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Da quel momento feci di tutto per lasciarli più tempo possibile da soli, dicevo di voler andare a vedere qualche nuovo locale in cui non ero mai stata e all'ultimo secondo, quando entrambi erano già pronti per uscire, fingevo di non sentirmi molto bene o di dover fare qualcosa di urgente che avevo scordato. Non facevano molte domande, ne dedussi che restare soli non dispiacesse a nessuno dei due.

Così spesso restavo a casa con mia madre, ne approfittavo per studiare visto che, subito dopo le vacanze, sarebbero iniziati gli esami. Purtroppo restare a casa con lei significava sottopormi costantemente ai suoi interrogatori pressanti, ma era il prezzo da pagare per la felicità delle persone che amavo, compresa mia madre.

Al mio quinto finto-malore nel giro di una settimana, probabilmente capirono che stavo solo cercando di lasciar loro un po' d'intimità, così per convincermi ad uscire con loro, nel fine settimana successivo, organizzarono un appuntamento a quattro. Teo, Anna, la sottoscritta e un misterioso amico di mio fratello.

Non avevo nessuna intenzione di assecondare la loro pazzia, perciò quella sera, mentre si preparavano ad uscire, io continuai tranquilla a studiare, nella quiete della mia stanza, cercando di ignorare i loro passi svelti e indaffarati lungo il corridoio.

«Non sei ancora pronta?», chiese Teo entrando in camera mia e trascinandosi dietro una scia di profumo che mi tolse il respiro.

«Ma ci sei caduto dentro?», chiesi tossendo.

«A cosa?», domandò lui guardandosi intorno.

«Alla bottiglietta di profumo», risposi sorridendo e facendo il gesto di allontanare con la mano la puzza.

«Ah, ah, divertente. Non cambiare argomento, perché sei ancora in tuta e scarpe da ginnastica? Non vorrai mica venire a cena così».

«Te l'ho detto, non ci vengo», risposi determinata, tornando a leggere i miei appunti.

«Sì che ci vieni, ormai ho prenotato e il tuo ragazzo sarà qui a momenti», diede un'enfasi esagerata alla parola "ragazzo".

«A parte che non è il mio ragazzo, poi problemi tuoi, io ti avevo detto di no da subito», replicai scocciata.

Teo si avvicinò alla sedia su cui ero seduta, s'inginocchiò vicino a me, mi prese la mano tra le sue in un gesto melodrammatico e fece la cosa più orrenda che potesse farmi: mi guardò con quei suoi occhioni da cucciolo bastonato.

«Ti prego», sfoderò il tono più persuasivo di cui fosse capace.

Avrebbe potuto gridare, minacciarmi, prendermi in giro, tutto. Ero preparata e avrebbe solo aumentato il mio disappunto, ma quando mi guardava così, non riuscivo a dirgli di no e lui lo sapeva.

«Ti prego», mugugnò di nuovo sbattendo le palpebre.

«E va bene, dammi quindici minuti, devo anche farmi la doccia», mi alzai di scatto dalla sedia, ma non abbastanza in fretta da perdermi il suo sorriso di vittoria. Che infame!

«E alzati da lì, rischi di rovinare i tuoi bei pantaloni», dissi uscendo dalla stanza.

Mi preparai controvoglia, non mi piacevano gli appuntamenti al buio. Se non avessi saputo cosa dirgli? Se non gli fossi piaciuta?

Quest'ultimo dubbio sparì all'istante appena uscii di casa e vidi, appoggiato alla portiera dell'auto di mio fratello, il suo misterioso amico.

Il mio appuntamento al buio era il migliore amico di Teo: Loris. Mi chiedeva di uscire con lui da quasi due anni. Avevo sempre rifiutato, non perché fosse brutto, anzi, era un bellissimo ragazzo, ma eravamo cresciuti insieme, lo conoscevo da quando avevo quattro anni, c'eravamo visti nelle situazioni più imbarazzanti: nella fase della sua acne adolescenziale, nella fase dei miei orecchioni, avevamo preso la varicella insieme, io, lui e Teo e ci avevano lasciato in quarantena nella stessa stanza, con quelle ridicole bolle rosse sparse ovunque.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora