''Era un giorno freddo, credo fosse autunno. Le foglie danzavano lente e solitarie nell'aria, portate via dal vento che mi soffiava contro. Non era un vento di quelli cattivi, ma uno di quelli che ti accarezzano il viso, leggero e soffice. Da fuori potevo sembrare quello, un giovane ragazzo che cammina da solo con il vento che gli accarezza dolcemente il viso, scompigliandogli i capelli, ma dentro di me c'era la tempesta. Da quando mi aveva lasciato io avevo smesso di vivere. Da quando si era trasferito io non vivevo più. Era come se lui si fosse portato via la parte migliore di me, quella che ride e scherza. Quella felice. E ora, dopo due anni, mi trovavo lì, seduto su quella panchina. Sulla nostra panchina. Il dolore che mi aveva lasciato dentro era indescrivibile. Quella sensazione di vuoto che ogni giorno cresceva di più, sempre di più. Era stato lui a dirmi che non voleva continuare la nostra relazione, che non poteva sopportare quella distanza che si sarebbe creata tra di noi con la sua partenza. Non potevo fare niente per questo, e la cosa mi uccideva. Ogni giorno tornavo su quella panchina, a ricordare tutti i momenti vissuti insieme. Il primo bacio, quello dolce che mi aveva dato lui, per farmi smettere di blaterare cose assurde. I nostri ti amo, detti tra un bacio e l'altro. Tutti i ricordi che avevo di lui io li rivivevo ogni giorno come se fosse il primo. Tutti i ricordi fino a quel giorno, quando lui mi disse che sarebbe partito. In quel giorno però mi fece una promessa. Sarebbe tornato da me. E così l'aspettavo, ogni giorno, sulla panchina del parco. I mesi passavano, ma io continuavo ad aspettarlo. Aspettavo il suo ritorno. Aspettavo e continuavo ad aspettare. Prima tutti i giorni. Poi un giorno si e uno no. Poi incominciai ad aspettarlo sempre di meno. Passavo sempre meno tempo su quella panchina del parco. Un giorno ero lì, come sempre, seduto ad aspettare. Era estate in quel periodo e faceva molto caldo. Me ne stavo andando, consapevole che anche per quel giorno non l'avrei visto, quando mi si avvicinò una signora. La confusione sulla mia faccia era leggibile anche a un miglio di distanza. Quando iniziò a parlare capì che cercava proprio me. Mi disse che mi aveva cercato a lungo, e che alla fine mi aveva trovato proprio dove gli aveva detto lui. Mi disse che suo figlio gli aveva parlato molto di me, che dalla luce che gli si accendeva negli occhi quando pronunciava il mio nome aveva capito quanto mi amava e quanto era stata dura per lui lasciarmi andare. Mi disse che più volte le aveva detto che gli mancavo. Che gli mancavano i miei occhi, le mie labbra, i miei abbracci. Mi ricordo che a quella frase involontariamente un piccolo sorriso spuntò sulle mie labbra. Sorriso che svanì subito quando lei iniziò a piangere. Tra un singhiozzo e l'altro mi disse che lui sarebbe voluto tornare da me. L'avrebbe voluto così tanto. Ma non sarebbe più tornato. Aveva avuto un incidente. Un ragazzo l'aveva investito con una macchina, era ubriaco e non l'aveva visto mentre lui attraversava la strada. Dopo un mese di ospedale il suo cuore non aveva più retto e aveva smesso di funzionare. Inutile dire che in quel momento le lacrime correvano sul mio viso. Lei mi strinse in un abbraccio, di quelli che solo una madre è capace di darti.
Amore mio, ora mi rivolgo a te. Ti ricordi il giorno che mi hai lasciato? Mi avevi promesso che saresti tornato indietro, da me. Che avresti continuato ad amarmi. Ma io so che non te ne sei mai andato perché sei rimasto sempre nel mio cuore. Ogni volta che ero giù sapevo, in qualche modo, che tu mi stavi pensando, e ogni volta trovavo la forza per tornare lì, nel nostro posto. Mi dispiace per non essere venuto ogni giorno ad aspettarti, ma credimi che ti raggiungerò. Ti amo Harry e ti amerò per sempre. Non dimenticarlo mai.
Tuo Louis.''