Capitolo 12

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La casa era la solita, tutto al suo interno suggeriva che ci abitava una famiglia felice e spensierata, ma se guardavi più attentamente era solo un'abitazione fredda e distaccata, c'era qualcosa in quella casa che ti soffocava lentamente e poi in un secondo ti ritrovavi intrappolato tra le sue mura.
<Claire, sei passata a comprarmi le sigarette come ti avevo chiesto?> sbraitò la voce dura e posata di mio padre dal suo studio. Tremai non appena lo sentii muoversi e mi affrettai a poggiare lo zaino, pronta a ricevere la punizione per non avergli portato le sigarette.
<Non me le danno perché sono minorenne, io ci ho provato papà te lo giuro> tentai di giustificarmi. Il suo sguardo si addolcì prima che la sua mano raggiungesse la mia guancia e producesse quel suono che era diventato la colonna sonora della mia vita. Aveva le mani grandi ed incredibilmente grosse, se avesse voluto avrebbe sicuramente potuto soffocarmi usandone solo una ed ero certa quel pensiero gli avesse sfiorato la mente almeno una volta. Ridacchiò e poi mi diede un altro schiaffo, rimasi immobile, avevo imparato ormai che scappare in camera mia o in bagno o in qualsiasi altra stanza non sarebbe servito a niente.
<Se io ti dico di portarmi le sigarette, tu devi portarle. In un modo o in un altro> disse esasperato. Era colpa mia, in fondo mi aveva chiesto una cosa semplice ed io non ero riuscita a portarla a termine. Era una pessima figlia, avevo fallito di nuovo.
<Sì, papà, scusa> ero mortificata. Avevo dieci anni e l'ultima cosa che volevo era deludere i miei genitori, specialmente il mio papà.

Mi alzai di soprassalto dal letto madida di sudore con il cuscino umido e freddo, cercai di respirare il più a fondo possibile. Erano due settimane che non riuscivo a chiudere occhio, due settimane che appena mi addormentavo quel sogno, quel ricordo si faceva largo nella mia testa cercando di farmi impazzire. Mi voltai alla mia sinistra e Camille dormiva tranquilla nonostante neanche lei stesse passando un bel periodo. Controllai l'ora del cellulare, erano ancora le tre del mattino, ero riuscita a dormire solo due ore, sicuramente meglio del giorno prima. Novembre si era fatto largo nelle nostre vite così velocemente da non lasciarci il tempo di assaporare appieno ottobre, la maggior parte delle foglie degli alberi erano già depositate nei giardini e ammucchiate in sfumature di giallo, rosso e marroncino. Gli alberi in un mese si erano ritrovati spogli e infreddoliti, proprio come me. Mi ero assolutamente pentita della scelta di parole che avevo adoperato con Christopher, ma non sarei andata a chiedergli scusa, non sarei andata nell'appartamento che condivideva con mio fratello per dirgli che avevo usato parole troppo dure e che non pensavo, perché non sarei riuscita a guardarlo senza pensare al mondo a cui apparteneva. Non ci sarei riuscita e sicuramente le mie scuse non avrebbero cambiato niente.
Camille evitava Brandon in tutti i modi, anche se facevo fatica a capirla visto che era tutta colpa di Chris, era ovvio che fosse colpa sua. Brandon non sarebbe mai caduto così in basso e poi era chiaro che il lavoro alla caffetteria fosse solo una copertura, ma non capivo, l'America era piena di posti di lavoro con orari flessibili e alla portata di un ragazzo come lui, quindi perché spacciare, era una cosa che probabilmente non avrei capito mai.
Feci una doccia bollente e passando per i bagni mi soffermai davanti alla cabina nella quale mi ero chiusa quel giorno e dove lui mi aveva trovata, la guardai con malinconia. Le pareti rossicce erano consumate e anche leggermente sbiadite, erano comparse delle nuove scritte d'inchiostro nero e la porta era stata scardinata, rendendo quella cabina inutilizzabile, per lo meno non ero l'unica ad essere distrutta in modo così letterale. Sentii dei bisbigli provenire da fuori la porta e presa dalla curiosità mi affacciai e data la mia immancabile goffaggine inciampai e caddi in avanti a gattoni, alzai lo sguardo e i bisbigli si erano trasformati in risate fragorose, risate che conoscevo, una in particolare. Alzai lo sguardo lentamente, cercando di prepararmi alla vita di quella che sarebbe stata sicuramente una scena spiacevole da vedere. Ashley era in intimo appoggiata allo stipite della porta con un'aria da: ho appena fatto il sesso migliore della mia vita, guardami sono una bomba sexy anche con i capelli arruffati e il trucco colato. Mi alzai cercando di ricompormi e raccolsi i miei asciugamani da terra cercando di non guardare chi fosse la persona che era con Ashley, visto che era piuttosto palese. Mi voltai come una vigliacca e procedetti verso la cabina della doccia, aprendo il rubinetto l'acqua della doccia cominciò a camuffare le mie lacrime, occultandole quasi del tutto. Io non piangevo mai, da tanto tempo i miei rubinetti si erano tappati, ma per qualche assurda ragione che ancora non comprendevo da quando il ragazzo tenebroso dell'aula di diritto si era fatto strada nella mia vita e soprattutto nel mio cuore i rubinetti si erano lasciati andare del tutto, specialmente in quelle due settimane che per me erano state infernali, mentre a quanto pare lui se la cavava abbastanza bene.

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