri, figurarsi se avessero perso tempo a guardare loro.
Il ragazzone era un vero impiastro come sembrava. Timido fino all'inverosimile e goffo un po' per natura e un po' per la sua mole di muscoli, non faceva altro che inciampare ovunque e arrossire subito dopo.
Ad un certo punto, Keiji fu costretto a togliergli il suo drink dalle mani prima che gli facesse fare una brutta fine. Colse l'occasione e con un ultimo sorso, finì quello che ormai era il suo terzo cocktail alla frutta di Tooru. Il suo caipiroskawa. Forse il terzo poteva anche risparmiarselo dopotutto.
"Dunque, ce l'hai un nome insieme a tutti quegli ondeggianti pettorali?" Domandò Keiji più frizzante del solito. Molto più frizzante.
Sperava sotto sotto che i drink fossero abbastanza forti da fargli dimenticare quella serata. Non era certo di voler ricordare il sé stesso sbronzo che tentava di abbordare il tizio che già lo aveva abbordato.
"Hey hey hey!" Esplicitò sorpreso per il velato complimento malizioso il ragazzo, strabuzzando gli occhi chiari quasi come un gufo.
"Mi chiamo Koutaro Bokuto, tu invece?" Domandò a sua volta.
Keiji gli si fece più vicino e, audace, gli poggiò una mano sul petto sorridendo in maniera lasciva.
"Chiamami Akashi." Sussurrò seducentemente. Ripensandoci, il terzo caipiroskawa avrebbe dovuto decisamente evitarlo.
Alla faccia del robot senza passione... se lo avessero visto in quel momento, sicuramente i suoi colleghi non l'avrebbero riconosciuto affatto.
E nemmeno lui stesso a dire il vero, ma era divertente avere la testa leggera per una sera e non pensare a niente che non fosse quanto era divertente cercare di far arrossire Bokuto dinanzi a sé.
Più parlavano del niente e più che Keiji sentiva l'impaziente voglia di portarselo a casa. Era disposto a farlo anche portandolo per tutta la strada in braccio come una principessa. Per un secondo immaginò pure la scena, ma quello seguente l'accantonò subito.
Fra le mille chiacchiere di Bokuto, aveva scoperto che era un pallavolista professionista, che giocava in una squadra straniera e che era tornato in Giappone per una partita con una squadra locale.
Non aveva capito dove fosse collocata nel globo terrestre la sua squadra, ma gli parve un'informazione davvero inutile quando con quei guizzanti bicipiti fletteva il braccio e Keiji lo vedeva gonfiarsi come un canotto sulla spiaggia.
Alla fine, aveva ragione Tooru il barista: non doveva mica essere il padre dei suoi figli, perché tante informazioni?
Che giocasse pure al polo nord per quanto lo riguardava!
Senza pensarci troppo, si sporse sul suo corpo solido come il marmo e ci si allungò fino a che non riuscì ad arpionargli le braccia al collo. Allungò il viso verso le sue labbra carnose che parevano così morbide alla vista e lo baciò candidamente.
Sembrava quasi il suo primo bacio tanto era casto e puro.
Durò all'incirca mezzo secondo. Entrambi pietrificati dalla vergogna si guardarono per istanti interminabili domandandosi mentalmente dove avessero sbagliato.
"Wow..." esalò Bokuto in un sospiro, svuotandosi completamente i polmoni in una botta sola.
Le sue guance arrossate però disegnavano un viso così giovane e ingenuo che Keiji pensò per un istante di avergli rubato il suo primo bacio. Poi rimembrò nei meandri della sua mente alcolica il lieve dettaglio riguardo al fatto che fossero praticamente coetanei e quindi si rilassò.
"Senti, io non ho una grande esperienza, mentre tu sembri uno che sa il fatto suo con gli uomini-..."
"Aspetta, fermati." Lo interruppe confuso Keiji sperando di non aver intuito dove l'altro stesse andando a parare. Dio, se aveva rimorchiato un vergine alla sua prima volta fuori, quando aveva già pregustato di venire sbattuto come un tappeto...
"Non è che sei vergine, vero?" Domandò temendo il peggio, ma fortunatamente l'altro negò forte con la testa.
"No, figurati... è solo che saresti il mio secondo ragazzo e temo di sfigurare con uno come te." Gli confessò candidamente, con quelle guanciotte rosse di vergogna che Keiji sentiva proprio il bisogno di mordere.
Gli sorrise dolcemente accogliendo quel velato complimento. Almeno, Keiji lo aveva inteso come tale e il suo cervello non si era soffermato nemmeno per un secondo sul fatto che gli stesse velatamente dando della sgualdrina.
"Nemmeno io ho tutta questa esperienza, credimi, è la prima volta che mi succede una cosa come questa." Confessò sincero. Bokuto dopotutto lo era stato con lui, perché non avrebbe dovuto fare altrimenti?!
"Sembri a tuo agio invece..." constatò l'altro e stavolta Keiji non volle proprio tenere a freno la sua lingua resa pungente dall'alcol.
"Non starai mica cercando di dirmi che sono uno facile, vero?" Domandò e nemmeno fece in tempo a terminare la frase le Bokuto divenne paonazzo dalla vergogna. Persino le orecchie assunsero una sfumatura rossastra.
"N-no! Io... ecco..." balbettò sconclusionato cercando un appiglio per riscattarsi ai suoi occhi e scusarsi per l'offesa, ma la timida risata del moro fu così bella e coinvolgente da stregarlo.
Keiji non nascose nemmeno per un secondo il suo divertimento, incurante del fatto che poteva anche averlo offeso dopotutto.
"Mi stavi prendendo in giro?" Domandò Bokuto sorridendogli sornione. Keiji ricambiò civettuolo sviando lo sguardo, ma le sue labbra si stesero in un sorriso timido ed elegante.
Fece finta di non notare gli occhi di Bokuto calamitati dalle sue labbra ed iniziò a stuzzicarlo un po'.
Dapprima passò la lingua sul labbro superiore in maniera lasciva e passionale. Leccò ogni porzione di pelle con meticolosa lentezza, studiando ogni minimo movimento affinché riuscisse ad infiammare al meglio il ragazzo dinanzi a sé.
Poi passò al labbro inferiore, stringendolo fra i denti e strusciandoceli sopra con calibrata maestria.
In risposta a quella piccola e innocente provocazione, Bokuto deglutì rumorosamente.
Non c'era bisogno di molte altre parole fra loro in realtà. I loro occhi si tuffarono gli uni negli altri come se fossero stati attratti magneticamente. Keiji sentì una vampata di calore salirgli sul retro del collo.
Da quanto non era così eccitato?
Sentiva la sua erezione premere nei pantaloni eleganti e la voglia di farsi prendere farsi largo dentro di sé.
Non dovette attendere molto, perché in quel momento Bokuto protese le mani impacciatamente verso i suoi fianchi e lo attirò contro il suo corpo colmando così la distanza che li separava.
Keiji andò a fuoco nel momento esatto in cui Bokuto sfregò la patta rigonfia dei suoi pantaloni con la propria imponente erezione.
Keiji ringraziò mentalmente i pantaloni di Bokuto che non avevano affatto falsato le sue forme. Imponente sembrava e così era sul suo inguine.
Gemette piano per la sorpresa e la confusione e un po' anche per il piacere che quel piccolo fregamento gli aveva provocato.
Bokuto arrossì ancora, ma stavolta non abbassò lo sguardo. Anzi lo tenne ben fermo nei suoi occhi.
In quel momento la luce si spense all'improvviso. Keiji sentì la bocca dell'altro scontrarsi con la propria, cercarla disperato ed esplorarla con la lingua in ogni anfratto. Sospirarono entrambi di piacere, infiammandosi i loro basso ventre a vicenda.
Keiji ci avrebbe passato tutto il giorno a farsi baciare in quel modo un po' goffo e prepotente, forse un po' rude e rozzo. Ma non era in sé il bacio a piacergli, quanto l'uomo al quale si stringeva e che lo teneva stretto fra le braccia come se fosse la cosa più preziosa di questo mondo.
Fanculo.
Fanculo tutto, soprattutto i robot!
Gli saltò in collo non stupendosi affatto che l'altro riuscisse a tenerlo sollevato per le natiche come se fosse stato una piuma e non onorevoli settanta chili di cervello e circuiti.
Quello che non si aspettò, fu quando lo lanciò quasi sul tavolo che ricordava essere dietro di loro, ma del quale probabilmente Bokuto si era dimenticato.
"Scusa... pensavo fosse più lontano..." confessò fra un bacio e l'altro. Keiji non gli diede tempo di formulare una frase più lunga e articolata di scuse inutili e superflue.
Alzò i fianchi in un movimento goffo e sbrigativo e andò ad impattare di nuovo contro l'inguine dell'altro. Il gemito che gli nacque dalle labbra fu un'ambrosia dolcissima della quale Keiji si nutrì bramoso.
Si slacciarono i pantaloni a vicenda nel buio della dark room, andando più a intuito che altro in realtà.
In un momento di breve lucidità Keiji gli ricordò il preservativo e l'altro gli confessò di averlo chiesto al barista castano perché sembrava uno di quei ragazzi sempre pronti e preparati. E non aveva sbagliato.
Keiji si sfilò i pantaloni alla svelta, come se temesse di non avere abbastanza tempo e che presto o tardi l'altro sarebbe scomparso in una nuvola di fumo.
Ancora una volta però, Bokuto lo sorprese. Quando Keiji si sporse in avanti per baciarlo ancora incontrò solo l'aria. Rimase male e un po' contrariato, ma quando le labbra dell'altro ricomparvero per magia sulla sua punta turgida bisognosa di attenzioni, Keiji scese a parti con sé stesso ammettendo che dopotutto poteva anche perdonarlo.
La bocca di Bokuto sul suo corpo era ciò che di più simile al paradiso esistesse al mondo. Non si sarebbe stupito, Keiji, se di punto in bianco avesse iniziato a dialogare con il Divino del più e del meno.
L'ascesa sensoriale verso l'Eden onirico personalissimo di Keiji Akashi durò davvero poco però. Con non poca vergogna per la sua misera resistenza, dopo la quarta lappata gli strattonò i capelli irti di gel soffocando il suo nome fra i vari vaneggiamenti.
"B-Bokuto-san..." ansimò ancora una volta, chiudendogli le cosce sulle orecchie come a volerlo far desistere in qualche modo. L'ultimo tentativo di un disperato prossimo alla disfatta.
Ma le sue mani grandi e forti gli acciuffarono le cosce con fermezza, schiudendogliele con una facilità inaudita. Keiji ansimò ancora il suo nome. Più forte, fin quasi a sentirne l'eco nei meandri della sua mente. Ma la bocca di Bokuto era implacabile e dopo ogni affondo in cui Keiji sentiva di scivolargli fino in gola, gli regalava una lenta e tortuosa risalita in cui succhiava ancora di più.
La cosa buffa che gli venne in mente in quel momento, fu che proprio lo stesso Bokuto che adesso lo stava trasportando nell'alto dei cieli, temeva di fare una brutta figura con lui. Bhe, appena non avesse più avuto la bocca occupata ad invocare il suo nome, Keiji gli avrebbe detto quanto si era sbagliato prima, perché meritava davvero di sapere quanto stesse facendo un ottimo lavoro.
L'orgasmo arrivò da lontano. Keiji lo vide arrivare quasi ed era forte e tangibile. Un orgasmo di quelli che non si sarebbe scordato tanto volentieri e uno di quelli che non gli capitavano così spesso per sfortuna.
Ma il caldo abbraccio della sua bocca e la morbidezza avvolgente delle sue labbra depositate sul glande vennero sostituite in breve tempo da una mano forte e vigorosa che lo accompagnò verso gli ultimi strascichi di quel piacere così intenso che gli faceva girare la testa e tremare le gambe.
La Dark Room avrebbe girato come una trottola se solo Keiji fosse stato in grado di vedere qualcosa.
"B-Bokuto -san..." lo chiamò ancora, un'altra volta, perché il suo nome malleato dalla propria lingua aveva il sapore più dolce che avesse mai assaggiato.
"Bok-..!" Non finì di parlare che un dito gli deflorò il fondoschiena senza preavviso.
"Scusa, pensavo fossi meno stretto..." gli sussurrò all'orecchio con voce roca, iniziando ad esplorare il suo corpo dall'interno con calma e attenzione.
Keiji sentì qualcosa colargli tra le natiche e gocciolare poi su tavolo.
"Avevi il lubrificante?" Domandò piano, in un sussurro, stringendosi a quelle spalle grandi e forti che pareva volessero proteggerlo dal mondo intero.
"No, ho usato... si bhe... il tuo..." abbozzò Bokuto in evidente difficoltà. Keiji afferrò al volo e gli tolse l'impiccio di dover continuare a parlare con un bacio che non ammetteva repliche.

Dopo una preparazione lenta, molto più attenta di quanto avesse immaginato – soprattutto visto che erano sprovvisti di lubrificante e Bokuto aveva usato il suo stesso sperma – Keiji sentì finalmente l'alto scivolargli dentro con una cura talmente maniacale da apparire persino premurosa per una situazione da una botta e via.
Quando scivolò con le labbra sulla sua clavicola e gli chiese con un filo di voce se stesse bene, Keiji quasi si commosse. Quel gorillone era il ragazzo più gentile e accorto che avesse mai avuto l'onore di portarsi a letto.
O sul tavolo, per la precisione.
Il loro non fu un amplesso sbrigativo e vigoroso come si era immaginato all'inizio. Non era stato un gesto dettato dalla mera eccitazione e nulla più. Dietro a quei movimenti dolci e sensuali, dietro quelle carezze goffe e impacciate ma tanto sentite, Keiji sentiva che c'era qualcosa di più.
C'era tanto in Bokuto che non aveva ancora scoperto e un'oretta nella Dark room non pensava che gli sarebbe bastata.
Ubriachi l'uno dell'altro, ebbri di piacere e storditi dall'amplesso appena consumato, Keiji lo portò fino a casa sua camminando su una nuvola dorata. Letteralmente. Non pensava a niente che non fosse Bokuto, non vedeva nient'altro che non fosse lui e si stupì immensamente delle sue capacità di orientamento quando giunsero infine al suo appartamento sani e salvi.
Il letto li accolse come un'alcova calda e avvolgente. Li coprì con una carezza dolce fino a che il sole non illuminò i loro corpi ancora avviluppati nell'amplesso.
Il volto di Bokuto coperto di sudore quasi brillava rischiarato dalla luce del mattino.
Era così bello, prestante e vivo che Keiji capitolò ancora una volta soccombendo a quel piacere perverso che gli infiammava il bassoventre.
Bokuto gli sosteneva le gambe con le sue spalle muscolose e spingeva nel suo corpo come se non ci fosse un domani, come se volesse prendersi qualsiasi cosa Keiji avesse da offrirgli.
Aveva un modo un po' buffo di raggiungere l'orgasmo Bokuto, ma Keiji ne era quasi affascinato dal suo quasi doloroso spingersi dentro di sé, dal modo in cui corrugava le sopracciglia e si mordeva il labbro inferiore. La sua preferita però erano le punte delle orecchie che gli diventavano rosse come ciliegie mature mentre raggiungeva l'apice.
E poi c'era qualcosa di magico nei suoi movimenti, nelle sue carezze o nel modo con cui si sdraiava al suo fianco e lo stringeva a sé con quei bicipiti gonfi come palle di cannone.

Dopo qualche ora di sonno, Keiji si alzò dal letto percependo un piacevole indolenzimento alle parti basse. Sorrise sornione fra sé e sé ripensando alla nottata di fuoco in compagnia del bel pallavolista.
In punta di piedi e cercando di fare meno rumore possibile, si infilò al volo una tuta comoda e raccolse i preservativi usati che giacevano flosci sul suo comodino.
Li gettò via e alzò gli occhi per sincerarsi dell'orario indegno al quale si era svegliato.
Mezzogiorno passato. Era da un sacco di tempo che la sua routine del sabato non veniva stravolta in quel piacevole modo.
Cercando di spadellare il meno possibile, iniziò a cucinare il pranzo per entrambi.
Non aveva intenzione di passare molto altro tempo con lui, dopotutto era una conquista di una notte... una botta e via insomma! Mica doveva essere il padre dei suoi figli, quindi per quale bislacco motivo gli stava preparando il pranzo?
La prima cosa che pensò fu alla gentilezza. Dopotutto si sarebbe fatta l'ora di pranzo da lì a breve e sbatterlo fuori di casa con ancora i segni dei suoi morsi sulle chiappe non gli pareva una cosa troppo onorevole.
Il russare di Bokuto arrivava forte e chiaro dalla sua camera e a giudicare dal frastuono, non sembrava intenzionato ad alzarsi tanto presto. Ecco, non gli sembrava carino svegliarlo unicamente per sbatterlo fuori di casa.
In più c'era il piccolo particolare del comportamento di Bokuto quella notte. Era stato così tenero e gentile, così affettuoso e accorato che gli era sembrato più un fidanzato amorevole piuttosto che un belloccio da bar.
Il pranzo glielo doveva. Come minimo.
Riprese a cucinare appena in tempo dato che il leggero soffritto iniziava a dare segni di bruciato, quando una sveglia familiare irruppe con il suo fastidioso frastuono direttamente dalla camera.
Keiji si diede dello sconsiderato e maleducato. Mentre Bokuto se la dormiva ancora, aveva deliberatamente dimenticato il cellulare in camera conscio che avrebbe dovuto prendere le sue pillole prima di pranzo.
Entrò nella camera quasi correndo, ma il bel viso di Bokuto assonnato e il suo sorriso ampio e splendente – nonché i suoi pettorali guizzanti e i suoi bicipiti da favola – gli diedero il più meraviglioso dei buongiorno che avesse mai ricevuto.
"Buongiorno Bokuto-san." Esordì dopo istanti interminabili in contemplazione di quel Dio greco disteso nel suo letto con le chiappe al vento.
Con la luce del mattino e senza più caipiroskawa in circolo nel suo organismo, poteva apprezzare al meglio il ragazzo dai capelli improbabili ma dai modi di un cavaliere.
Le sue mani per esempio. Non ci aveva prestato troppa attenzione, ma adesso che ne aveva l'opportunità notò subito quanto fossero grandi e belle. Le unghie erano ben curate e pulite e le dita forti e grosse non apparivano sgraziate affatto. Mani imponenti di un pallavolista, mani forti ma premurose che si erano prese cura di lui.
"Perché non rispondi e continui a fissarmi? Ho forse i capelli in disordine?"
La prima risposta che il cervello di Keiji formulò fu che sì, erano in disordine, ma lo erano anche al bar l'altra sera e lui pareva andare piuttosto fiero della sua chioma.
L'istante dopo, Keiji si riprese di nuovo dalla spudorata contemplazione del corpo nudo di Bokuto e corse a spegnere la sveglia sul telefono.
"Non era una chiamata, ma un promemoria." Confessò un istante prima di sedersi sul letto e prendere un circolino di pillole dal cassetto.
Sentì il materasso ondeggiare e Bokuto sederglisi accanto guardandolo con i suoi occhioni grandi curioso come un gufo.
"Che roba è? Stai male per caso?" Domandò candidamente e ingenuo come un bambino. Un attimo dopo si rabbuiò preoccupato portando una mano sulla sua spalla in segno di conforto.
"Oddio non ti avrò mica fatto male io stanotte? Oh cazzo, io non me ne sono nemmeno accorto... ho cercato di essere più delicato-..."
"Bokuto-san" lo chiamò attirando la sua attenzione e ponendo fine a quel flusso di deliri senza tregua.
"Queste sono delle pillole che devo prendere ogni giorno per evitare di andare in calore." Spiegò esaustivo non senza un po' di imbarazzo.
Aprirsi su una faccenda così privata quale la sua condizione di Omega con uno sconosciuto era la cosa più difficile che avesse mai fatto in vita sua. A pensarci bene, uno dei suoi ex non era a conoscenza della sua condizione.
Si strinse nelle spalle un po' a disagio quando gli occhioni di Bokuto si sgranarono ulteriormente fissandolo come se gli avesse appena confessato di essere un alieno.
Non sapeva bene che cosa l'avesse spinto a confessarglielo nonostante fosse un'informazione strettamente privata che non era affatto tenuto a condividere.
Forse la sicurezza di non rivederlo più, forse il fatto che giocasse a pallavolo in una squadra che si trovava letteralmente dall'altra parte del globo, forse la certezza che non avesse potuto dirlo in giro. Aveva stipulato una bella lista di opzioni, ma morivano tutte sciogliendosi come neve al sole dinanzi ai suoi occhioni così espressivi.
"Sei un Omega? Davvero?" Domandò stupito senza nascondere la sorpresa nella sua vocetta più acuta.
Keiji annuì sentendo le guance divenirgli sempre più rosse.
"Oh... wow!" Esclamò infine con un sorriso soddisfatto e stavolta fu il turno di Keiji per essere sorpreso.
"Come sarebbe 'wow'?"
"Sei il primo Omega che conosco e  sono felice che tu me l'abbia detto." Confessò sereno mostrandogli il suo sorriso così ampio e luminoso che Keiji ebbe quasi le vertigini.
Ingoiò la pillola senza troppe cerimonie. In realtà più per estraniarsi da quella conversazione che altro.
Non riusciva proprio a capire il suo punto di vista. Come poteva essere felice che gli avesse confessato una delicatezza tanto allarmante quanto potenzialmente catastrofica?
Ma soprattutto, come faceva a prendere ogni informazione con quella leggera semplicità degna dei bambini?
Segretamente, un po' lo invidiava. Anche l'altra sera al bar, Keiji si era stupito del suo tentativo di abbordaggio tanto quanto il fatto stesso che ci avesse provato davvero. Keiji non era carattere per certe cose e avrebbe avuto mille freni emotivi qualora avesse avuto anche solo l'idea di provarci.
Invece Bokuto aveva sfidato la sorte sorridendo comunque, anche se si era rigirato la freccetta fra le mani tanto che l'aveva consumata.
"La cosa non ti crea alcun problema?" Dovette domandare Keiji. Per forza. Non poteva essere così semplice e trasparente come appariva. Si rifiutava di credere che la sua condizione di Omega non fosse un problema per lui.
Bokuto si voltò guardandolo confuso per qualche secondo. Poi parve pensarci un po' su, con tanto di mano sul mento e sguardo altrove.
"In verità no." Confessò candido, genuino e sincero fino all'inverosimile. Keiji sorrise tiepido sentendo qualcosa nel suo petto scaldarsi piano piano.
Davvero per lui era tutto così semplice? Andava bene che lui fosse un Omega?
Forse era il primo a cui lo diceva che reagiva in quel modo. Con un altro ragazzo, quando ancora Keiji era giovane, ingenuo e innamorato, non era finita proprio nello stesso modo. A dire il vero si ricordava ancora perfettamente la scenata di rabbia dove lo accusava di averlo ingannato e la porta del proprio appartamento che sbatteva con lo stesso fragore di un tuono che squarcia la notte.
"Perché sembri preoccupato?" Domandò Bokuto curioso, tornando a prestargli tutta la sua attenzione con i suoi occhioni così pieni di luce.
"Pensavo ti saresti arrabbiato." Confessò Keiji serio, ma non senza sentirsi un po' in difetto nei suoi confronti.
"E perché mai?"
"Per la mia condizione di Omega."
Bokuto lo guardò con una strana espressione che Keiji non riuscì a comprendere a pieno. Pareva confuso. Forse quasi quanto lui.
"Ma che centra scusa? Tu sei comunque un figo pazzesco,  Omega o meno!"
Keiji, per quella che forse era la quarantesima volta, arrossì fino alla punta dei capelli. Ancora una volta le parole di Bokuto lo avevano sorpreso ed emozionato.
Era così diretto, così semplice e schietto che nemmeno si curava di calibrare o pesare le frasi che gli uscivano di bocca.
Keiji lo trovava semplicemente fantastico. Era il suo esatto opposto, ma invece che infastidirlo con i suoi modi trasparenti e cristallini, lo affascinava e lo attraeva in un modo quasi doloroso se pensava che quella sarebbe stata l'unica volta in cui si sarebbe sentito così.
"Grazie Bokuto-san, sei davvero molto gentile." Gli concesse alzandosi dal letto e dirigendosi verso la cucina.
"Prego!"
Bokuto lo seguì con lo sguardo e Keiji finse di non vedere il modo lascivo con il quale i suoi occhi luminosi si erano posati sul suo di dietro.
"Sto preparando il pranzo, ti fermi a mangiare con me?" Gli domandò tornando a prestare attenzione ai fornelli. Il riso era quasi pronto, la carne necessitava ancora di qualche minuto di cottura, ma il kimchi invece era perfetto.
Due braccia massicce gli circondarono la vita con una libertà unica. Keiji sobbalzò spaventato e voltò lo sguardo solo per ritrovarsi il viso di Bokuto poggiato sulla sua spalla come fosse un rapace mentre con i suoi occhietti vispi ispezionava le pietanze curioso.
"Senti che profumo... come posso dirti di no?!" Gli rispose in una risata e Keiji si scoprì concorde con quelle ultime parole, dopotutto come avrebbe potuto negargli qualcosa quando era così dolce con lui?

Il pranzo fu la cosa più naturale e spontanea che Keiji ebbe mai fatto.
Parlarono del più e del meno, toccarono qualsiasi tipo di argomento senza tabù o vergogna.
Keiji gli chiese curioso del suo lavoro, del suo ruolo nella squadra e Bokuto gli mostro anche dei video delle loro più belle partite. Ovviamente nei video che gli aveva mostrato, c'era sempre una schiacciata esemplare delle sue.
Keiji divorò quelle informazioni come fossero oro colato e pian piano quel gorillone assunse tutto un altro aspetto ai suoi occhi.
Era attento, accorto, gentile, ma anche goffo rumoroso e pasticcione. Aveva un tono di voce molto alto al quale Keiji – persona molto silenziosa – non era affatto abituato, ma gli piaceva un sacco. Sembrava una festa ogni volta che Bokuto rideva di gusto, portando la testa indietro e reggendosi la pancia come se avesse i crampi.
Bokuto a sua volta lo riempì di domande nonostante la vita da impiegato nel campo editoriale non fosse particolarmente densa di emozioni come quella di un atleta. Tuttavia i suoi occhi che s'incantavano luminosi sulla sua figura gli fecero credere che fosse realmente interessato alla sua vita. Dal modo in cui si imbambolava in attesa, sgranava gli occhi, ascoltava e poi commentava entusiasta ogni sua risposta, sembrava proprio genuinamente interessato alla sua noiosa e banale vita.
Quello che faceva più male, era che quel batticuore che Keiji sentiva, era destinato a morire da lì a qualche ora.

Lo accompagnò all'aeroporto per gentilezza. Dopotutto glielo aveva chiesto... in più era un po' lontano da casa, quindi sarebbe stato oltremodo scortese abbandonarlo a sé stesso in una città straniera.
Solo per gentilezza, mica perché non voleva separarsi da lui. Affatto.
Il congedo fu più imbarazzante di quanto si sarebbe aspettato. Innanzitutto per via dei suoi compagni di squadra che festeggiavano a gran voce la sua conquista nonostante Keiji fosse ancora lì presente. Di quando in quando incitavano al bacio iniziando cori e veri e propri inni da squadra che echeggiavano nell'aeroporto come fossero in uno stadio vero.
Le guance rossissime di Bokuto erano una squisita rivincita comunque.
Si scambiarono i numeri di cellulare con la speranza di risentirsi in futuro o magari rivedersi. Keiji non ci sperava proprio, ma gli avrebbe fatto davvero tanto piacere.
Si salutarono con un cenno della mano piuttosto distratto, come vecchi amici che hanno passato del tempo insieme dopo tanti anni che non si erano visti.
Quel freddo saluto stonava abbastanza con le carezze bollenti di quella notte, ma Keiji si fece forza cercando di farsene una ragione. Dopotutto la fredda assenza di Bokuto lo avrebbe accompagnato per molto tempo.

Le nausee cominciarono all'improvviso. Turbolente e fastidiose tanto da costringerlo a letto per una settimana.
I farmaci contro la nausea non facevano effetto e nella sua mente iniziò a farsi strada l'ipotesi di aver contratto in qualche modo un nuovo virus intestinale fuggito da un laboratorio.
Preoccupato quanto lui per l'inefficacia dei farmaci, il suo medico gli prescrisse delle analisi del sangue per scongiurare patologie più gravi.
Quando gli arrivò il responso, apprese la notizia che la sua malattia non era affatto una malattia ma una diretta conseguenza alla sua condizione di Omega maschio: una gravidanza.
Keiji rilesse la mail giratagli dal medico più e più volte senza capirne effettivamente il senso delle parole. Il che era tutto dire per uno come lui che ci lavorava con le parole.
Gli pareva assurdo... impossibile...
L'unico con cui aveva fatto sesso era stato Bokuto quella sera di ormai diverse settimane indietro e avevano comunque usato il preservativo oltre alla copertura della pillola. Non poteva essere vero. C'era sicuramente un errore bello e buono.
Nonostante fosse più che sicuro di non aver mai saltato un giorno, prese comunque le pillole dal cassetto e controllò meticolosamente.
Tornavano alla perfezione. Non aveva mai saltato un giorno, era stato puntuale come un orologio, dunque perché adesso si ritrovava in quella situazione? Com'era possibile?
E Bokuto? Avrebbe dovuto dirglielo?
Ma cosa avrebbe pensato di lui? Sicuramente che l'aveva ingannato e non si sarebbe fatto problemi ad urlarglielo per telefono.
Poi il suo cervello aggirò il problema con la grazia e la maestria di un acrobata circense e Keiji si convinse che c'era stato uno sbaglio. Un chiaro sbaglio da parte della clinica e nulla più.
Magari uno scambio di fialette o uno scambio nel l'inserimento del destinatario delle mail.
Sicuramente era così. Chiaro e cristallino. Non poteva essere altrimenti.
Dopotutto aveva sempre preso le pillole per non andare in calore, di conseguenza non poteva restare incinto, giusto?
"Sbagliato." Lo corresse il medico sistemandosi gli occhiali sul naso con fare da saccente.
"La pillola non ha un'efficacia garantita del cento per cento innanzitutto." Iniziò il dottore, un medico giovane e altezzoso specializzato nella cura degli Omega e dal quale il proprio medico di famiglia lo aveva indirizzato.
"Antibiotici, alcol o droghe possono abbassarne o annullarne l'effetto, quindi sarebbe opportuno usare un dispositivo di contraccezione secondario. Ha avuto rapporti non protetti di recente?"
"No, protetti assolutamente."
"Preservativo, spirale o...?"
"Preservativo."
"Integro a fine rapporto?" Domandò di prassi il medico e Keiji ci mise qualche secondo prima di rispondere rendendosi conto che effettivamente non ne aveva la più pallida idea.
Non aveva controllato.
"Non serve che risponda."
"N-non ho controllato..." pigolò mortificato, sentendo gravare sulle sue spalle tutto il peso di quel misero sbaglio insignificante.
"Non si preoccupi, avete già deciso se tenerlo o meno?"
Udendo quella domanda, qualcosa all'interno di Keiji si contorse in maniera dolorosa.
Tenerlo? Di che stava parlando? Certo che lo avrebbe tenuto! Era suo figlio. Certo, capitato in un momento inatteso con una persona molto più inaspettata, ma perché avrebbe dovuto rinunciarvi?
Aveva sempre sognato una famiglia, fin da quando era un ragazzino, ma con il passare degli anni aveva dovuto vedere quel sogno sfumare alla fine di ogni relazione.
Istintivamente portò una mano sul basso ventre, come se volesse proteggere il suo cucciolo da quelle parole malvagie.
"Sì, voglio tenerlo." Confessò con calma, sentendo nelle sue stesse parole quanto già amasse quella creaturina minuscola dentro di sé.
"Mi duole ricordarle che in quanto Omega la sua volontà è secondaria rispetto a quella del suo compagno." Comunicò freddamente il medico, con una voce talmente gelida e impersonale da far spavento.
"Sono da solo." Confessò e mai parole furono più pesanti da sorreggere. Persino lo sguardo affilato del medico non lo risparmiò.
"Signor Akashi, la legge impone agli Omega di comunicare la gravidanza al padre in qualunque caso."
"Ma non vive qui e poi è stata solo l'avventura di una notte."
"Signor Akashi, la legge parla chiaro, mi dispiace."
Keiji sospirò stanco. Sembrava che dinanzi ai suoi occhi si fosse palesato un muro insormontabile e lui dovesse scalarlo con dei pesi attaccati alle caviglie.
"Glielo dirò appena possibile." Confessò sputando in quelle parole tutto il nervosismo per quelle stupide leggi. Non aveva chiesto lui di nascere Omega, perché era costretto a fare cose che alle donne non erano richieste?
Perché tanta disparità nei confronti degli Omega? Perché non poteva semplice crescere suo figlio da solo senza avere il benestare di un'altra persona?
"Ve bene." Concesse il medico sistemandosi gli occhiali scesi fino alla punta del naso.
"Non c'è un limite massimo di tempo previsto dalla legge, può dirglielo in qualsiasi momento, ma si ricordi che se il padre non vorrà questo bambino, neanche lei potrà averlo."
Con quell'ultimo monito, Keiji fu certo di provare odio per sé stesso in quanto Omega, odio verso il mondo che lo voleva incapace di fare qualsiasi cosa e odio nei confronti di Bokuto che viveva dall'altra parte del mondo e non poteva essere con lui in quel momento.
Il medico lo fece stendere sul lettino e gli fece sbottonare la camicia.
Sparse un po' di gel sul suo basso ventre e iniziò a cercare con l'ecografo quello che doveva essere il suo più prezioso tesoro.
E Keiji non riuscì a pensare altro che non fosse quanto si sentisse privilegiato mentre ascoltava quel timido cuore che batteva e mentre guardava quel puntino sullo schermo.
Il solo pensiero che qualcuno avrebbe potuto strappargli dal grembo il suo cucciolo, fu una coltellata al cuore. Bokuto stesso avrebbe potuto farlo a pensarci bene, ma si rifiutava categoricamente di prendere in considerazione un'opzione simile.
Se quel ragazzone gentile e premuroso che aveva conosciuto non era stato una bella bugia, allora avrebbero sicuramente trovato un modo per accordarsi.

Tornando a casa, Keiji stringeva la prima fotografia di suo figlio fra le mani come fosse un gioiello prezioso. E dopotutto era proprio così.
Non voleva separarsi da quel piccolo puntino, non voleva che nessuno glielo portasse via, tantomeno Bokuto stesso.
Era nervoso e teso come una corda di violino. Nonostante la promessa di risentirsi, veramente con Bokuto non aveva mantenuto propriamente i contatti. Complice soprattutto il fuso orario opposto, quando per Bokuto la giornata era appena iniziata, Keiji era già a lavoro da un bel po' di ore.
Si erano scambiati qualche messaggio distratto nei giorni immediatamente seguenti alla sua partenza. Poi però la frequenza dei messaggi era scemata pian piano fino a divenire un silenzio ostinato.
Entrando in casa, Keiji cercò di prendere tempo, cercò di ragionare e affrontare il problema razionalmente. Per legge era tenuto ad informare il padre di suo figlio e, quantomeno, convincerlo a volerlo tanto quanto lui. Era pronto anche a comprare il suo responso.
I soldi non gli mancavano e non gli erano mai mancati dopotutto. Non pensava che Bokuto sarebbe arrivato a tanto... quantomeno non pensava fosse il tipo da trascinarlo ad una bassezza simile.
Intanto la fotografia di suo figlio in tasca pesava come un macigno. Un peso bellissimo che era felice di portare, ma la paura di perderlo rovinava quel momento in cui avrebbe soltanto dovuto gioire.
In un altro mondo avrebbe dato la notizia ad un Bokuto entusiasta quanto lui, felice come lui di quel piccolo miracolo.
Ma quello sarebbe stato solo un bel sogno. Ripensò in quel momento alle parole del barista e un sorrisetto divertito gli stese le labbra. "Mica deve essere il padre dei tuoi figli." Aveva detto scherzando e Keiji gli aveva creduto.
Delle volte l'universo aveva uno strano modo per farsi due risate.
Controllò l'orologio in cucina e con un rapido calcolò e intuì l'ora nel paese di Bokuto. Cinque ore di fuso erano un sacco di tempo dopotutto, ma non era troppo tardi per chiamarlo in quel momento. Sarebbe dovuto essere a cena, forse... o magari stava tornando a casa dagli allenamenti.
Era il momento buono per avvisarlo. Sentiva che tergiversare non sarebbe servito a niente se non a farlo desistere. Non che fosse propriamente convinto di quel che stesse facendo, anzi, la paura di perdere quel piccolo puntino era tangibile e forte in lui tanto che le mani gli tremavano da far paura.
Ma era determinato, Keiji, non avrebbe accettato un no come risposta ed era pronto a comprare qualsiasi cosa con il Dio denaro se fosse stato necessario.
Tergiversare e aspettare, avrebbe sicuramente minato questa sua sensazione di onnipotenza e invulnerabilità.
Raggiunse lo studio e si sedette alla scrivania dove lavorava. Il suo primo pensiero fu che quella sarebbe divenuta presto la camera di quel piccolo puntino e non vedeva l'ora di arredarla per il suo arrivo.
Poggiò il telefono sul piano con un sorriso entusiasta all'idea.
Fece partire la videochiamata mentre con l'altra mano estraeva la foto dell'ecografia.
Il primo squillo partì e Keiji percepì tutta quella sicurezza di poco prima crollare a picco.
Che stava facendo? E se non avesse accettato i soldi? E se lo avesse costretto a-... a... nemmeno riusciva a concepirla una parola tanto abominevole mentre aveva fra le mani a foto del suo puntino allungato. Se lo guardava bene, sembrava quasi un piccolo gamberetto.
Un gamberetto bellissimo che viveva e cresceva dentro alla sua pancia e che rischiava di perdere se Bokuto non l'avesse voluto.
Anche il secondo squillo passò e Keiji si mosse a disagio sulla sedia come se si fosse scottato con qualcosa.
Finalmente, dopo quello che gli parve un tempo infinito, il viso sorridente di Bokuto bucò lo schermo come un raggio di sole in una coltre di nubi.
"Akashi!" Esordì pieno di gioia, con quel suo buonumore così genuino.
Keiji avrebbe tanto voluto essere in grado di ridere come lui in quel momento.
"Bokuto-san, perdonami se ti disturbo, ma dovrei parlarti di una cosa importante. Ti ho preso in un brutto momento?"
"Ma no figurati, mi sto preparando la cena."
"Oh... capisco. Forse però sarebbe opportuno che ti sedessi un attimo, vedi, si tratta di una questione piuttosto delicata." Gracchiò Keiji sentendo il peso sul suo cuore salirgli fino in gola.
Stava prendendo tempo. Stava ovviamente prendendo tempo per cercare le parole migliori con il quale presentargli il problema ma senza farlo apparire come tale.
Bokuto fece come gli era stato detto e la sua espressione mutò da estremamente felice a un misto fra il curioso e il preoccupato.
"Sembri nervoso, Akashi, è successo qualcosa?" Gli chiese avvicinando il naso allo schermo per vederlo meglio. Keiji sorrise nervoso sentendo che il momento era finalmente giunto e non poteva più scappare.
Ma la voce non usciva. Con che coraggio poteva confessargli di stare aspettando suo figlio se lui glielo avrebbe portato via? Bastava una sua sola parola dopotutto.
Non lo stava praticamente condannando a morte con le sue stesse mani?
Che razza di genitore era?
"Mi stai facendo preoccup-..."
"Aspetto un figlio." Esalò urlando senza preoccuparsi di averlo interrotto nel bel mezzo di una frase.
Bokuto rimase un secondo perplesso e poi si aprì in un sorriso radioso pregno di felicità.
"Congratulazioni!" Gioì entusiasta e Keiji sentì quel peso sollevarsi dal suo cuore fino a sparire del tutto.
Davvero la stava prendendo così bene?
Forse si era preoccupato per niente.
"Sono tanto felice per te e il tuo compagno, sono certo che sarà un bambino bellissimo e molto figo se prende da te."
Udendo quelle parole, il peso evaporato si consolidò di nuovo nella sua gola. Bokuto non aveva afferrato propriamente il senso di quella chiamata e Keiji si diede dello stupido mentalmente per aver pensato che tutto sarebbe andato per il meglio anche solo per un momento.
"Veramente non ho un compagno, Bokuto-san, e non ho più avuto rapporti sessuali con nessuno dopo di te." Confessò sperando che l'altro capisse al volo. In effetti la sua espressione mutò ancora divenendo cupa e preoccupata.
"Mi dispiace Akashi, sei un ragazzo bellissimo e così figo poi! Non riesco a capire come sia possibile che nessuno si sia interessato a te finora."
Keiji sbatté le palpebre piuttosto confuso. Giustificava l'ingenuità e tutto, ma Bokuto stava rasentando l'assurdo e minando pericolosamente i suoi nervi già malmessi.
Poi fu questione di un secondo e qualcosa parve illuminarsi nei suoi occhi come una candela accesa.
"Aspetta... stai dicendo che è mio?" Domandò improvviso senza nascondere l'allarmismo che gli graffiava la gola. Keiji deglutì facendosi coraggio. Con una mano andò a carezzarsi il ventre. Sperava soltanto che quella non fosse la sua ultima carezza.
Annuì sentendo le lacrime pizzicargli gli occhi e il dolore esplodergli nel petto. Finalmente aveva vuotato il sacco, finalmente Bokuto sapeva. Allora perché si sentiva come se avesse appena poggiato la testa sul ceppo del boia?
Se avesse alzato lo sguardo, avrebbe visto la lama della scure pendere sul suo collo?
"COSA?! Akashi dici davvero?!" Sentì le grida bucare lo schermo e perforargli i timpani. Ma dalla voce, Bokuto non sembrava contrariato o schifato all'idea.
Alzò lo sguardo di nuovo sullo schermo. L'inquadratura era cambiata, adesso Bokuto era in orizzontale che si teneva i capelli con una mano. Però aveva uno splendido sorriso sulle labbra.
Sembrava... felice della cosa. Non voleva azzardare, ma era piuttosto certo che una persona che non voleva un bambino non avrebbe sorriso in quel modo.
"Bokuto-san, sei sul pavimento?"
"Sì, sono caduto dalla sedia." Gli spiegò il pallavolista arrampicandosi su quest'ultima per tornare seduto. La fotocamera del cellulare si mosse assecondando i suoi movimenti e Akashi dovette distogliere lo sguardo appena percepì la nausea coglierlo all'improvviso.
"Akashi, tutto bene? Hai una faccia davvero pessima!" Domandò l'altro avvicinandosi allo schermo così tanto che Keiji vide soltanto il suo naso per qualche secondo.
"Sì, più o meno..." concesse coraggiosamente.
"Le nausee mi danno il tormento."
"Oh... mi dispiace tantissimo, vorrei essere lì ed aiutarti in qualche modo." Quelle parole furono miele per il suo animo martoriato. Dolcissime e improvvise proprio come era stato Bokuto con lui.
"Non preoccuparti, piuttosto dovremmo parlare del bambino. Sei il padre biologico e hai diritto di scegliere se lo vuoi o meno-..."
"Certo che lo voglio!" Lo interruppe bruscamente l'altro alzando la voce con il suo impeto per poi pentirsene subito dopo.
"Non volevo alzare la voce... scusami Akashi."
"N-non preoccupati..." gli sorrise l'altro colto di sorpresa.
Alla fin fine si era davvero preoccupato per niente?
Tirò un sospiro di sollievo talmente rumoroso che Bokuto sobbalzò dall'altra parte dello schermo.
Lo ringraziò accorato, con le lacrime agli occhi e la voce incrinata tipica di chi è prossimo al pianto.
Cercò di ricomporsi alla bene e meglio, ma il sorriso felice che non riusciva a togliersi dalla faccia pareva bucare lo schermo e coinvolgere anche Bokuto.
"Sei così bello quando sorridi..." sospirò il pallavolista guardandolo attraverso lo schermo con occhi sognanti. Akashi rise di gusto della sua onestà quasi imbarazzante, ma non riuscì a non arrossire un po' per il complimento.
"Grazie Bokuto-san." Gli sorrise gentile, mentre sentiva il cuore aumentare i battiti nel suo petto. Possibile che anche dopo più di un mese di assenza, Bokuto gli facesse ancora quell'effetto?
"Oggi sono stato dal medico e ho fatto la prima ecografia, quindi... ecco..."
"Oh Cielo, ce l'hai con te, vero? Posso vederla?" Domandò pieno di entusiasmo e aspettativa, sembrava che non stesse nella pelle e di questo Keiji ne gioì tantissimo.
Prese la foto dal tavolo sul quale l'aveva abbandonata per non rovinarla e la girò in modo che venisse inquadrata dalla fotocamera.
"Riesci a vedere?" Gli domandò e sentì dall'altra parte Bokuto sospirare con aria quasi innamorata. Almeno, così gli era sembrato udendolo. Sbirciò di nascosto con la scusa di controllare l'inquadratura e lo beccò ad asciugarsi lesto e furtivo una piccola lacrima.
"È un gamberetto bellissimo, Akashi..." pigolò il pallavolista con voce commossa e Keiji sentì il suo cuore stringersi nel vederlo e sentirlo così sinceramente commosso.
"Se vuoi posso inviartela per mail, così ne avrai una copia anche te." Si offrì e Bokuto annuì senza rispondere, continuando a guardare lo schermo con quegli occhioni luminosi innamorati.
"Quando farai la prossima?" Gli domandò dopo un po', quando ebbe calmato almeno il pianto.
"Fra tre settimane. Il medico mi ha spiegato che i bambini degli Omega sono sensibilmente più piccoli e quindi hanno bisogno di controlli più frequenti."
"Capisco. Mi piacerebbe essere lì con te quando sarà il momento."
"Del parto?" Domandò confuso e Bokuto negò con la testa.
"Della prossima ecografia. Magari anche per il parto, perché no?!"
Keiji allora si sentì in dovere di svincolarlo da certi doveri che forse Bokuto pensava di dover assolvere.
Non che non lo volesse al suo fianco, anzi, gli sarebbe piaciuto che loro figlio avesse due figure genitoriali in buon rapporto e quantomeno nello stesso emisfero. Ma al contempo non voleva imporre quella gravidanza a Bokuto se non era nei suoi interessi.
Aveva già considerato l'idea di essere un genitore single e l'aveva accettata senza battere ciglio. Non sarebbe certo stato un problema e di sicuro non voleva negare la carriera dell'altro.
"Non sei obbligato a farlo." Gli comunicò serenamente, quasi come se stessero parlando del più e del meno.
"Insomma, capisco che la tua vita sia al di là del Giappone, quindi non vorrei che tu ti sentissi in alcun modo costretto a starmi vicino." Concluse il discorso con un sorriso di cortesia, il cuore leggero e la coscienza pulita.
Bokuto sembrava non aver afferrato propriamente il senso di quelle parole e aveva portato una mano sul mento ragionandoci sopra.
"Ti ho già inviato la foto dell'ecografia, adesso però devo lasciarti. A presto, Bokuto-san."
Chiusero la chiamata con un saluto di circostanza freddo e distaccato quasi professionale.
Bokuto aveva ancora l'aria pensosa ad aleggiare sulla sua faccia e Keiji aveva tutta l'intenzione di lasciargli il tempo di cui aveva bisogno.
Dopotutto avevano creato una nuova persona all'improvviso e Bokuto poteva aver bisogno di un po' di solitudine per metabolizzare la cosa dopo l'entusiasmo iniziale.
E poi, inutile negarlo, ma aveva un bel po' di manoscritti da revisionare perché quella maledetta nausea che lo aveva costretto una settimana a letto, lo aveva fatto ritrovare indietro con il lavoro in maniera spaventosa.
Prima di mettersi anima  corpo sul nuovo manoscritto però scrisse una mail all'ufficio delle risorse umane avvertendoli della sua gravidanza.
Qualche pagina dopo il primo capitolo, esattamente mezz'ora dopo l'invio della mail, il suo capo gli telefonò per accordarsi sul lavoro da fare per i manoscritti ancora in suo possesso e che erano stati assegnati alla sua revisione. Per non parlare degli autori con i quali era in contatto e che si trovavano bene a lavorare esclusivamente con lui.
Dopo un'ora intensa al telefono, Keiji lo convinse a lasciargli i manoscritti più leggeri e senza una scadenza impellente in modo che potesse continuare a lavorare da casa per qualche mese.
Tanto avrebbe letto comunque come un pazzo, quindi meglio avvantaggiarsi con il lavoro.
Si accordarono per il giorno seguente in cui Keiji sarebbe comunque passato dal lavoro per riportare i manoscritti cartacei e dare al capo i contatti privati degli autori che lavoravano esclusivamente con lui.
Quando riattaccò il telefono, si rese conto che la voce dell'uomo di cui credeva di essere innamorato da anni a quella parte, era distante secoli dal suo cuore.
Non gli importava più di lui, non bramava l'idea di volerlo conoscere al di fuori del lavoro come prima. In realtà, pensandoci bene e paragonandolo con Bokuto, non era nemmeno poi tutta questa gran bellezza.
Forse era cambiato lui, ma ripensando anche a quel commento sul suo modo di essere, forse era stato uno sciocco a prendersela tanto.
Alzò le spalle con noncuranza chiudendo definitivamente quel capitolo della sua vita e tuffò il naso sul manoscritto che aveva davanti.

Si stiracchiò sulla sedia ufficialmente stanco. Aveva revisionato ben quattro capitoli lunghissimi dello scrittore più prolisso e pedante con cui lavorava. Certo, era un vero e proprio genio, i suoi libri si vendevano come il pane, ma amava fin troppo descrivere i suoi mondi incantati. Finanche troppo spesso, Keiji doveva fermarsi e rifare il punto della situazione perché dopo pagine e pagine di descrizioni aveva perso completamente il filo della trama.
Si alzò dalla scrivania che ormai era l'ora di cena inoltrata. Nonostante non avesse poi così tanta fame, si sforzò lo stesso di ingurgitare un pasto completo. Dopotutto quelle calorie assimilate sarebbero servite per due persone.
Si coricò piuttosto presto, impostando una sveglia per la mattina seguente, ma non riuscì subito a prendere sonno.
Nel buio della sua stanza, una mano corse sul suo ventre praticamente piatto e l'altra scivolò fra le lenzuola sulla parte di letto dove aveva dormito Bokuto quella notte.
Un senso di sconforto lo colse all'improvviso inumidendogli gli occhi mentre immaginava un mondo diverso, dove sdraiato al suo fianco c'era il padre di suo figlio e quella mano sulla pancia non era la sua, ma quella grande, forte e calda di Bokuto.

Il mattino seguente prometteva acqua per tutto il giorno. Il cielo plumbeo, denso di nubi scure, non lasciava molto spazio all'immaginazione dopotutto.
Keiji si coprì ben bene e prese un ombrello da portare con sé. Al momento non stava piovendo, ma non aveva idea di quanto tempo avrebbe impiegato in ufficio e sembrava che le nuvole non avrebbero retto per molto tutta l'acqua che promettevano.
Prese la metro cercando di non farsi schiacciare troppo dagli altri passeggeri. Teneva sempre una mano sul basso ventre a protezione istintivamente.
Forse era un po' esagerato, doveva ammetterlo, ma l'idea che qualcuno potesse fare del male a suo figlio anche involontariamente, scatenava in lui un senso di allarme istintivo.
Gli venne spontaneo domandarsi quanto avesse accusato il fatto di dover rinunciare a suo figlio qualora non Bokuto non lo avesse voluto.
Razionalmente sapeva che nessuno gli avrebbe fatto mai del male, ma inconsciamente non poteva fare a meno di essere terrorizzato all'idea di perderlo. Sentiva in sé un istinto di protezione verso quel piccolo gamberetto talmente forte da sembrare invincibile.
E non poteva che essere felice di aver conosciuto una persona splendida come Bokuto. Senza di lui, forse sarebbe tutto finito prima ancora di iniziare. Un altro, al suo posto, non avrebbe mai accolto con così tanta emozione la notizia di avere un figlio oltreoceano.
Arrivò in ufficio e andò dritto dal suo capo con la borsa piena di manoscritti e l'agenda fra le mani.
Qualche collega si voltò a guardarlo senza nascondere lo stupore stampato sulla faccia. I bisbigli dei pettegolezzi gli punsero le spalle fin da subito.
La notizia del suo congedo per maternità doveva essersi allargata a macchia d'olio prima di quanto si aspettasse. Onestamente, non gliene poteva importare di meno.
Se la sua felicità era per gli altri argomento di pettegolezzi, non era un suo problema.
Bussò alla porta del suo capo e attese che un vigoroso "avanti" gli desse il via libera per entrare.
Dopo un'ora e mezza circa riemerse dall'ufficio stanco e stremato. Pensava di dover consegnare i manoscritti e i contatti degli autori, invece il capo aveva ben pensato di distribuire la sua mole considerevole di lavoro fra gli altri dipendenti. Peccato che era stato proprio Keiji a dover spiegare ad ogni dipendente come fare il proprio lavoro e non il suo capo che, evidentemente poco interessato, si era messo a giocare con il telefono a volume piuttosto considerevole.
Più di una volta i colleghi gli avevano rivolto uno sguardo lungo  di compassione, ma Keiji aveva preferito ignorarli e continuare a sopperire al suo capo scansafatiche.
Almeno aveva definitivamente raggiunto la consapevolezza di aver avuto gli occhi foderati di prosciutto fino a quel momento. Il suo capo era un vero coglione e il fatto che se ne fosse accorto soltanto in quel momento era davvero triste.
Sospirò stiracchiandosi il collo. I muscoli della cervicale gli dolevano parecchio, forse non aveva fatto bene a starsene chino alla scrivania tante ore di fila il giorno prima.
Uscì dall'ufficio con la borsa tracolla decisamente più leggera.
Alla fine aveva tenuto per sé solo tre manoscritti cartacei di media grandezza e, una volta terminata la revisione di questi, avrebbe potuto richiederne altri in pdf al suo capo.
Come accordo era piuttosto ragionevole, soprattutto per il fatto che non aveva una scadenza da dover rispettare e poteva revisionarli con tutta la calma del mondo.
Imboccò l'ingresso dell'edificio quando una voce molto familiare lo chiamò all'improvviso facendolo sussultare.
Keiji si voltò di scatto incontrando gli occhioni luminosi di Bokuto che lo guardavano come se fosse la persona più bella di questo mondo.
E Keiji si sforzò quasi di non farsi venire il batticuore, ma quel sorriso e quello sguardo erano così preziosi che era difficile non sentirsi privilegiati.
"Bokuto-san?" Domandò confuso compiendo un piccolo inchino di scuse verso le signorine all'ingresso che erano sobbalzate dalla paura tanto quanto lui.
Lo raggiunse con ampie falcate nella zona dell'ingresso dove c'erano i divanetti e notò subito tre valigie enormi disposte intorno a lui come un fortino.
"Akashi!" Gioì di nuovo l'altro buttandoglisi al collo e stringendolo in un abbraccio caloroso. Keiji si sentì subito a disagio per quella dimostrazione di affetto così esplicita in pubblico. Sentiva già gli occhi addosso dei presenti e delle signorine della reception.
"Bokuto-san, non mi sento a mio agio in questo momento" gli confidò piano nell'orecchio e l'altro si staccò all'istante come se si fosse scottato.
"Giusto! Perdonami Akashi!" Esordì per poi inginocchiarglisi davanti incurante degli sguardi dei curiosi che intanto si erano più che moltiplicati.
Keiji immaginò che anche quella scenetta sarebbe divenuta oggetto di pettegolezzi.
Poi Bokuto poggiò le mani sul suo ventre e ci avvicinò le labbra in un tenero bacio. Il mormorio dei presenti si alzò di livello, ma Keiji non se ne curò troppo occupato a godersi la scena di suo figlio che conosceva per la prima volta suo padre.
Bokuto sorrise alla sua pancia con occhi innamorati e Keiji si godette quel momento con sguardo avido e bramoso di ricevere di più. Quel dolce momento meritava tutta la privacy del necessario e, anche se Bokuto aveva optato per qualcosa di improvviso e piuttosto eclatante, Keiji non aveva nessuna intenzione di portarglielo via.
"Ciao gamberetto, è un piacere conoscerti." Gli sussurrò piano e Keiji sentì le lacrime inumidirgli gli occhi all'istante. L'emozione era così forte, così intensa e travolgente che non riuscì a trattenersi: un piccolo singhiozzo sfuggì alle sue labbra e gli occhi color miele di Bokuto furono subito per lui.
"Che succede Akashi?" Domandò con aria confusa, proprio come se stesse cadendo dalle nuvole e Keiji non dubitò neppure per un istante che non fosse così.
"È solo che gli abbiamo dato lo stesso soprannome..." farfugliò impacciato cercando di non piangere. Sentiva di aver dato abbastanza spettacolo e fornito sufficiente materiale da pettegolezzi per i prossimi sei o sette anni.
Poi Bokuto sorrise felice e tutto il suo mondo s'illuminò di una luce calda e avvolgente come un abbraccio.
Era così bello quando sorrideva...
Si schiarì la voce e cercò di tornare in sé. La sua presenza in Giappone aveva scatenato in Keiji molte domande ma l'ingresso del suo posto di lavoro non era il luogo adatto per discutere. E poi avevano dato davvero abbastanza spettacolo.
Lo invitò ad uscire e andare a bere un caffè insieme, carichi come muli da soma di tutte quelle valigie che Bokuto si era portato.
Da perfetto galantuomo però, s'impuntò categoricamente e le portò tutte e tre lui asserendo che Keiji doveva solo starsene a riposo, pensare a sé stesso e al bambino, ma soprattutto a non portare pesi inutili. Se solo avesse saputo la quantità di manoscritti che si era portato nella borsa, probabilmente avrebbe dato di matto.
Entrarono in una caffetteria piuttosto piccola e intima. Sembrava un esercizio a conduzione familiare, uno di quei posti vintage, con i tavoli in legno scuro e la macchina del caffè vecchio stile.
Bokuto si sistemò ad uno dei tavoli più vicini alla parete e poggiò le valigie in modo che non intralciassero il passaggio a nessuno. Non che il locale fosse particolarmente affollato... ed era un vero peccato perché sembrava una vera chicca scavata in una metropoli super tecnologica.
Keiji si avvicinò al bancone e ordinò una tazza di the inglese al limone e qualche pasticcino alla frutta.
Bokuto lo raggiunse poco dopo e per sé prese una cioccolata con tanta panna e granella di nocciole.
Quando la cassiera gli fece lo scontrino, Keiji aveva già il portafoglio in mano, ma Bokuto non ci aveva pensato un secondo a sfilarglielo dalle dita e offrire lui per entrambi.
Si sedettero al tavolo selezionato da Bokuto in silenzio anche se Keiji era piuttosto contrariato per il suo comportamento davanti alla cassiera.
"Grazie per aver offerto tutto, ma potevo permettermi di pagare anche io." Il suo voleva essere un ringraziamento sincero in realtà, il vetriolo non avrebbe dovuto essere incluso in quelle parole.
"Lo so, Akashi. Volevo essere gentile, non pensavo di offenderti, mi dispiace."
"Ma no, non sono offeso..." sospirò ruotando gli occhi al cielo. Quando Bokuto gli rivolgeva la parola e quei suoi occhioni di ambra lo guardavano in quel modo, tutto il suo nervosismo scemava via come se nulla fosse. Era estremamente vulnerabile a quegli occhi splendidi e la cosa non gli piaceva affatto.
"Ah meno male! Non sarei felice sapendo di averti mancato di rispetto in qualche modo!" Esalò l'altro con un sospiro piuttosto rumoroso e drammatico. Keiji sorrise mestamente divertito dai suoi modi di fare, ma si guardò bene dal dirglielo apertamente, anzi nascose tutto dietro alla sua tazza di the mentre ne prendeva un piccolo sorse.
Bokuto fece altrettanto sporcandosi il naso di panna. Keiji stavolta non si trattenne e gli rise in faccia per poi scusarsi mortificato e porgergli un fazzoletto.
Dopo che Bokuto si fu ripulito al meglio, Akashi si aggiustò sulla sedia tornando serio e pronto per affrontare l'argomento della sua presenza in Giappone.
"Bokuto-san, ti ho invitato fuori perché volevo chiederti come mai sei tornato in Giappone."
"Per te e gamberetto. Aspetta, ma non lo chiameremo mica così davvero?" Domandò allarmato Bokuto e si rilassò soltanto dopo che Keiji ebbe dato la sua risposta negativa.
"Bokuto-san, non capisco quello che intendi. Posso capire che tu voglia essere presente nella vita di nostro figlio, ma non comprendo cosa abbia a che fare questo con me."
Bokuto sembrò colto alla sprovvista da quella frase. Sembrava che Keiji gli avesse appena rovinato i piani di una vita con l'uso di sole poche parole.
Infatti, dopo qualche secondo di silenzio, Bokuto si sporse in avanti facendoglisi più vicino quasi come se volesse confessargli un segreto.
"Mi stai dicendo che non vuoi sposarmi?"
Udendo quella domanda, Keiji avvertì un brivido lungo tutta la colonna vertebrale e poi in ogni diramazione del suo corpo fino alla punta dei capelli.
Matrimonio? Aveva capito bene?
Bokuto aveva forse bevuto?
"Certo che no!"Gli rispose acidamente, sorseggiando il suo the per calmare i nervi in allarme rosso.
"Ma non si fa così scusa? Quando un uomo mette incinta una donna, dopo non se la deve sposare?"
"No, non siamo più nel medioevo e gradirei se non mi paragonassi ad una donna."
"Oh... cacchio, scusa Akashi, non volevo offenderti, mi dispiace tanto."
"Non preoccuparti, Bokuto-san." Esalò prima di prendere un altro lungo sorso del suo the. Ripensandoci, forse avrebbe fatto meglio a prendere una teiera intera. Dopotutto si prospettava all'orizzonte una conversazione davvero lunga e tortuosa.
"Bokuto-san, ci tengo ad essere ben chiaro fin da subito." Esordì schiarendosi la voce. Gli occhi di Bokuto furono su di sé ancora una volta, luminosi e grandi proprio come quelli di un gufo.
"Il fatto che avremo questo bambino insieme, non significa necessariamente che avremo una relazione noi due."
Bokuto lo guardò stranito e confuso, come se quelle parole fossero difficili da comprendere e assimilare.
"Come no?" Domandò con voce allarmata e Keiji negò forte con la testa.
Nonostante fosse tremendamente attratto da Bokuto, non aveva assolutamente intenzione di imbarcarsi in una storia forzatamente solo perché avrebbero avuto un bambino insieme. Sarebbero sempre stati legati per questo, per aver avuto loro figlio insieme, ma Keiji non voleva creare una relazione amorosa forzatamente, con la tensione e l'ansia perché dovevano per forza stare insieme in quanto genitori. No, non aveva intenzione di rinunciare ad un amore vero e sincero in favore di una relazione forzata con il padre di suo figlio. Non voleva questo né per sé e né tantomeno per Bokuto stesso.
"Non voglio forzarci in un legame affettivo solo perché avremo un bambino insieme. Non sarebbe giusto per entrambi, quindi vorrei che ti considerassi completamente libero e senza obblighi di alcun tipo nei miei confronti." Gli spiegò esaustivamente, nel modo più chiaro e limpido che riuscisse a concepire.
Bokuto annuì ancora serio e pensoso. Forse stava ancora rimuginando sulle sue parole, non se ne sarebbe stupito più di tanto.
"Wow..." esalò Bokuto sprofondando sulla sedia come se avesse appena avuto un'illuminazione.
"Sei davvero un figo Akashi." Si complimentò con lui con la solita frase che gli aveva sempre detto, solo che stavolta il suo entusiasmo era ridotto ai minimi storici.
I suoi occhi non brillarono affatto pregni di entusiasmo e soprattutto il suo bel sorriso luminoso non gli distese le labbra.
Keiji immaginò di averlo ferito e un po' se ne dispiacque, ma su quell'argomento era inamovibile. Bokuto aveva diritto di vivere la sua vita come meglio credeva e non doveva sentirsi ingabbiato dalla gravidanza in alcun modo. Era giusto così dopotutto.
Non negava di aver fantasticato un po' immaginando Bokuto come suo compagno e la cosa gli era piaciuta davvero molto, ma non sarebbe stato corretto incentivare una fantasia egoistica solo per mero capriccio. Non gli avrebbe mai fatto una cosa del genere.
"Sei arrivato da molto in Giappone?" Domandò Keiji cambiando discorso. Il silenzio iniziava a farsi fin troppo pesante e la conversazione languiva.
"No, appena arrivato sono andato alla casa editrice dove lavori e ho chiesto di te alle signorine dell'ingresso. Poi ti ho aspettato per una mezz'ora almeno."
"Mi dispiace, non avrei dovuto metterci così tanto per accordarmi con il capo." Bokuto alzò le spalle con noncuranza.
"Non importa, almeno mi sono riposato."
Ancora silenzio. Keiji bevve un lungo sorso del suo the e Bokuto fece lo stesso con la sua cioccolata. Stavolta però non si sporcò la faccia di panna.
"Per quanto ti fermi?" Domandò ancora cercando di portare avanti la conversazione.
"Per sempre." Fu la risposta di Bokuto che lo fece quasi strozzare.
"Akashi, attento!"
"Come per sempre?!" Gracchiò tossendo composto in un tovagliolo di carta. Bokuto si sporse in avanti poggiandogli una mano sulla spalla come a volersi sincerare delle sue condizioni.
"Mi era stato proposto un contratto con una squadra di Tokyo poco dopo... sì insomma... dopo che ci siamo conosciuti." Spiegò a grandi linee arrossendo vistosamente al ricordo della loro unica notte passata insieme.
"Dopo la tua videochiamata, ho pensato molto a quello che volevo fare e quindi ho chiamato la società per sapere se l'offerta era ancora valida e alla fine l'ho accettata.
Oggi pomeriggio dovrei andare a ritirare la divisa nuova." Confessò Bokuto fiero di sé stesso e il cuoricino sensibile di Keiji fece una capriola nel suo petto.
Bokuto era una persona così dolce, un padre così amorevole che per suo figlio aveva rinunciato alla sua squadra e si era trasferito in Giappone solo per lui.
Keiji non riuscì a non essere grato all'universo per aver messo Bokuto sulla sua strada. Era piuttosto certo che non esistesse un ragazzo più dolce, tenero e buono di lui in tutto l'universo.
"Avevo pensato di fermarmi da te e poi comprare una casa più grande dopo il matrimonio, ma a questo punto penso che dovrò pensare a qualcosa solo per me..."
"Puoi fermarti da me per tutto il tempo che ti serve, non preoccuparti. Anzi, mi sarai di grande aiuto per sistemare la stanza per il bambino." Gli concesse con il cuore in mano e Bokuto gli sorrise entusiasta all'idea ringraziandolo a profusione come un treno in corsa.
Tornarono a casa insieme, chiacchierando del più e del meno come una vera coppia. Bokuto era adorabilmente protettivo nei suoi confronti e faceva un sacco di domande sul bambino e su quell'unica ecografia che Keiji aveva fatto ma alla quale Bokuto non era presente.
"Hai sentito il suo cuore?" Gli chiese con le guance arrossate e gli occhi sognanti di un bambino mentre entravano in casa.
Keiji sorrise annuendo e l'altro si aprì in un'espressione gioiosa che non lasciava dubbi sul suo genuino entusiasmo. Bokuto era limpido e cristallino come una pietra preziosa. Delle volte gli sembrava proprio un bambino, ogni sua emozione, ogni suo pensiero veniva proiettato sul suo viso senza alcun filtro.
Gli poggiò la mano sul ventre ancora piatto. Keiji non se lo aspettava e sobbalzò preso alla sprovvista per poi sciogliersi contro quel tocco caldo e avvolgente.
"E dimmi, com'era?"
"Bellissimo."

Cenarono insieme come se fosse consuetudine da sempre. Bokuto preparò la cena, mentre Keiji sistemò il futon nel suo studio e trasportò i manoscritti del lavoro nella sua camera in modo che Bokuto potesse disfare i suoi bagagli ed usufruire di tutto lo spazio di cui necessitava.
Quando ebbe finito, lo raggiunse per aiutarlo a finire di sistemare i piatti sul tavolo.
Si sedettero uno di fronte all'altro e iniziarono a chiacchierare del più e del meno. Bokuto aveva preparato una cena semplice e leggera asserendo che non fosse una buona abitudine riempirsi di cibi pesanti prima di andare a dormire. Keiji lo ascoltava sempre incantato dalle sue parole, come se gli stesse svelando un mondo nuovo che lui non conosceva.
"Sai, giocavo a pallavolo quando ero al liceo." Gli confidò soltanto per vedere il suo viso illuminarsi di sorpresa e così fu. Lo spettacolo fu esattamente come se lo era immaginato.
"Davvero? Che ruolo?"
"Alzatore" rise composto coprendosi la bocca con una mano e Bokuto si aprì in mille e più elogi sul suo conto aggiungendo il classico "sei davvero figo!" alla fine, come se a Keiji già non fosse ben chiaro.
Dopo cena Bokuto si offrì di lavare i piatti per ripagare la sua ospitalità. Keiji gli aveva detto più e più volte che non era un problema, che lo faceva volentieri, ma l'altro era stato irremovibile.
Gli si piazzò al fianco allora, con un canovaccio fra le mani e asciugò i piatti appena lavati dall'altro.
Fece finta di non notare lo sguardo ed il sorriso che il pallavolista gli rivolse. Era una novità insolita quella di avere in casa qualcuno, soprattutto per Keiji che non era solito condividere il proprio spazio.
Con Bokuto però doveva ammettere che era quasi normale. Anzi, gli piaceva averlo intorno e parlarci per ore. Era un'anima completamente diversa dalla sua, due opposti proprio, ma per qualche strana ragione stava bene con lui. Il suo modo di fare era divertente e sempre nuovo, mai scontato. Non si sentiva annoiato o frustrato dalla sua presenza, ma quasi affascinato.
Non ci volle molto a capire che Bokuto aveva un forte ascendente su di lui. Era qualcosa di profondo, di primitivo. Keiji si sentiva attratto da lui non solo fisicamente, ma con qualcosa di ancora più forte. Possibile che quel batticuore che sentiva fosse solo perché Bokuto era il padre di suo figlio?
Però quando lo guardava in quel modo prezioso e gli sorrideva così dolce, Keiji sentiva che no, non poteva essere solo per una motivazione così banale.
C'era di più, c'era molto di più ed era perché non aveva mai conosciuto una persona come lui, così dolce e premuroso. Quando lo guardava in quel modo, lo faceva sentire speciale e desiderato come se fosse la cosa più preziosa di questo mondo.
Lo aiutò a disfare i bagagli e a disporre i vestiti nell'armadio. Bokuto aveva portato tutta la sua vita in Giappone e gli era esplosa nello studio come una bomba di vestiti.
Dovette fargli posto nel proprio armadio per cercare di arginare almeno in parte quel delirio.
Quando ebbero quasi finito di sistemare la moltitudine di vestiti di Bokuto, Keiji sbadigliò rumorosamente e si stropicciò un'occhio sotto la lente dell'occhiale.
"Sembri stanco, scusa." Esordì Bokuto sorridendogli colpevole. Keiji fu contagiato da quel sorriso luminoso e si ritrovò ad arrossire e deviare lo sguardo.
Era davvero bello quando sorrideva.
"Ma no, figurati... ti serviva una mano, altrimenti avresti passato la notte sveglio." Gli fece notare e Bokuto gli diede ragione ridendo fragorosamente.
"A che ore hai il primo allenamento con la squadra domani? Se vuoi posso accompagnarti." Si offrì gentile e Bokuto esultò esuberate come se gli avesse appena chiesto di sposarlo.
"Davvero?! Fantastico! Sei il migliore Akashi!"
"Non sei di queste parti, mi pare il minimo."
"Grazie, sei davvero gentilissimo, comunque l'allenamento ce l'ho dalle sedici fino alle diciannove. Il tempo di fare la doccia e torno a casa."
"Ti torno a prendere, così facciamo la strada insieme."
"Ma non voglio che ti affatichi troppo." Gli confessò sincero, mettendo su un piccolo broncio che sembrava proprio quello di un bambino.
Gli si avvicinò frontalmente e poggiò le mani aperte a coppa sul suo bassoventre. Keiji lo lanciò fare. Gli piaceva quando lo toccava in quel modo, era davvero dolce.
"Mi sembra già più tonda." Constatò continuando a carezzarlo il lungo e in largo, creando scie bollenti sulla sua camicia leggera.
Keiji si ritrovò a sperare di approfondire il contatto, di risentire di nuovo quelle mani sulla pelle. Di essere toccato da lui ancora una volta, perché quella notte soltanto non era stata abbastanza e lui ne voleva di più.
Poggiò la mano su quella grande e calda di Bokuto. I loro occhi si trovarono subito e i loro sguardo s'incatenarono l'uno all'altro indissolubilmente. Lo voleva, Keiji lo desiderava con tutto sé stesso, ma sarebbe stato giusto?
E Bokuto? Era suggestionato quanto lui da quella gravidanza o lo desiderava davvero?
Si ricordò di quella mattina alla caffetteria, quando gli aveva chiesto di sposarlo senza troppi giri di parole. Abbassò lo sguardo e fece emotivamente un passo indietro. Se lui si sentiva attratto da Bokuto, non era comunque giusto che lo sfruttasse per appagare i suoi bisogni sentimentali.
"N-non è possibile che la pancia sia cresciuta da questa mattina." Gli fece notare con voce roca ma distaccata. L'altro sorrise mesto e i suoi occhi persero luminosità, ma Keiji non lo vide tanto era occupato a guardarsi i piedi.
"Sarà che non vedo l'ora che cresca." Sospirò il pallavolista sciogliendo quel goffo abbraccio e tornando a disfare i suoi bagagli. Keiji avvertì un po' di freddo appena si allontanò e si strinse nelle spalle come ferito.
"Anche io, Bokuto-san." Confesso prima di ritirarsi in camera e mettersi a letto.
Steso fra le lenzuola di quel letto freddo e solo, Keiji continuava a sentire il calore delle mani di Bokuto sulla pancia. Razionalmente cercava di mantenere la calma, cercava di non lasciarsi coinvolgere dagli eventi perché solo di eventi si trattava. Non poteva provare dei sentimenti per Bokuto, quello che sentiva altro non era che attrazione fisica indubbiamente. Dopotutto con Bokuto aveva condiviso il sesso migliore della sua esistenza e neanche troppo tempo prima, era normale che la sua presenza gli risvegliasse degli appetiti strani e con essi tante emozioni.
Se solo avesse avuto il coraggio di alzarsi e tornare da lui, avrebbe trovato il pallavolista con lo sguardo ancorato alla porta dalla quale era sparito poco prima e con la delusione dipinta sul viso.

Il mattino seguente fu come ogni mattino della sua vita.
Keiji si alzò dal letto stiracchiandosi le braccia e le gambe. La schiena gli doleva leggermente e non se ne spiegava il motivo. Forse aveva dormito in una posizione strana di notte e ne avrebbe scontato le pene quel giorno.
Uscì dalla camera e subito odore di cibo gli riempì le narici e lo stomaco.
Si recò in cucina e trovò Bokuto vestito con una tuta che disponeva sul tavolo quella che Keiji intuì fosse la loro colazione: pancake.
Sembravano deliziosi alla vista, con quella marmellata sopra a pioggia davvero invitante.
Il pallavolista gli diede il buongiorno con il suo solito sorriso brillante e contagioso e Keiji ne rimase affascinato come ogni volta.
Sentì un capogiro impossessarsi della sua testa, il cuore accelerare nel suo petto e l'odore dei pancake farsi più forte, intenso e molesto. Nauseante.
Corse in bagno a vomitare senza curarsi di non aver replicato al buongiorno dell'altro come un vero e proprio maleducato.
Respirò a fatica dopo aver rimesso e continuò a tenere gli occhi serrati dalla vergogna.
Chissà cosa avrebbe pensato Bokuto di lui, chissà cosa stava pensando in quel momento, quando lo aveva visto fuggire con una mano sulla bocca nauseato dopo aver visto la sua splendida colazione.
Poi una mano grande e calda gli si poggiò sulla fronte tirandogli indietro i riccioli scuri. Un corpo caldo gli si strinse contro e un'altra mano gentile scese a viziarlo sul suo basso ventre con lunghe e lente carezze.
"Bokuto-san... non occorre-..." cercò di svincolarlo da quella situazione, ma un altro conato ebbe la meglio e Keiji vomitò ancora, stavolta fra le braccia di Bokuto. Non che gli desse fastidio, anzi, le sue mani non lo disturbavano mai e il suo corpo caldo scaldava il proprio gelido e scosso. Immaginava però che non fosse proprio un bello spettacolo per l'altro di primo mattino e desiderò di potersi nascondere in quel momento per la vergogna.
"Non pensare a me, Akashi, butta fuori tutto e pensa a stare meglio."
Quelle parole non ammettevano replica e, dopotutto, Keiji non sapeva nemmeno come controbattere a tanta dolcezza e a tanta premura.
Era senza parole, così come gli capitava spesso da quando Bokuto era con lui.
Accolse le sue parole come manna dal cielo soprattutto per esigenza in quel momento. Si abbandonò fra le sue braccia fregandosene di risultare davvero inopportuno e si lasciò cullare dal calore che emanava il suo corpo.
La mano sul suo ventre continuava a muoversi lentamente come una coccola infinita che Keiji volle immaginare egoisticamente per sé e non per il loro gamberetto.
"Smetti di fare i dispetti alla mamma." Sussurrò piano Bokuto sul suo collo e Keiji rabbrividì sentendo il suo alito caldo sulla pelle.
Sorrise incantato però, perché Bokuto riusciva sempre a dire la cosa giusta non nel momento migliore, ma nel momento in cui Keiji ne aveva bisogno.
Pensò di aver finito. La nausea quantomeno non sembrava dargli più tanto fastidio.
Si alzò per tirare lo sciacquone e sciacquarsi la bocca, ma Bokuto lo trattenne lì per terra con lui.
Lo trascinò indietro facendogli poggiare la schiena contro il suo ampio petto e portò il viso sulla sua spalla come un gufo. Le mani ancora sul suo ventre, così perfette e così grandi che sembravano essere state create appositamente per stare lì. Come se quello fosse il loro posto da sempre.
"Bokuto-san..."
"Stiamo ancora un po' così abbracciati, gamberetto deve capire che gli vogliamo bene anche se questi dispetti ti fanno stare male."
Di nuovo senza parole, Keiji cercò una posizione più comoda fra le sue braccia e poggiò le mani su quelle di Bokuto. La differenza di grandezza era notevole, così come tante altre cose.
Le mani di Bokuto erano forti e sicure, erano le mani di un uomo che avrebbe potuto sorreggere qualsiasi cosa se solo l'avesse voluto.
Erano mani amorevoli, mani che coccolavano loro figlio ancora prima che questo fosse nato. Mani che toccavano la sua pelle chiara con lo stesso rispetto e devozione di quella notte di molte settimane prima.
Bokuto gli stava entrando dentro in un modo così intenso che Keiji in quel momento si pentì di non averlo legato a sé egoisticamente il giorno prima, quando l'altro aveva dato per scontato che sarebbero stati insieme.
Per correttezza, per amore della propria libertà e per rispetto nei suoi confronti, Keiji aveva stroncato le sue idee senza un briciolo di pietà, ma in quel momento, steso fra le sue braccia e cullato dal movimento ritmico delle sue mani, Keiji desiderò che nessun'altra persona al mondo potesse trovarsi così vicino a Bokuto come lo era lui in quel momento.

I giorni di convivenza si susseguirono uno dietro l'altro e Keiji iniziava a sentirsi sempre più attratto da Bokuto, più di quanto già non fosse. Si domandava spesso se questo non dipendesse dal suo stato di gravidanza e dagli ormoni impazziti che si erano dati alla pazza gioia nel suo corpo.
In particolar modo, quando Bokuto al mattino si alzava con i capelli ancora più in disordine del solito e con quel bel sorriso gli dava il buongiorno in mutande come se fosse in casa propria e non ospite.
Certo, Keiji non aveva mosso alcuna rimostranza a riguardo. Perché mai avrebbe dovuto farlo poi?
Bokuto aveva un fisico fantastico, ogni muscolo sembrava scolpito nel marmo e definito fin nei minimi dettagli dalle mani abili di uno scultore. E, inutile negarlo, per Keiji era una vera delizia godersi quello spettacolo giorno dopo giorno.
Avevano creato dei piccoli riti che seguivano inconsciamente ogni giorno. Fra questi, Bokuto che preparava la colazione e Keiji che lavava i piatti. O la passeggiata che facevano insieme quando Keiji lo accompagnava agli allenamenti o il guardare insieme la tv la sera sul divano scegliendo il film a caso.
Con il passare del tempo e il ripetersi quotidiano di queste abitudini, Keiji aveva sviluppato una sorta di trepidante attesa in vista di quei momenti. Di fatto, si alzava ogni mattino con il sorriso sulle labbra - nonostante la nausea perenne – solo per correre in cucina e trovare Bokuto pronto a dargli il buongiorno mentre cucinava. O ancora, quando lo raggiungeva sul divano dopo aver lavato i piatti e il pallavolista copriva entrambi con una copertina di pile per stare al caldo.
Non che tutto ciò fosse degno di particolari note se ci pensava bene, ma per Keiji sì. Per lui che non aveva mai condiviso niente del genere con qualcuno nonostante le relazioni serie andate male, era qualcosa non solo degno di nota, ma anche in grado di fargli battere forte il cuore.
Con la mente piena di Bokuto come ogni giorno e con il loro comune accordo di non forzarsi in una relazione insieme, Keiji chiuse il manoscritto con un sospiro e si stropicciò gli occhi sotto agli occhiali. Sentiva la testa pesante e la stanchezza sembrava essergli piombata addosso come una palla di cannone.
Non aveva idea di quello che aveva letto fino a quel momento. Un po' perché era poco chiaro e l'autore si era perso fra vari discorsi e un po' perché quella situazione continuava a tormentarlo.
E il fatto che ci si fosse voluto ficcare lui con le sue stesse mai non era cosa trascurabile.
Inizialmente aveva deciso di non imporre niente a entrambi. Ed era ancora fermamente convinto che fosse la cosa migliore. Non aveva intenzione di crescere loro figlio in una famiglia dove i genitori si odiavano perché costretti a stare insieme. Non ci pensava nemmeno, quindi l'unica via perseguibile era la libertà sentimentale che gli aveva proposto ormai due settimane prima.
Sarebbero stati liberi entrambi di fare le proprie esperienze e avere le loro storie indipendentemente dal gamberetto che li univa. E gli pareva la cosa più corretta che avesse mai pensato.
Peccato però che l'unico con cui voleva avere una storia era proprio Bokuto stesso.
E poteva dare la colpa alla suggestione della gravidanza, ai suoi ormoni impazziti o al ricordo di quella notte di passione che gli infiammava i lombi di notte e lo costringeva a portare una mano nelle mutande per alleviare le sue pene, ma era del tutto innegabile che provasse qualcosa per Bokuto.
Non aveva il coraggio di definirsi innamorato, figurarsi dirglielo apertamente a voce alta.
La timidezza dopotutto non era mai stata una delle sue qualità di punta, ma in questo caso collimava perfettamente con le sue insicurezze riguardo un effettivo interesse da parte di Bokuto stesso.
Di fatto, oltre a quei gesti e quelle parole dolci che lo avevano fatto capitolare così velocemente, Bokuto non aveva mai espresso un chiaro interesse nei suoi confronti.
Ora, Keiji non pretendeva certo un cartellone con lucine luminose con su scritto "ti amo, sei il più figo", ma almeno qualche indizio in più non sarebbe stato male.
Soprattutto perché, dopo aver scelto di comune accordo – più o meno – che non dovevano stare insieme per forza, Bokuto non era più tornato sull'argomento e anzi non si faceva problemi nel non avvicinarcisi neppure per sbaglio.
Un timido bussare lo distolse dai suoi ragionamenti. Keiji sorrise d'istinto: probabilmente lo aveva pensato così intensamente che Bokuto stesso aveva captato qualcosa dall'altra stanza.
"Entra pure, Bokuto-san." Gli concesse rilassando la schiena contro la sedia mentre il pallavolista faceva capolino dalla soglia.
"Non volevo disturbarti." Gli comunico subito scusandosi e Keiji gli sorrise sereno per tranquillizzarlo.
"Non preoccuparti, ho finito per oggi."
"Sembri stanco."
"Lo sono in effetti..." gli confidò con un sospiro e l'altro gli sorrise comprensivo entrando nella sua camera e inginocchiandoglisi di fronte. Keiji sapeva quello che sarebbe successo di lì a breve, così chiuse gli occhi pronto a godersi a pieno quella coccola inaspettata.
Le mani calde e grandi di Bokuto gli scostarono la felpa dalla pancia poco pronunciata e iniziarono a carezzarlo con dolcezza estrema finché non furono sostituite dalle sue labbra.
Keiji schiuse gli occhi solo per godersi a pieno quel momento. Bokuto era sicuramente innamorato di loro figlio quantomeno e Keiji ne era così felice che ogni volta che l'altro si avvicinava alla sua pancia, lo lasciava fare senza tirarsi mai indietro.
"Ti è passata la nausea?" Gli domandò fra un bacio e l'altro, mentre la mano che non teneva la felpa scivolò lenta sulla sua coscia. Keiji ne seguì il tragitto con gli occhi finché non fermò la sua corsa proprio sopra la propria di mano.
"S-sì..." gracchiò sorpreso schiarendosi la gola subito dopo.
"Il the verde che mi hai portato ha aiutato molto in effetti..." aggiunse poi, sentendo le guance farsi più rosse. Gli occhi di Bokuto parevano non volerlo mollare un attimo. Erano così grandi e luminosi, così espressivi e intensi che Keiji iniziava seriamente a sentire caldo.
E poi quella bocca che continuava a baciare la pelle della sua pancia come fosse il più prezioso dei tesori... bhe dopotutto lo era! E Bokuto era fermamente convinto che il loro gamberetto dovesse sentire il loro affetto il più possibile nonostante i brutti scherzi delle nausee.
Keiji era d'accordo, soprattutto perché gli piaceva un sacco vedere il padre di suo figlio così preso da quel lieve accenno di pancia. E poi, non trascurabile, era la vicinanza che comportava fra loro.
In particolare, da qualche tempo a quella parte, mentre gli coccolava la pancia, aveva iniziato a stringergli la mano.
In verità era stata una scalata graduale, quasi come se stesse sondando il terreno per non infastidirlo. Inizialmente aveva toccato la sua mano quasi per sbaglio, sempre più frequentemente, finché poi non l'aveva lasciata lì sopra la sua per un tempo interminabile.
Solo dopo l'aveva stretta con affetto e Keiji in quel momento aveva sentito il cuore prendere a correre nel suo petto.
Ultimamente gli capitava anche in circostanze differenti da quella situazione così intima e personale, soprattutto quando la sera sul divano guardavano un film insieme.
Keiji non si era mai opposto alla cosa perché in realtà adorava quel contatto. Era un po' come se Bokuto lo cercasse, come se avesse bisogno di una conferma che fosse al suo fianco. E Keiji c'era. Ci sarebbe stato per sempre se solo glielo avesse chiesto.
"È quasi ora di cena, te la senti di mangiare qualcosa?" Gli domandò prima di regalare un ultimo bacio alla sua pancia e coprirla con la felpa. A quel punto la sua attenzione era tutta per Keiji, i suoi occhioni languidi parlavano una lingua che l'altro aveva quasi paura di  comprendere.
"S-sì, penso di sì..." gli rispose in automatico senza nemmeno aver compreso bene la domanda. Ma il bacio sulla fronte che Bokuto gli regalò prima di quel fantastico sorriso, fu la cosa più destabilizzante che avesse mai ricevuto.
Come doveva interpretare quel gesto?
Si lasciò guidare dalle loro mani ancora intrecciate e lo seguì in cucina, dove prepararono la cena insieme come una vera coppia.
Keiji sentiva di non essere troppo presente a sé stesso in realtà. Bokuto gli faceva davvero uno strano effetto ma iniziava a pensare che non fosse solo colpa degli ormoni.

Nella sala d'attesa del medico, Keiji si sentiva un po' inquieto nel dover fare la seconda ecografia.
Bokuto era al suo fianco e a stento riusciva a mantenere la calma. Agitato come non mai, si muoveva sulla sedia in pieno fermento dondolando la gamba con nervosismo crescente.
Keiji osservandolo sentiva i sentimenti di Bokuto farsi sempre più presenti, quasi come se si fossero materializzati al loro fianco in carne e ossa.
Allungò una mano e gliela depositò furtivamente sul ginocchio prendendosi una confidenza forse un po' troppo esplicita per un luogo dove c'erano anche altre persone.
"Bokuto-san, calmati per favore." Gli chiese in un sussurro, facendoglisi anche più vicino.
Il pallavolista lo guardò con i suoi occhioni chiari nei quali si leggeva a chiare lettere quanto fosse importante per lui quel momento.
"Scusa Akashi, ma non riesco a stare fermo." Gli rispose con un tono fintamente sussurrato. Bokuto era rumoroso anche quando voleva provare a fare silenzio.
"Andrà tutto bene, non preoccuparti." Lo consolò, ricordandosi solo in quel momento di togliere la mano dalla sua coscia.
Arrossì di conseguenza per la sua innocente gaffe sperando vivamente che gli altri pazienti nella sala d'attesa non avessero notato niente.
Non osò immaginare che Bokuto al suo fianco avesse fatto lo stesso. Quantomeno che avesse ignorato la cosa senza commentare.
"Come mai sei arrossito?" Domandò sornione con un sorrisetto malizioso sulle labbra che lasciava intendere quanto sapesse perfettamente la risposta.
"Niente... gli ormoni." Si giustificò arrossendo ancora di più e sviando lo sguardo verso la finestra chiusa. Avrebbe gradito un po' d'aria fresca in quel momento a dirla tutta, così forse il suo rossore imperterrito sarebbe svanito.
Bokuto sghignazzò sotto ai baffi nascondendosi con una mano, mentre l'altra la poggiò distrattamente e deliberatamente sull'interno coscia di Keiji in un gesto intimo e inequivocabile.
I capelli di Keiji si drizzarono all'istante e subito accavallò le gambe per celare ad occhi indiscreti quel gesto così intimo.
"Bokuto-san, siamo in pubblico..." lo rimproverò senza calcare la mano neanche per sbaglio. Le mani di Bokuto durante la loro convivenza, si erano prese sempre più libertà in un crescendo di piccoli contatti innocenti sempre più personali.
Keiji non si era opposto. Forse l'ascesa graduale lo aveva condizionato, forse proprio gli ormoni ai quali dava la colpa di ogni cosa, o forse proprio perché semplicemente lo voleva, aveva accolto quel gesto con naturalezza finché non si erano spinti l'uno contro l'altro finendo abbracciati sotto alla copertina di pile e circondati dai cuscini del divano.
Diretta conseguenza di quelle serate intime nonché caste, fu il bacio della sera prima che Bokuto gli aveva dato e al quale Keiji si stava aggrappando con tutto sé stesso per non dare in escandescenze in quel momento.
Perché se con Bokuto aveva concordato una certa libertà sentimentale che non doveva per forza vederli uniti in una relazione , Bokuto sembrava remare dalla parte opposta facendo in modo che collimassero sempre di più verso un futuro insieme.
Non aveva il coraggio di chiedere se fosse così o meno. Keiji sotto sotto non voleva neppure prendere in considerazione l'ipotesi di aver frainteso tutto. Soprattutto alla luce del fatto inequivocabile che Bokuto fosse una persona estremamente fisica con tutti e non esclusivamente con lui e basta.
Certo, erano gesti speciali, pregni di significati ben più che lampanti ed era piuttosto certo che l'altro non potesse averli compiuti senza riflettere un minimo sulle dirette conseguenze che avrebbero scatenato. Soprattutto nell'animo confuso di Keiji che bramava le sue attenzioni ma allo stesso tempo quasi sentiva una repulsione verso di lui.
Perché per quanto si ostinasse ad ignorare quanto il suo cuore battesse quando stava con Bokuto, era innegabile il fatto che non lo avrebbe mai costretto al suo fianco solo perché era il padre di gamberetto.
Non aveva assolutamente intenzione di crescere suo figlio in una famiglia costruita sulle basi traballanti di una forzatura. Era piuttosto certo che anche Bokuto la pensasse così, ma nonostante tutto i suoi gesti sembravano portare nella direzione opposta, prontamente supportati dai sentimenti che Keiji sentiva per il pallavolista.
Il bacio della sera prima era stato quanto di più chiaro e lampante ci fosse in quella nebbia di misteriosi sentimenti. Stretti l'uno all'altro sul divano mentre gli ultimi fotogrammi del film passavano sullo schermo, Keiji aveva voltato lo sguardo sentendosi osservato. Non aveva sbagliato. Gli occhi di Bokuto erano intenti ad osservarlo come fosse lo spettacolo più bello del mondo. Keiji era arrossito subito di conseguenza, ma aveva mantenuto gli occhi fissi nei suoi con ostinata decisione.
Poi si erano avvicinati con naturalezza e il magico momento quando le loro labbra si erano unite, era arrivato come coronamento di quei sentimenti che Keiji si ostinava a voler tenere chiusi nel suo cuore.
Sentì le guance arrossarsi ancora e poggiò la propria mano su quella di Bokuto abbandonata sulla sua coscia. Le loro dita si intrecciarono come se non aspettassero altro da tempo e i loro occhi si cercarono in un momento dal sapore d'infinito.
"Akashi." Chiamò il medico con gli occhiali e entrambi si alzarono dalla sedia quasi come se fossero stati seduti su tizzoni ardenti.
Si accomodarono nella sala con l'ecografo e il medico rivolse loro qualche domanda di rito alle quali rispose Keiji prontissimo.
Bokuto fremeva al suo fianco, incapace di stare fermo ancora meno che in sala d'attesa. Il medico gli aveva riservato un'occhiataccia pregna di biasimo e poi aveva ruotato gli occhi al cielo liquidando la questione.
Quando l'ecografo si era posato sulla pancia leggermente tonda di Keiji e quel timido battito era divenuto l'unico suono udibile nella stanza, il pallavolista si lascio sfuggire un sospiro commosso. Keiji voltò lo sguardo verso di lui e se lo ritrovò ad un palmo dal naso, con i suoi occhioni luminosi catturati dall'immagine del loro gamberetto bellissimo e di quel cuoricino che batteva di vita dentro di lui.
Poi in un attimo la sua attenzione fu tutta per Keiji soltanto e quello sguardo inequivocabile gridava a gran voce un sacco di sentimenti che Keiji stesso sentiva come propri ormai da tanto tempo.
"È bellissimo." Gli aveva confessato con un filo di voce, giusto quando solo pochi centimetri dividevano le loro labbra. Era tutto così intimo, così bello e stranamente naturale che Keiji stentava a crederci. Fu assecondando i sentimenti che sentiva, fu seguendo la naturale consapevolezza che cresceva dentro di sé che smise di pensare troppo e si sporse in avanti unendo le loro labbra in un casto e veloce bacio.
Durò meno di un secondo, ma fu la cosa più semplice per Keiji. La più spontanea che avesse mai fatto in tutta la sua vita.
Il medico fece una foto allo schermo e la stampò come da prassi nel frattempo.
Ritirarono l'ecografia insieme e uscendo dallo studio medico, Bokuto unì ancora una volta le loro mani con la stessa naturale complicità che aveva lo accompagnato quando si erano baciati.
Tornarono a casa ancora mano nella mano, con le dita intrecciate e un timido rossore sulle labbra come unico indizio sul quanto Keiji si stesse vergognando in quel momento.
Non era mai stato un amante delle effusioni o delle dimostrazioni d'affetto in pubblico. Anzi, cercava sempre un certo distacco dalle persone, ma con Bokuto era pressoché impossibile.
E perché mai poi avrebbe dovuto opporsi quando la sua mano grande e forte era cosi calda e pronta a proteggerlo?
Appena chiusa la porta di casa, fu impossibile tenere a freno la sequenza di emozioni che si susseguirono nei loro petti.
I baci divennero infuocati, le mani spogliarono i loro corpi dagli inutili vestiti e il letto li accolse ancora con il caldo e lussurioso abbraccio di quella passione che si erano negati per fin troppo tempo.
Era stato come seguire la corrente e presto la naturale evoluzione delle cose aveva seguito il volere dei loro sentimenti.
Dopotutto Keiji lo aveva letto un sacco di volte e in molti libri che al cuore non si comanda. Chissà perché però ci aveva messo così tanto per capirlo.

Seduto sul divano con uno dei manoscritti fra le mani, Keiji leggeva rigirandosi una penna rossa fra le mani talvolta tamburellando sull'agenda degli appunti le varie annotazioni da prendere.
Bokuto era agli allenamenti con la squadra. Fra poco li avrebbe pure terminati, quindi Keiji posizionò la penna come segnalibro e si alzò dal divano.
Si infilò il cappotto, le scarpe e uscì di casa con qualche minuto di anticipo. La palestra dove Bokuto si allenava con la squadra era fortunatamente vicino a casa. Era stata una piacevole scoperta per entrambi quando si erano recati lì per ritirare la divisa di Bokuto il giorno stesso che era arrivato.
Ormai da quel giorno erano passate tante settimane e la convivenza con il padre di suo figlio si era fatta intensa e più piacevole di quanto avesse osato sperare.
Bokuto era sempre lo stesso: rumoroso, pasticcione e goffo fino all'inverosimile. Quando ne combinava una delle sue, poi elargiva scuse sentite a Keiji quasi prostrandosi fino ai suoi piedi.
Come quella volta che gli era scivolato un piatto dalle mani e si era frantumato al suolo. Bokuto si era rammaricato per l'accaduto, ma mai quanto si era disperato per averlo spaventato mentre leggeva e – a detta sua – di aver spaventato anche il loro gamberetto.
Il modo poi con cui gli aveva abbracciato la pancia e l'aveva riempita di baci, aveva fatto sciogliere Keiji più di quanto quella convivenza già non avesse fatto.
Perché poteva raccontarsi tutte le frottole che voleva e crederci pure. Keiji era liberissimo di ostinarsi a credere che quello che provava per Bokuto fosse solo una suggestione per via della gravidanza, ma la realtà bussava alla sua porta ogni mattino quando si alzava dal letto e andava in cucina per incontrare Bokuto con i suoi occhioni luminosi e quel sorriso che brillava più del firmamento.
O quando si coricavano insieme, uno accanto all'altro con l'affanno e gli strascichi del piacere appena provato.
O quando si stringeva al sul corpo possente e si lasciava cullare dalle sue braccia.
Era una strana relazione la loro, forse contorta, forse accidentale, forse era piovuta dal cielo come era piovuto gamberetto o forse era stato proprio lui a volerli unire. Tanti forse. Tanti dubbi. Poche risposte e ancora più domande inespresse che entrambi non avevano il coraggio di porsi.
Keiji era sempre stato piuttosto razionale, logico. Non amava le cose a metà e tantomeno le zone si grigio ancor più se si trattava di una relazione. Per lui un "non detto", un "non chiaro" erano sciocche superstizioni delle quali aveva solo sentito parlare. Questo almeno prima di Bokuto.
La convivenza li aveva portati insieme di nuovo, ma in un modo totalmente differente dalla loro prima volta.
Stavolta, oltre alla complicità dell'amplesso, c'erano accortezze in più, carezze leggere e parole pregne d'amore che Bokuto gli rivolgeva ogni giorno.
Keiji non aveva idea se quello che aveva con il pallavolista potesse considerarsi amore. Ad occhi esterni forse sì ed era certo di averlo sentito dirgli che lo amava durante una notte di passione, ma era davvero così?
Il loro accordi iniziale poteva dirsi già bello che dimenticato o stavano soltanto passando del tempo insieme perché non avevano altre persone con cui passarlo?
Se Bokuto avesse voluto, avrebbe avuto uno stuolo di amanti pronte a farsi prendere in qualsiasi momento, ma invece di uscire con la squadra a rimorchiare in qualche bar, restava a casa con lui, guardavano un film e poi si coccolavano finché il sonno non prendeva il sopravvento.
Era questo che voleva dunque?
Keiji era piuttosto certo di volerlo, ma Bokuto?
Non aveva il coraggio di chiederlo perché temeva la risposta più di ogni altra cosa al mondo.
Stare con Bokuto era bellissimo e Keiji sentiva che i suoi sogni di famiglia felice erano appena stati realizzati e forse proprio per questo non aveva il coraggio di scoprire le intenzioni di Bokuto. L'idea di veder andare in frantumi il suo sogno perfetto faceva più male di quanto si sarebbe mai aspettato e forse era solo un gran fifone egoista, ma piuttosto che rinunciarvi, era disposto a nutrirsi di quei momenti felici finché avesse potuto.
Controllò l'orario per l'ennesima volta, sentendo il nervosismo pungergli lo stomaco. Bokuto ci stava mettendo più del solito ad uscire e fra poco avrebbero avuto appuntamento dal medico per un'altra ecografia e la sua testa continuava ad essere tutta indirizzata verso la strana relazione che aveva iniziato con il bel pallavolista.
Vide uscire un ragazzo moro con la mascherina a tappargli il viso, lo riconobbe subito. Bokuto gli aveva parlato di ogni singolo membro della squadra e lui... non ricordava il suo nome né tantomeno il ruolo, ma quei freddi occhi pregni di superiorità e spocchia erano sembrati così vividi dai racconti di Bokuto che era impossibile sbagliarsi.
"Tu sei Akashi?" Gli domandò a distanza di sicurezza, come se avesse paura ad avvicinarsi anche solo di un passo in più.
Keiji annuì.
"Bokuto sta arrivando. Il coach lo ha trattenuto dopo l'allenamento."
"Va bene, grazie." Gli sorrise gentile, grato per aver fatto da messaggero, e l'altro si allontanò senza nemmeno salutare.
Keiji decise di aspettarlo fuori. Non faceva freddo per essere inverno e comunque era ben coperto. Bokuto non gli avrebbe mai permesso di uscire senza sciarpa e rischiare che – secondo lui – gamberetto prendesse il raffreddore.
Guardò l'ora per l'ennesima volta sentendosi morire per il ritardo che si stava accumulando sempre di più.
Quando ormai era palese che avrebbe ritardato, scrisse un veloce sms a Bokuto per avvisarlo di raggiungerlo il prima possibile e che intanto lui si avviava.
Chiuse il messaggio con un cuoricino. Così poco da lui eppure così chiaro e semplice da essere impossibile da fraintendere.
Perché era quello che provava per lui dopotutto, ma era così fifone e insicuro da dirlo a voce alta che preferiva cavarsela con una cosa tanto banale come un'emoji.
Accelerò il passo per prendere il verde dei pedoni. Mise il telefono in tasca e continuò a camminare a passo sostenuto verso la clinica. Era già in spaventoso ritardo e avrebbe dovuto anche prendere la metro.
Sperava soltanto che non fosse stivata di persone quantomeno.
Attese il verde ed attraversò un altro incrocio. L'ingresso della metro era solo a qualche passo di distanza, riusciva a vederlo perfettamente.
Infilò la mano in tasca e cercò il tesserino per passare al tornello. Almeno così avrebbe guadagnato tempo e ogni istante contava più del precedente.
Finalmente trovò il portafogli e abbassò lo sguardo per estrarre la carta giusta. Rallentò il passo solo di poco. Mancavano giusto tre metri al marciapiede e qualcuno di più per l'ingresso della metro e non arrivare in spaventoso ritardo.
Fu questione di pochi secondi, forse attimi, ma nessuno dei presenti vide l'auto sfrecciare in strada falciando la piccola folla che attraversava sulle strisce pedonali.

Il risveglio fu doloroso. La luce a neon della stanza ronzava in modo fastidioso, quasi snervante.
Keiji sentiva male da per tutto, ma soprattutto alla testa. In compenso, la piccola sbornia che aveva preso quando aveva conosciuto Bokuto non era niente in confronto a quel mal di testa pungente. Gli feriva soprattutto gli occhi, come se la luce gialla del neon fosse stata composta da tanti piccoli spilli incandescenti che bucavano le sue iridi con cattiveria.
Al suo fianco, Bokuto dormiva con la testa poggiata sul materasso e il corpo abbandonato su una sedia in plastica bianca.
Sembrava stremato. Aveva delle occhiaie blu che facevano spavento e si vedeva benissimo che aveva gli occhi gonfi di pianto nonostante fossero chiusi.
Sì rammaricò per averlo fatto preoccupare in quel modo, ma in realtà non aveva neppure idea di quel che gli era successo.
Si alzò seduto cercando di muoversi il meno possibile, ma una fitta dolorosa al basso ventre lo fece gemere forte.
Capì subito che qualcosa non andava. Portò una mano sulla sua pancia e quel lieve gonfiore che conosceva ed aveva amato fin da subito, era sparito completamente.
Non riuscì a formulare alcun pensiero concreto. Non ne aveva il coraggio in verità.
Si voltò solo verso Bokuto e con gli occhi pieni di lacrime incontrò la sua espressione addolorata che annuiva. Non avevano bisogno di parole, la consapevolezza dei fatti era limpida davanti ai loro occhi tanto quanto tremenda.
Keiji si abbandonò ad un pianto doloroso e violento aggrappandosi alle spalle di Bokuto con le unghie gridando che fine avesse fatto il loro piccolo gamberetto. Bokuto pianse in silenzio stringendolo al petto, ma non ebbe mai il coraggio di rispondere alla sua domanda.

Fine

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