PARTE 2

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IYonville-l'Abbaye (così chiamata per via di un'antica abbazia di Cappuccini, le cui rovinenon esistevano neanche più) è un borgo situato a otto leghe da Rouen, fra la strada diAbbeville e quella di Beauvais, in fondo a una valle bagnata dal Rieule, un fiumiciattolo chesi getta nell'Andelle, dopo aver fatto girare le ruote di tre mulini poco prima del suo sboccoe nelle cui acque vive qualche trota che la domenica i ragazzi si divertono a pescare con lecanne.Si lascia la strada maestra alla Boissière e si procede in pianura fino alla sommità dellasalita di Leux, dalla quale si domina tutta la vallata. Il fiume che l'attraversa dà origine a due regioni dalla diversa fisionomia: a sinistra prati e pascoli, a destra terreni coltivati. Iprati si stendono ai piedi di un semicerchio di basse colline per poi congiungersi ai pascolidella regione di Bray mentre, verso est, la pianura sale dolcemente e, allargandosi, dispiegaa perdita d'occhio i biondi campi di grano. L'acqua che scorre in mezzo all'erba divide conuna riga bianca il colore dei prati da quello dei solchi, e fa rassomigliare la campagna a ungrande mantello spiegato con il collo di velluto orlato da un gallone d'argento. Quando siarriva, all'estremo orizzonte si profilano le querce della foresta d'Argueil contro i dirupi delcolle Saint-Jean, segnato dall'alto in basso da strisce rosse irregolari, create dall'acquapiovana; i toni color mattone che risaltano in linee sottili sul grigiore della montagna sonodovuti al gran numero di sorgenti ferruginose che scorrono nella regione circostante.Ci troviamo sui confini della Normandia, della Piccardia e dell'Ile-de-France, in unaregione ibrida, ove la parlata è senza accento come è senza caratteristiche il paesaggio. Quisi producono i peggiori formaggi di tutta la zona di Neufchâtel, qui le colture sonodispendiose in quanto si rende necessaria una gran quantità di concime per rendere fertiliqueste terre friabili, piene di sabbia e di pietre.Fino al 1835 non esisteva alcuna strada carrozzabile per arrivare a Yonville ma versoquest'epoca venne costruita una strada vicinale che congiunge la via maestra di Abbevillecon quella di Amiens e viene percorsa, talvolta, dai carrettieri, i quali da Rouen vanno nelleFiandre. Ciò nonostante, Yonville-l'Abbaye, rimane stazionaria a dispetto dei nuovisbocchi. Invece di migliorare le colture, la gente del luogo, si ostina a produrre foraggi, perquanto, siano disprezzati e la pigra borgata ha continuato, a espandersi con un processonaturale, evitando la pianura verso il fiume. La si vede da lontano, adagiata lungo la riva,come un vaccaro che faccia la siesta vicino all'acqua.Ai piedi del colle, dopo il ponte, comincia un argine fiancheggiato da giovani pioppi checonduce in linea retta fino alle prime case del paese. Queste ultime sono circondate dasiepi, in mezzo a cortili in cui sorgono varie costruzioni, frantoi, rimesse o distillerie,disseminate sotto alberi fronzuti, ai cui rami sono appesi attrezzi vari, quali scale, perticheo falci. I tetti di paglia, simili a berretti di pelo calcati sugli occhi, scendono, fino a coprirecirca un terzo delle basse finestre, i cui grossi vetri convessi sono guarniti da un nodo alcentro come quello dei fondi di bottiglia. Contro i muri di gesso, attraversati in diagonaleda travicelli neri, cercano sostegno, talvolta, stenti alberelli di pero e le porte al pianterrenosono munite di un cancelletto girevole utile per tener fuori i pulcini che vengono a beccarele briciole di pane ben imbevute di sidro. A mano a mano che si procede, i cortili si fannopiù stretti, le case più vicine le une alle altre, le siepi scompaiono; un fascio di felci dondolasotto una finestra, appeso in cima a un manico di scopa; qui c'è la fucina di un maniscalco,più avanti la bottega di un carradore e dinanzi a essa due o tre carretti nuovi ingombrano lastrada. Poi attraverso un cancello, appare una casa bianca, al di là di un praticello rotondoin mezzo al quale un Amorino tiene un dito sulle labbra; in fondo a una scalinata, sitrovano due vasi di ghisa e sulla porta brilla un'insegna: è la casa del notaio, la più bella delpaese.La chiesa si trova all'altro lato della strada, venti passi più avanti, proprio all'ingresso dellapiazza. Il piccolo cimitero che la circonda, chiuso da un muretto basso, è così zeppo ditombe che le vecchie lapidi, ormai a livello del terreno, formano un lastricato continuointerrotto soltanto dai riquadri verdi disegnati dall'erba cresciuta spontaneamente. Lachiesa è stata ricostruita negli ultimi anni del regno di Carlo X. La volta in legno comincia aimputridire in alto e presenta qua e là buchi neri nel colore azzurro che la riveste. Sopra ilportale dove dovrebbe trovarsi l'organo, c'è una galleria per gli uomini alla quale si accedeper mezzo di una scala a chiocciola che risuona sotto gli zoccoli.La luce entra da grandi vetrate a lastra unica e illumina, con i suoi raggi obliqui, i banchidisposti perpendicolarmente alle pareti; qualcuno di essi è reso più confortevole da unastuoia inchiodatavi sopra, che reca scritte a grandi lettere queste parole: Banco del signor Tal dei Tali. Più avanti, nel punto in cui la navata si restringe, sono posti da un lato unconfessionale e di fronte, dall'altro, una statuetta della Vergine, vestita di raso con un velodi tulle disseminato di stelle d'argento, sul capo, e dalle gote così colorite da somigliare aquelle di un idolo delle isole Sandwich. Sopra l'altar maggiore, in fondo alla navata unacopia della Sacra Famiglia, dono del Ministro degli Interni, fra quattro candelieri, chiude laprospettiva. Gli stalli del coro, in legno d'abete, sono rimasti grezzi, non verniciati.Il mercato, e cioè una tettoia di tegole sostenuta da una ventina di pali, occupa da solo circala metà della piazza principale di Yonville. Il municipio, 'costruito su disegno di unarchitetto di Parigi', è una specie di tempio greco, situato su un angolo, di fianco alla casadel farmacista. Ostenta al pianterreno tre colonne ioniche e al primo piano una galleria atutto sesto, mentre il timpano che la sovrasta è occupato da un gallo francese il qualeappoggia una zampa sulla Costituzione e con l'altra regge la bilancia della giustizia.Ma ciò che attira di più lo sguardo è la farmacia del signor Homais, di fronte all'albergo delLeon d'Oro. La sera soprattutto, quando la lampada è accesa e i boccali rossi e verdi cheadornano la vetrina allungano lontano sul terreno i loro riflessi colorati, si intravede, comein mezzo a fuochi d'artificio, la sagoma del farmacista appoggiato al banco. La sua casa ècoperta da cima a fondo da scritte in corsivo, in tondo, in stampatello: Acqua di Vichy, diSeltz e di Barèges, sciroppi depurativi, rimedio Raspail, fecola araba, pastiglie Darcet, pastaRegnault, bende, sali da bagno, cioccolatini purgativi ecc. E l'insegna, che occupa l'interalarghezza della bottega, reca la scritta in lettere d'oro Farmacia Homais. Poi, in fondo allabottega, dietro le grandi bilance fissate al banco, la parola laboratorio si sciorina sopra unaporta a vetri che, a metà altezza, ripete ancora una volta Homais in lettere d'oro su fondonero.Non rimane altro da vedere a Yonville. La via (l'unica), lunga non più di un tiro di schioppoe fiancheggiata da qualche bottega, termina bruscamente alla curva della strada maestra.Lasciandola sulla destra e proseguendo ai piedi del colle Saint Jean, ben presto si giunge alcimitero.Al tempo dell'epidemia di colera, per ingrandirlo, fu abbattuto un tratto di muro e furonoacquistati tre acri dei terreni confinanti; ma la parte nuova è quasi del tutto inutilizzata e letombe continuano come sempre ad ammucchiarsi vicino all'ingresso. Il guardiano, chenello stesso tempo fa il becchino e il sagrestano (ricavando così un duplice utile dai defuntidella parrocchia), ha approfittato del terreno libero per coltivarci le patate. Di anno inanno, però, il suo campicello si restringe e, quando sopravviene un'epidemia, egli non sapiù se rallegrarsi per i decessi o affliggersi per le sepolture.«Si nutre di cadaveri, Lestiboudois!» gli disse un giorno il curato.Queste severe parole lo fecero riflettere e lo trattennero per qualche tempo, ma ancora oggiil guardiano continua a coltivare i tuberi e sostiene perfino, con impudenza, che nasconospontaneamente.Dopo gli avvenimenti che narreremo, in realtà nulla è cambiato a Yonville. La bandieratricolore di latta gira sempre in cima al campanile della chiesa; le banderuole di telastampata della bottega del merciaio si agitano ancora nel vento, i feti del farmacista, similia fagotti di esca bianca per il fuoco, imputridiscono sempre più nel loro alcool melmoso, esul portone dell'albergo il vecchio leone d'oro, stinto dalle piogge, continua a mostrare aipassanti la criniera da can barbone.La sera dell'arrivo dei signori Bovary a Yonville, la vedova Lefrançois, la padrona di questoalbergo, era tanto indaffarata da sudare a goccioloni, mentre rimescolava le casseruole.L'indomani era giorno di mercato, per il borgo. Bisognava tagliare in anticipo le carni,preparare i polli, fare la minestra e il caffè. In più doveva pensare ai pasti dei pensionanti,del medico, di sua moglie, e della loro domestica. La sala del biliardo sonava di risate, nellasaletta tre mugnai chiamavano per far portare dell'acquavite; il fuoco fiammeggiava, lebraci scoppiettavano, e sulla lunga tavola della cucina, fra i quarti di montone crudo, sielevavano pile di piatti che tremolavano alle scosse del tagliere sul quale venivano tritati glispinaci. Nel pollaio si sentivano gridare i polli che la serva inseguiva per tirar loro il collo.Un uomo in pantofole di pelle verde, lievemente butterato dal vaiolo, e con in capo unaberretta di velluto dalla nappina d'oro, si scaldava la schiena contro il caminetto. Il suo visoesprimeva la più assoluta soddisfazione ed egli aveva l'aria di vivere placido e tranquillocome il cardellino nella gabbia appesa sopra la sua testa: era il farmacista.«Artémise!» gridava la padrona dell'albergo «spezza un po' di fascine, riempi le bottiglie,servi l'acquavite, sbrigati! Sapessi almeno quale dessert offrire agli ospiti che staaspettando! Bontà divina! I facchini del trasloco ricominciano la sarabanda nel biliardo!Hanno lasciato il carro sotto il portone! Se arriva la Rondine è capace di sfondarlo! ChiamaPolyte perché lo porti nella rimessa!... Da questa mattina avranno fatto una quindicina dipartite, signor Homais, e bevuto otto bottiglie di sidro!... Finiranno per strapparmi ilfeltro...» continuava, guardandoli di lontano, con in mano la schiumarola.«Non sarebbe poi un gran male,» rispose il signor Homais «ne comprerebbe un altro...»«Un altro biliardo!» esclamò la vedova.«Dal momento che quello non regge più, signora Lefrançois, le ripeto, lei sbaglia, sbaglia digrosso! E poi gli appassionati adesso vogliono buche strette e stecche pesanti. Non si giocapiù alle boccette; è tutto cambiato! Bisogna essere all'altezza dei tempi! Guardi Tellier,piuttosto...»L'ostessa arrossì di dispetto. Il farmacista soggiunse:«Lei ha un bel dire, il suo biliardo è più bello di questo; e se a qualcuno venisse l'idea diorganizzare una gara patriottica a favore della Polonia o degli alluvionati di Lione...»«Non sono certo i pitocchi come lui a farci paura!» lo interruppe l'ostessa alzando le larghespalle «Andiamo! Andiamo! Signor Homais, finché ci sarà il Leon d'Oro la gente ci verrà. Anoi non mancano i mezzi! E invece, una di queste mattine potrebbe capitarci di vedere ilCaffè Francese chiuso e con un bell'affisso sulle imposte!... Cambiare il mio biliardo!»continuò fra sé e sé «Mi fa così comodo per piegare il bucato, e al tempo della caccia ci hopotuto mettere a dormire fino a sei persone!... Ma quel posapiano di Hivert, che nonarriva!»«L'aspettava per la cena dei suoi ospiti?» domandò il farmacista.«Aspettarlo? Si figuri il signor Binet! Alle sei in punto lo vedrà entrare, un pignolo uguale alui non esiste sulla faccia della terra. Bisogna che abbia sempre il suo solito posto nellasaletta! Si farebbe ammazzare piuttosto che mangiare altrove! E quanto è schifiltoso! Ecom'è difficile per il sidro! Non è certo come il signor Léon; quello arriva a qualunque ora,alle sette, le sette e mezzo, e non si accorge nemmeno di quel che mangia. Che bravogiovane! Mai una parola più forte di un'altra!»«C'è una bella differenza, creda pure, fra chi ha ricevuto una educazione e un excarabiniere divenuto esattore delle tasse.»Sonarono le sei mentre Binet entrava.Indossava una finanziera blu che gli cadeva diritta intorno al corpo magro; il berretto dicuoio con i copriorecchi annodati in cima alla testa da un cordoncino lasciava vedere, sottola visiera rialzata, una fronte calva sulla quale l'elmo aveva impresso il suo segno. Portavaun panciotto di panno nero, un colletto rigido, un paio di pantaloni grigi e, in qualsiasistagione, scarpe ben lucidate, ma deformate da due rigonfiamenti simmetrici dovuti aglialluci sporgenti. Non un pelo rompeva la perfetta armonia della barba bionda, a collare, che gli contornava la mascella, incorniciandogli il viso lungo e scialbo dagli occhi piccoli, edal naso aquilino. Abile in tutti i giochi di carte, era anche un bravo cacciatore e aveva unabella calligrafia. Possedeva un tornio con il quale si divertiva a fabbricare portatovaglioli:ne aveva la casa piena e li conservava con la gelosia di un artista e l'egoismo di unborghese.Si diresse verso la saletta: fu necessario prima farne uscire i tre mugnai e, mentre venivaapparecchiata la tavola, Binet rimase per conto suo in silenzio vicino alla stufa. Poi, comesempre, chiuse la porta e si tolse il berretto.«Non ci saranno i convenevoli a consumargli la lingua!» disse il farmacista appena si trovòsolo con l'ostessa.«Non è mai più loquace di così» rispose lei. «La settimana scorsa sono passati di qui duecommessi viaggiatori in stoffe, due giovani pieni di spirito che la sera raccontarono unmucchio di barzellette. Io piangevo dal gran ridere e lui rimase là come un baccalà senzadire una parola.»«Sì,» disse il farmacista «nessuna immaginazione, nessuna arguzia, nulla di ciò checaratterizza l'uomo di mondo!»«Eppure si dice che abbia mezzi» obiettò l'ostessa.«Mezzi?» replicò il signor Homais «Lui! I mezzi? Quando riscuote le tasse, forse» aggiunsein tono più calmo.E riprese:«Capisco che un negoziante con estesi rapporti d'affari, un giureconsulto, un medico, unfarmacista, possano essere tanto assorbiti dalle proprie occupazioni da diventare bisbeticie lunatici; di tipi di questo genere è piena la storia. Ma almeno si tratta di gente che pensa aqualcosa. Per esempio, a me, quante volte è capitato di cercare la penna sul banco perscrivere un'etichetta e di accorgermi poi che l'avevo sopra l'orecchio!»La signora Lefrançois andò intanto sulla porta per vedere se la Rondine stesse arrivando. Aun tratto trasalì; un uomo vestito di nero entrò d'improvviso in cucina. Era possibile, nelleultime luci del crepuscolo, distinguerne il viso rubicondo e la corporatura atletica.«In che cosa posso servirla, signor curato?» domandò l'albergatrice, tentando di afferrareuno dei candelieri di ottone che si trovavano sul caminetto, così bene allineati da sembrareun colonnato, e forniti di candele «Vuol bere qualcosa? Un dito di amaro, un bicchiere divino?»Il sacerdote rifiutò con molta cortesia. Era venuto per il parapioggia, che aveva dimenticatoqualche giorno prima al convegno di Ernemont e, dopo aver pregato la signora Lefrançoisdi farglielo avere al presbiterio in serata, uscì per andare in chiesa mentre le campanesuonavano l'Angelus.Quando l'eco dei passi sul selciato della piazza si fu spenta, il farmacista definì moltosconveniente il modo con il quale si era comportato poco prima il curato. Il rifiuto diaccettare una bibita gli sembrava un'odiosa ipocrisia: tutti sanno che i preti sbevazzano dinascosto e cercano di far tornare i tempi delle decime.L'ostessa prese le difese del curato.«Già, ma intanto ne vale quattro come lei. L'anno scorso aiutò i nostri uomini a ricoverareil fieno e riusciva a portarne fino a sei balle per volta, tanto è forte!»«Bravo!» disse il farmacista «Allora mandate pure le vostre figlie a confessarsi da quelpezzo di malanno con un simile temperamento. Se fosse per me, se io fossi al Governo,farei salassare i preti una volta al mese. Sì, signora Lefrançois, tutti i mesi un bel salasso nell'interesse della sicurezza pubblica e del buon costume.»«Ma stia zitto, signor Homais! Queste sono empietà! Lei non ha religione!»«Io ho una religione» rispose il farmacista. «La mia religione, anzi ne ho più di loro, esenza tante commedie e tanta ciarlataneria! Io adoro Dio, invece! Credo in un EssereSupremo, in un Creatore, quale che sia, non ha importanza, il quale ci ha messi quaggiùper adempiere i nostri doveri di cittadini e di padri di famiglia; ma non ho bisogno diandare in una chiesa a baciare piatti d'argento e a ingrassare di tasca mia un branco dibuffoni che mangiano meglio di me. Lo si può onorare benissimo in un bosco, in un campo,o addirittura contemplando la volta celeste come gli antichi. Il mio Dio è lo stesso diSocrate, di Franklin, di Voltaire e di Béranger. Sono d'accordo con la Professione di fededel vicario savoiardo e i principi immortali dell'89! Così io non ammetto un Dio alla buona,che passeggia in giardino con il bastone in mano, alloggia i suoi amici nel ventre dellebalene, muore lanciando un grido e risuscita dopo tre giorni: cose assurde in se stesse ed'altra parte in contrasto con tutte le leggi della fisica; e questo dimostra, per inciso, che ipreti si sono sempre crogiolati in una torpida ignoranza nella quale tentano di farsprofondare insieme con loro tutti i popoli.Il farmacista a questo punto tacque, si guardò intorno sicuro di scorgere un pubblicointorno a sé, perché, nel suo fervore, per un momento aveva creduto di essere in pienoconsiglio municipale. Ma la padrona dell'albergo non l'ascoltava già più; tendeva l'orecchioa un rotolio lontano. Il rumore di una carrozza misto a uno strepito di ferri allentati chebattevano sul terreno si fece distintamente sentire e, dopo poco, la Rondine si fermòdavanti al portone.Era un cassone giallo, sostenuto da due grandi ruote che, arrivando all'altezza del mantice,impedivano ai viaggiatori di vedere la strada e insudiciavano loro le spalle. I vetri deifinestrini, mobili, piccoli e stretti, tremavano nelle intelaiature quando gli sportellivenivano chiusi ed erano costellati qua e là di schizzi di fango, sulla vecchia coltre dipolvere che li ricopriva, con una tenacia tale che neppure le piogge più violente riuscivanoa far scomparire del tutto. Tiravano la Rondine tre cavalli, il primo dei quali attaccato abilancino, e nelle discese il fondo della diligenza toccava il terreno a ogni sobbalzo.Nella piazza si radunarono alcuni abitanti di Yonville: parlavano tutti insieme chiedendonotizie, spiegazioni ed esigendo i propri canestri. Hivert non sapeva più a chi rispondere.Era lui a sbrigare in città le commissioni per tutto il paese. Andava nelle botteghe, portavarotoli di cuoio per il calzolaio, ferri di ogni genere al maniscalco, un barile di aringhe per lapadrona, cappellini per la modista, parrucche per il parrucchiere; e, lungo la via delritorno, distribuiva i pacchetti gettandoli al di sopra dei recinti dei cortili, in piedi in serpa,e gridando a squarciagola mentre i cavalli continuavano a trottare per loro conto.Era arrivato in ritardo in seguito a un incidente; la cagnolina della signora Bovary erascappata per i campi. Avevano fischiato un buon quarto d'ora per farla ritornare. Hivert eraperfino tornato indietro di un mezzo miglio, sperando di rivederla da un momento all'altro.Ma poi aveva dovuto rimettersi in cammino Emma aveva pianto, si era arrabbiata, avevaaccusato Charles di quella disgrazia. Il signor Lheureux, negoziante di stoffe, che viaggiavacon loro sulla diligenza, aveva cercato di consolarla citandole un gran numero di casi in cuicani sperdutisi avevano riconosciuto il padrone dopo lunghi anni. C'era chi affermava,disse, che uno di essi fosse tornato da Costantinopoli a Parigi. Un altro aveva percorsocinquanta leghe in linea retta e attraversato a nuoto quattro fiumi. Il suo stesso padreaveva posseduto un can barbone il quale, dopo dodici anni di assenza, era riapparsofacendogli le feste, per la strada, una sera mentre egli andava a cena fuori.IlEmma scese per prima, seguita da Félicité, il signor Lheureux, una balia, e poi furonocostretti a svegliare Charles che si era profondamente addormentato nel suo angolo nonappena si era fatto buioIl signor Homais si presentò; porse i suoi omaggi alla signora, i suoi complimenti al marito,si dichiarò lietissimo di essere stato loro utile in qualche modo, e, con grande cordialità,aggiunse di aver osato invitarsi da solo anche perché sua moglie era assente.La signora Bovary non appena entrata in cucina, andò a mettersi vicino al camino. Presacon la punta delle dita la gonna all'altezza del ginocchio, la sollevò fin sopra le caviglie eprotese verso la fiamma, al di sopra dell'arrosto che girava sullo spiedo, il piede calzato dauno stivaletto nero. Il fuoco la rischiarava tutta, penetrava con una luce cruda nella tramadella veste, le sfiorava la pelle liscia e bianca, e perfino le palpebre degli occhi che di tantoin tanto si abbassavano. Il soffio del vento che entrava dalla porta socchiusa gettava su dilei, a tratti, un gran riverbero rosso.Dall'altro lato del camino, un giovane biondo la guardava in silenzio.Il signor Léon Dupuis (l'altro pensionante del Leon d'Oro) si annoiava molto a Yonville,ove era giovane di studio dell'avvocato Guillaumin, e spesso ritardava di proposito l'oradella cena nella speranza che giungesse all'albergo qualche viaggiatore con il qualescambiare quattro chiacchiere durante la serata. Nei giorni in cui non aveva niente da fare,non sapendo come ingannare il tempo, doveva per forza arrivare all'ora esatta e subire,dalla minestra al formaggio, la compagnia di Binet. Accettò quindi con gioia la propostadell'ostessa di cenare con i nuovi venuti, e tutti andarono nel salone dove la signoraLefrançois, per solennizzare l'occasione, aveva apparecchiato per quattro.Il signor Homais chiese il permesso di tenere in capo la papalina per paura di raffreddarsi.Poi si rivolse alla sua vicina:«La signora si sentirà un po' stanca. Si è così terribilmente sballottati sulla nostraRondine!»«È vero,» rispose Emma «ma gli scombussolamenti mi divertono sempre: mi piacecambiare città.»«È una cosa tanto noiosa» sospirò l'impiegato «vivere sempre chiusi nello stesso posto!»«Se foste come me,» disse Charles «sempre costretto ad andare a cavallo...»«Ma» rispose Léon, rivolgendosi alla signora Bovary «non c'è niente di più piacevole,direi» e aggiunse: «quando si può».«Del resto» disse lo speziale «l'esercizio della medicina non è più faticoso come un tempo.Le buone condizioni delle strade delle nostre regioni consentono l'uso del calesse; inoltre icontadini guadagnano e pagano bene. Dal punto di vista sanitario, a parte i casi diordinaria amministrazione quali enteriti, bronchiti, coliche biliari eccetera, qualche febbreintermittente nel periodo della mietitura e, tutto sommato, poche malattie gravi, lasituazione è buona, a parte i tanti reumatismi, dovuti certo alle deplorevoli condizioniigieniche delle abitazioni dei nostri contadini. Ah! Troverà un gran numero di pregiudizi dacombattere, dottor Bovary: molte convinzioni radicate contro le quali i suoi sforzi, sorrettidalla scienza, dovranno scontrarsi quotidianamente. Qui si ricorre ancora alle novene, allereliquie, al curato, anziché rivolgersi, come sarebbe naturale, al medico o al farmacista. Ilclima, bisogna dirlo, non è affatto cattivo, e nel nostro comune vivono addirittura deinovantenni. Il termometro (secondo le mie osservazioni) scende, d'inverno, fino a quattrogradi sotto lo zero e d'estate tocca i venticinque-trenta centigradi al massimo, e cioèventiquattro Réaumur o, se preferisce, cinquantaquattro Fahrenheit (misura inglese), mai di più! Infatti la foresta d'Argueil ci difende da una parte dai venti del nord, e il colle SaintJean dall'altra, da quelli dell'ovest. Questo calore, d'altro canto, a causa del vapore acqueoprodotto dal fiume, e per la presenza di una considerevole quantità di bestiame nei pascoli,che esalano, come ben sapete, molta ammoniaca e cioè azoto, idrogeno e ossigeno (no,azoto e idrogeno soltanto) e, risucchiando l'humus della terra, confondendo tutte questediverse emanazioni, e riunendole in un fascio, per così dire, e combinandosi da solo conl'elettricità diffusa nell'atmosfera, quando ce n'è, potrebbe, a lungo andare, come nei paesitropicali, generare miasmi malsani - questo calore, dicevo, finisce con l'essere giustamentetemperato proprio dalla parte dalla quale proviene, o piuttosto dalla quale verrebbe; e cioèda sud, grazie ai venti di sud-est, i quali, rinfrescatisi passando sulla Senna, arrivanotalvolta all'improvviso fin qui, come brezze dalla Russia!»«Si possono almeno fare passeggiate nei dintorni?» continuò la signora Bovary,rivolgendosi al giovanotto.«Oh, assai poche» egli rispose. «C'è un posto, chiamato il Pascolo, in cima al colle, allimitare della foresta. Qualche volta, la domenica, ci vado, e mi fermo là con un libro, aguardare il tramonto.»«Per me non esiste niente di più bello del sole al tramonto, soprattutto in riva al mare»disse Emma.«Oh! Io adoro il mare» esclamò Léon.«E poi,» continuò la signora Bovary «non trova che lo spirito spazia più liberamente suquella distesa senza limiti, la cui contemplazione eleva l'anima e suggerisce riflessionisull'infinito, sugli ideali?»«Succede la stessa cosa in montagna» rispose Léon. «Ho un cugino che l'anno scorso hafatto un viaggio in Svizzera. Mi diceva che non è possibile farsi un'idea della suggestionepoetica dei laghi, del fascino delle cascate, della grandiosità dei ghiacciai. Ci sono pinigiganteschi gettati attraverso i torrenti, capanne affacciate su precipizi e, quando le nubi sisquarciano, mille piedi sotto di esse si scorgono intere vallate. Questi spettacoli sono fattiper entusiasmare, per indurci alla preghiera e all'estasi. Non mi stupisce che un celebremusicista, per ispirarsi, avesse l'abitudine di suonare il pianoforte di fronte a qualchepaesaggio imponente.»«Si diletta di musica?» chiese Emma.«No, ma mi piace molto.»«Ah, non gli dia retta, signora Bovary» li interruppe Homais chinandosi sul piatto. «È tuttamodestia. Ma come, amico mio! L'altro giorno, in camera sua, cantava una romanza,l'Angelo Custode, ch'era un incanto. La sentivo dal laboratorio, la interpretava propriocome un artista.»Léon infatti alloggiava dal farmacista, aveva una stanzetta in casa sua, al secondo piano,sulla piazza. Arrossì al complimento del padrone di casa, che si era già voltato verso ilmedico e stava enumerandogli, uno dopo l'altro, tutti i cittadini più in vista di Yonville.Raccontava aneddoti sul loro conto e forniva informazioni Non si sapeva con precisione aquanto ammontasse il patrimonio del notaio, c'erano i Tuvache che si davano delle grandiarie.«E che genere di musica preferisce?» domandò Emma.«Oh! La musica tedesca, quella che fa sognare.»«Conosce gli artisti italiani?»«Non ancora, ma avrò occasione di vederli l'anno prossimo, quando abiterò a Parigi per terminare i miei studi di legge.»«Come avevo l'onore di esporre a suo marito,» disse il farmacista «a proposito di quelpovero Yanoda che è scappato, lei si troverà a godere di una delle case più confortevoli diYonville, grazie alle sue follie. Il più grande vantaggio per un medico è quello di avere uningresso sul vicolo, dal quale sia possibile entrare e uscire senza essere visti. Inoltre la villaè dotata di tutte le comodità desiderabili per una famiglia: lavanderia, cucina con dispensa,stanza di soggiorno, un locale per conservare la frutta, eccetera. Era proprio un tipo chenon badava a spese! Si era fatto costruire una pergola in fondo al giardino, vicino al fiume,soltanto per andarci a bere la birra d'estate, e se alla signora piace il giardinaggio potrà...»«Mia moglie non se ne occupa molto,» disse Charles «preferisce, per quanto le siraccomandi di fare del moto, restare sempre in camera sua a leggere.»«Come me!» esclamò Léon «Infatti che cosa c'è di meglio dello starsene la sera, accanto alfuoco, mentre il vento batte ai vetri, sotto la lampada accesa con un buon libro?...»«Non è vero?» disse Emma, fissandolo con i grandi occhi neri spalancati.«Non si pensa più a niente» continuò lui «e le ore passano senza che ce ne accorgiamo. Purrimanendo immobili, viaggiamo in paesi che crediamo davvero di vedere e il nostropensiero, intrecciandosi con la finzione, si diletta di particolari e segue il filo della trama; sifonde addirittura con i personaggi e si immedesima nelle loro vicende.»«È vero! È vero!» confermò Emma.«Non le è mai capitato» continuò Léon «di ritrovare in un libro un pensiero già formulatovagamente in noi stessi, un'immagine offuscata, quasi ci tornasse da lontano, e l'interadescrizione dei nostri sentimenti più profondi?»«Ho provato tutto questo» rispose lei.«Ecco perché preferisco i poeti, soprattutto. Trovo i versi più dolci e più commoventi dellaprosa.»«Alla lunga, però, finiscono con lo stancare» osservò Emma. «Adesso, invece, miappassiono ai racconti che si leggono tutti d'un fiato, quelli che tengono con il cuoresospeso. Detesto i personaggi comuni e i sentimenti moderati, come quelli che siincontrano nella realtà.»«Infatti» convenne l'impiegato «quelle opere che non suscitano emozioni, secondo me, siallontanano dai veri scopi dell'arte. È piacevole, in mezzo alle disillusioni della vita, poterrivolgere i propri pensieri su nobili figure, affetti puri e immagini di felicità. Per quanto miriguarda, dato che vivo qui, fuori del mondo, la lettura è la mia sola distrazione; Yonvilleinfatti non ha altre risorse!»«Come Tostes, certo» riprese Emma. «Perciò mi abbonai a una biblioteca circolante.»«Se la signora mi vuol fare l'onore di approfittarne,» disse il farmacista che aveva uditoqueste ultime parole «posso mettere a sua disposizione una biblioteca composta daimigliori autori: Voltaire, Rousseau, Delille, Walter Scott, l'Eco delle pubblicazioni, ecceterae, in più, ricevo vari periodici, fra i quali il Faro di Rouen tutti i giorni, in quanto mi pregiodi esserne il corrispondente per le circoscrizioni di Buchy, Forges, Neufchâtel, Yonville edintorni.»Dopo due ore e mezzo erano ancora a tavola: la serva, Artémise, ciabattava sul pavimentostraccamente, portando i piatti uno per volta, dimenticava tutto, non capiva niente econtinuava a lasciare socchiusa la porta del biliardo, facendone sbattere la maniglia controil muro.Senza accorgersene, nella foga del discorso, Léon aveva posato un piede su un piolo della sedia sulla quale stava seduta la signora Bovary. Emma portava una piccola cravatta di setablu che teneva diritto, come una gorgiera, un colletto di batista pieghettato; a seconda deimovimenti del capo, il viso vi affondava o ne riemergeva dolcemente. Restando così, unovicino all'altra, mentre Charles e il farmacista chiacchieravano, si trovarono presi in una diquelle conversazioni vaghe, durante le quali il giro casuale delle frasi porta di continuo a uncentro fisso di reciproca simpatia. Spettacoli di Parigi, titoli di romanzi, nuove quadriglie, eil mondo che nessuno dei due conosceva, Tostes, dove lei aveva vissuto, Yonville, doveentrambi si trovavano adesso, presero in esame tutto, fino al termine della cena.Quando il caffè fu servito, Félicité andò a preparare la camera nella nuova casa, e benpresto tutti si alzarono da tavola. La signora Lefrançois dormiva vicino al camino, e ilmozzo di stalla con una lanterna in mano aspettava i signori Bovary per accompagnarli.Aveva una zazzera rossa alla quale si mescolavano pezzetti di paglia e zoppicava sullagamba sinistra. Prese con la mano libera il parapioggia del curato e si misero in cammino.Il paese dormiva. I pali della tettoia del mercato allungavano ombre smisurate. Il selciatoera grigio, come in una notte estiva.La casa del medico distava soltanto cinquanta passi dall'albergo, così, quasi subito, sisalutarono e la compagnia si sciolse.Emma, appena entrata nel vestibolo, si sentì cadere sulle spalle, come una camiciabagnata, tutto il freddo delle pareti. I muri erano stati rivestiti di intonaco nuovo e i gradinidi legno scricchiolavano. Nella camera, al primo piano, una luce biancastra penetrava dallefinestre senza tende. Fuori, si intravedevano cime d'alberi e più lontano i prati, mezzoaffogati nella nebbia, che fumavano al chiaro di luna, lungo la riva del fiume.In mezzo alla stanza, ammucchiati alla rinfusa, c'erano cassetti di mobili, bottiglie, bastonidi tende, aste dorate, materassi posati su sedie e bacinelle per terra. I due uomini cheavevano portato i mobili avevano lasciato là tutto in qualche modoPer la quarta volta, Emma dormiva in un luogo sconosciuto. La prima volta risaliva algiorno in cui era entrata in collegio, la seconda a dopo l'arrivo a Tostes, la terza allaVaubyessard: e ognuna di queste occasioni aveva rappresentato nella sua vita quasi l'iniziodi una nuova epoca. Non credeva possibile che le cose potessero ripetersi nello stessomodo in luoghi diversi, e poiché la parte di esistenza già vissuta era stata cattiva, certoquella che ancora le rimaneva sarebbe potuta essere migliore.IlIL'indomani, appena alzata, Emma vide il giovane di studio nella piazza. Era ancora investaglia e quando lui alzò il capo e la salutò, rispose con un rapido cenno e richiuse lafinestra.Léon, quel giorno, aspettò con impazienza che arrivassero le sei: ma, entrando nell'albergo,si accorse che ad aspettarlo c'era soltanto il signor Binet, seduto a tavola.La cena della sera precedente aveva costituito per lui un avvenimento importante; non gliera mai accaduto, fino a quel momento, di conversare per due ore di seguito con una'signora'. Si stupiva di essere riuscito a esporle, e in così bella forma, una quantità di coseche prima d'ora non avrebbe saputo dire. Di solito era timido e manteneva quel riserbo cheè al contempo pudore e dissimulazione. A Yonville lo consideravano un giovane di ottimemaniere. Ascoltava i discorsi delle persone anziane e non si esaltava per la politica, cosaquesta notevole per la sua età. Inoltre aveva qualche talento, dipingeva all'acquerello,leggeva la musica, si occupava volentieri di letteratura, dopo cena, quando non giocava acarte. Il signor Homais lo stimava per la sua cultura, la signora Homais gli era affezionata per la sua compiacenza, in quanto spesso scendeva in giardino con i piccoli Homais,marmocchi sempre sudici, molto maleducati e un po' linfatici come la madre. Per badare aloro, oltre alla domestica avevano Justin, l'allievo farmacista che serviva nello stesso tempoda domestico ed era un lontano cugino del signor Homais, il quale l'aveva accolto in casaper carità.Lo speziale si dimostrò il migliore dei vicini. Informò la signora Bovary sul conto deifornitori, fece venire apposta il suo negoziante di sidro, assaggiò egli stesso la bevanda peraccertarsi della sua buona qualità, si preoccupò di far sistemare nella maniera migliore ifusti in cantina; indicò il modo di procurarsi una provvista di burro a buon mercato econcluse un contratto con Lestiboudois, il sagrestano, il quale, oltre a svolgere le suefunzioni chiesastiche e mortuarie, si occupava dei più bei giardini di Yonville, a un tantoall'ora o all'anno, a seconda dei gusti di chi lo assumeva.Non era soltanto il desiderio di aiutare gli altri a indurre il farmacista a tanta ossequientecordialità; dietro a essa si celava un preciso proposito.Egli aveva violato la legge del 19 ventoso dell'anno XI, articolo I, che proibisce, a chi nonpossieda il titolo adatto, l'esercizio della medicina. In seguito a una misteriosa denuncia, ilsignor Homais era stato chiamato a Rouen, dal procuratore del re, nel suo gabinettoparticolare. Il magistrato l'aveva ricevuto in piedi, con la toga, l'ermellino sulle spalle e iltocco in testa. Era una mattina, prima delle udienze. Si udivano nel corridoio i passipesanti degli stivali dei gendarmi e un rumore lontano di grosse serrature che venivanochiuse. Il farmacista si sentiva ronzare gli orecchi al punto da temere che gli venisse unaccidente, si vide in fondo a una segreta, immaginò la sua famiglia nella disperazione, lafarmacia venduta, i boccali sparsi ai quattro venti e dovette, per riprendersi, entrare in uncaffè e ordinare un bicchiere di rum al seltz.A poco a poco il ricordo di questa ammonizione si affievolì, ed egli continuò come sempre avisitare illegalmente pazienti nel retrobottega. Ma il sindaco ce l'aveva con lui, i colleghierano gelosi, si poteva temere il peggio. Fare delle gentilezze al signor Bovary significavaassicurarsene la gratitudine e chiudergli la bocca nel caso si fosse accorto di qualcosa. Così,tutte le mattine, Homais gli portava il giornale, e spesso, nel pomeriggio, lasciava lafarmacia per un momento e andava a chiacchierare con l'ufficiale sanitario.Charles era triste: la clientela non si faceva vedere. Se ne stava seduto per lunghe ore senzaparlare; andava a dormire nello studio o guardava sua moglie cucire. Per distrarsi si mise afare l'uomo di fatica in casa e si cimentò a dipingere il solaio con gli avanzi di vernicilasciati dagli imbianchini. Ma lo preoccupava la situazione finanziaria. Aveva speso sommeingenti per le riparazioni della casa di Tostes, per gli abiti della moglie, e per il trasloco; etutta la dote, più di tremila scudi, era sfumata in due anni. Quante cose poi, si eranorovinate o perdute nel trasporto da Tostes a Yonville, senza contare il curato di gesso, che,a una scossa più violenta del carro, era caduto spaccandosi in mille pezzi sul selciato diQuincampoix.L'unico pensiero piacevole capace di distrarlo era la gravidanza della moglie. A mano amano che il termine dei nove mesi si avvicinava, sentiva di amarla sempre di più. Era comese si fosse stabilito un nuovo legame fisico, quasi l'incessante consapevolezza di un'unionepiù complessa. Quando osservava da lontano la pigra andatura di Emma, quando la vedevapiegarsi mollemente sulle anche non imprigionate nel busto, oppure, standole di fronte, lacontemplava a suo agio, mentre lei si abbandonava stanca, seduta nella poltrona, allora lasua felicità diventava incontenibile. Si alzava, l'abbracciava, l'accarezzava sul viso, lachiamava mammina, voleva farla ballare, e, sorridendo con le lacrime agli occhi, lesussurrava tutte le cose scherzose e tenere che gli venivano in mente.L'idea di aver dato origine a una nuova vita lo deliziava. Conosceva l'esistenza umana intutte le sue manifestazioni, adesso, e se ne stava affacciato a guardarla con serenità.Emma dapprima si sentì molto stupita, poi desiderò sgravarsi per sapere che cosa volessedire essere mamma. Ma, non potendo fare le spese che avrebbe desiderato né avere unaculla a barchetta con il velo di seta rosa, e delle cuffiette ricamate, rinunciò a preparare ilcorredino e, in un momento di amarezza, lo ordinò tutto a una lavorante del villaggio senzascegliere niente e senza discutere. Non si appassionò a questi preparativi nei quali simanifesta la tenerezza delle madri, e il suo affetto, fin dal principio, ne fu forse in qualchemodo attenuato.Eppure, siccome Charles, a ogni pasto, non faceva che parlare del bambino, anche Emmacominciò a pensarvi meno saltuariamente.Desiderava un maschio; sarebbe stato forte e bruno, e l'avrebbe chiamato Georges e questaidea di avere per figlio un maschio era quasi una rivincita potenziale di tutti i suoifallimenti. Un uomo è almeno libero; passioni e paesi sono aperti dinanzi a lui, puòignorare gli ostacoli e ghermire le felicità più remote. Una donna, invece, è continuamenteimpedita. Inerte e flessibile nello stesso tempo, ha contro di sé le debolezze della carne e idettami delle leggi. La sua volontà, come il velo del cappello, trattenuto da un cordone,palpita a tutti i venti; per ogni desiderio che alletta, v'è una convenienza che trattiene.Partorì una domenica alle sei, al levar del sole.«È una bambina!» disse Charles.Emma voltò la testa e svenne.Quasi subito accorse la signora Homais e l'abbracciò. Altrettanto fece mamma Lefrançoisdel Leon d'Oro. Il farmacista, con discrezione, le rivolse soltanto, attraverso la portaso«chiusa, qualche provvisoria felicitazione. Volle vedere la creaturina e la trovò assai benconformata.Durante la convalescenza, Emma dedicò parecchio tempo alla scelta di un nome per suafiglia. Innanzitutto passò in rassegna quelli che avevano una desinenza italiana, comeClara, Louisa, Amanda, Atala; le piaceva anche Galsuinde e ancora di più Yseult eLéocadie. Charles avrebbe voluto chiamarla come sua madre, ma Emma si oppose. Feceropassare il calendario da cima a fondo e consultarono anche gli estranei.«Il signor Léon» diceva il farmacista «si meraviglia che non scegliate Madeleine: è unnome enormemente di moda.»Ma la signora Bovary madre protestò con vivacità per questo nome di peccatrice. Quanto alsignor Homais, le sue preferenze andavano a tutti quei nomi che ricordassero grandiuomini, fatti illustri o alti ideali e aveva battezzato i suoi quattro figli in armonia con talipredilezioni. Così Napoleone rappresentava la gloria e Franklin la libertà; Irma era forseuna concessione al romanticismo, ma Athalie costituiva certo un omaggio a un immortalecapolavoro del teatro francese. Le sue convinzioni filosofiche, è evidente, non ostacolavanogli entusiasmi artistici e in lui la sensibilità non era soffocata dalla razionalità; sapevadiscernere fra l'una e l'altra cosa, separare nettamente l'immaginazione dal fanatismo. Diquesta tragedia, per esempio, egli biasimava le concezioni, ma ammirava lo stile; riprovavail pensiero, ma plaudiva a tutti i particolari, si esasperava contro i personaggi, ma i lorodiscorsi lo entusiasmavano. Quando leggeva le scene madri, si sentiva trasportato, maquando pensava che i preti ne traevano vantaggio per la propria bottega, ne era desolato, esi smarriva in questa confusione di sentimenti desiderando nello stesso tempo incoronarecon le proprie mani Racine e discutere con lui per un buon quarto d'ora.Alla fine Emma ricordò che al castello della Vaubyessard aveva sentito la marchesachiamare Berthe una giovane; da quel momento la scelta fu fatta e siccome Papà Rouaultnon poteva venire, il signor Homais fu pregato di fare da padrino. Come regalo offrìprodotti della sua azienda; e cioè: sei scatole di giuggiole, un intero boccale di fecola araba, tre vasetti di pasta di malvarosa e inoltre sei bastoncini di zucchero filato che aveva trovatoper caso in un armadio a muro. La sera della cerimonia, venne organizzata una gran cena;c'era anche il curato. Vi fu molta animazione. Il signor Homais, ai liquori, intonò Dio degliuomini buoni, il signor Léon cantò una barcarola e la signora Bovary madre, che era lamadrina, una romanza dei tempi dell'impero. Infine il signor Bovary padre volle che siportasse giù la neonata e finse di battezzarla con un bicchiere di champagne, versandolodall'alto sul capo della bambina. Una tale derisione del primo dei sacramenti indignòl'abate Bournisien; Bovary padre rispose con una citazione dalla Guerra degli dei, il curatose ne voleva andare, le signore imploravano, il signor Homais si interpose e fra tuttiriuscirono a trattenere il sacerdote, che sedette e ricominciò a sorbire tranquillamente dalpiattino la tazza di caffè rimasta a metà.Il signor Bovary padre si fermò per un mese a Yonville, abbagliandone gli abitanti con unsuperbo berretto militare a galloni d'argento che si metteva la mattina per andare a fumarela pipa in piazza. Aveva inoltre l'abitudine di bere molta acquavite e mandava spesso ladomestica al Leon d'Oro perché gliene comperasse una bottiglia, facendola mettere inconto a suo figlio; consumò anche tutta la provvista di acqua di Colonia di sua nuora perprofumare i propri fazzoletti.A Emma non dispiaceva la compagnia del suocero. Aveva girato il mondo e le parlava diBerlino, di Vienna, di Strasburgo, di quand'era ufficiale, delle sue amanti, delle granmangiate che aveva fatto, si comportava con lei con grande amabilità e talvolta addirittura,in giardino o sulle scale, la prendeva per la vita esclamando:«Sta' attento, Charles!»A questo punto, mamma Bovary si preoccupò per la felicità del figlio e temendo che suomarito, a lungo andare, avrebbe potuto esercitare un'influenza immorale sulle idee dellagiovane, si affrettò a cercar di anticipare la partenza. Forse l'angustiavano preoccupazionipiù serie. Il signor Bovary era un uomo che non rispettava nulla...Un giorno Emma fu presa d'improvviso dal desiderio di vedere la sua bambina, che erastata messa a balia dalla moglie del falegname, e, senza controllare sul calendario se le seisettimane della Vergine fossero già trascorse o meno, s'incamminò verso la casa dei Rolletsituata all'estremità del villaggio ai piedi del colle, fra la strada maestra e le marcite.Era mezzogiorno, le case avevano le persiane chiuse, i tetti di ardesia luccicavano sotto laluce violenta del cielo azzurro e i colmi sembrava sprigionassero scintille. Soffiava un ventocaldo e saturo di umidità. Emma si sentiva debole mentre camminava, la facevano soffrire iciottoli del marciapiede; era incerta se tornare indietro o entrare in qualche posto persedersi.In quel momento uscì da una porta vicina il signor Léon con un fascio di carte sotto ilbraccio. Venne a salutarla e si mise all'ombra, sotto la tenda grigia sporgente davanti allabottega di Lheureux.La signora Bovary disse che andava a trovare sua figlia, ma che si sentiva stanca.«Se...» cominciò Léon senza avere il coraggio di andare avanti.«Ha qualche impegno?» domandò Emma.Avendo ottenuto una risposta negativa, lo pregò di accompagnarla. La sera, tutta Yonvilleera a conoscenza del fatto, e la signora Tuvache, la moglie del sindaco, dichiarò allapresenza della domestica che la signora Bovary si stava compromettendo.Per andare dalla balia, bisognava voltare a sinistra dopo lo stradone, come per recarsi alcimitero, e percorrere un viottolo che correva, fiancheggiato dai ligustri fioriti, in mezzo acasette e cortili. Erano in fiore anche le veroniche, le rose canine, le ortiche e i sottili tralcidei rovi che si protendevano dai cespugli. Dai varchi fra le siepi si scorgevano, presso i casolari, maiali vicini alle concimaie, o mucche impastoiate che strofinavano le cornacontro il tronco degli alberi. I due camminavano adagio, fianco a fianco, Emmaappoggiandosi a lui e lui accorciando il passo e adeguandolo a quello di lei. Davanti a lorovolteggiava e ronzava uno sciame di mosche nell'aria calda.Riconobbero la casa da un vecchio noce che stendeva la sua ombra su di essa. Era bassa ecoperta di tegole scure, e fuori dell'abbaino del solaio pendeva una collana di cipolle.Alcune fascine appoggiate verticalmente contro la cinta spinosa delimitavano un'aiuolaquadrata ove crescevano della lattuga, alcune piante di lavanda e i piselli odorosi che siabbarbicavano sulle frasche. Un rivoletto di acqua sporca scorreva e si allargava sull'erba etutto intorno erano sparpagliati cenci non ben identificabili, calze lavorate a maglia, unacamiciola di cotone rosso e un grande lenzuolo di tela ruvida steso lungo la siepe. Alrumore del cancello, comparve la balia, tenendo in braccio un bambino che stavapoppando. Con l'altra mano si trascinava dietro un povero marmocchio gracile e dal visoscrofoloso figlio di un cappellaio di Rouen, che i genitori, troppo impegnati con il lorolavoro, lasciavano in campagna.«Entri,» disse «la sua bambina è là che dorme.»La camera al pianterreno, la sola di tutta la casa, aveva in fondo, contro il muro, un granletto senza tende, mentre la madia occupava il lato della finestra, un vetro della quale eratenuto insieme da un disco raggiato di carta blu. Nell'angolo dietro la porta, zoccoli alti, daichiodi lucenti, erano allineati sotto la pietra del lavatoio, vicino a una bottiglia piena d'oliocon una piuma infilata nel collo. Un lunario Mathieu Laensberg era gettato sul caminettopolveroso, fra pietre focaie da fucile, mozziconi di candele e brandelli d'esca. Il massimolusso di questa stanza consisteva in un'illustrazione ritagliata certo da qualche cartellopubblicitario di prodotti di profumeria, raffigurante la Celebrità che soffiava in unatromba; era fissata alla parete per mezzo di bullette da zoccoli.La bambina di Emma dormiva in una culla di vimini, sul pavimento. La madre la prese inbraccio con la coperta che l'avvolgeva e si mise a ninnarla cantando sottovoce.Léon andava su e giù per la stanza; gli sembrava strano vedere questa bella signora dagliabiti eleganti in mezzo a tanta miseria La signora Bovary arrossì ed egli si voltò, temendoche i suoi sguardi potessero apparire impertinenti. Poi Emma riadagiò la piccola che avevarigurgitato sul bavaglino. La balia andò subito a ripulirla assicurando che non sarebberimasta la macchia.«Ne fa ben altre,» disse «non faccio altro che lavare le sue cose. Se avesse la compiacenzadi ordinare a Camus, il droghiere, di lasciarmi prendere il sapone quando mi occorre,sarebbe più comodo per lei perché non continuerei a disturbarla.»«Va bene, va bene!» disse Emma «Arrivederci, mamma Rollet.»E uscì, pulendosi i piedi sul gradino della soglia.La buona donna l'accompagnò fino in fondo al cortile, parlando della fatica che le costaval'alzarsi di notte.«Mi sento così rotta, che spesso mi addormento sulla sedia. Dovrebbe proprio darmialmeno una libbra di caffè macinato; me lo farei bastare per un mese e lo berrei la mattinacon il latte.»Dopo aver subito i suoi ringraziamenti, la signora Bovary se ne andò; aveva percorsosoltanto un breve tratto di sentiero quando uno scalpiccio di zoccoli le fece volgere il capo:era ancora la balia.«Che c'è?»Allora la contadina, tirandola in disparte sotto un olmo, si mise a parlare del marito, il quale, con il suo mestiere e con i sei franchi all'anno che il capitano...«Venga al dunque» disse Emma.«Bene,» riprese la balia sospirando a ogni parola «ho paura che se la prenda, se mi vedebere il caffè da sola; sa, gli uomini...»«Ma le ho detto che le farò avere il caffè» ripeté Emma. «Glielo manderò... Non continui ainfastidirmi.»«Ahimè! Cara signora, il guaio è che le sue ferite gli danno dei terribili crampi al petto.Dice che anche il sidro lo indebolisce.»«Ma cerchi di sbrigarsi, mamma Rollet.»«Stavo dicendo,» riprese lei facendo un inchino «se non le sembra troppo, se non èchiederle troppo» e si inchinò ancora una volta «quando le farà comodo,» e supplicava conlo sguardo «un quartino di acquavite» disse infine «potrei adoperarla anche per strofinarei piedini della sua bambina, che li ha teneri come la lingua.»Liberatasi della balia, Emma si appoggiò di nuovo al braccio del signor Léon. Camminò infretta per un tratto, poi rallentò e il suo sguardo, ch'ella teneva fisso dinanzi a sé, si posòsulla spalla e sul collo di velluto nero della finanziera del suo accompagnatore. I capellicastani di lui vi ricadevano lisci e ben pettinati. Notò che aveva le unghie più lunghe dicome le portavano a Yonville. Una delle maggiori occupazioni del giovane di studio erainfatti quella di curarle; e custodiva a questo scopo un temperino tutto particolare nelcassetto della scrivania.Tornarono a Yonville seguendo la riva del fiume. Nella stagione calda, l'argine, facendosipiù largo, metteva allo scoperto fino alla base i muri dei giardini che avevano una brevescala per scendere al fiume. L'acqua scorreva silenziosa, rapida, e guardandola, si avevaun'impressione di freddo, lunghe erbe sottili si curvavano insieme spinte dalla corrente,come capigliature verdi che si abbandonassero libere nella sua limpidezza. Sulla cima deigiunchi o sulle foglie delle ninfee si posavano, o camminavano talvolta, insetti dalle lunghezampe. Il sole attraversava con i suoi raggi le piccole bolle che si susseguivano e sirompevano, formate dalle onde, i vecchi salici dai rami tagliati, si riflettevano nell'acquacon la corteccia grigia; al di là di essi, tutto intorno, i prati sembravano deserti. Era l'oradel pasto, nelle fattorie, e la giovane signora e il suo compagno non sentivano camminandoche il suono dei loro passi sulla terra battuta del sentiero, le parole che essi stessipronunciavano e il fruscio della gonna di Emma intorno a lei. I muri dei giardini, con lacima munita di cocci di bottiglia erano caldi come le vetrate di una serra. Fra i mattonierano cresciute le violacciocche selvatiche e, con l'orlo del parasole aperto, passando, lasignora Bovary sbriciolava in una polvere gialla qualcuno dei loro fiori appassiti; qualcheramo di caprifoglio o di clematide si protendeva al di sopra del muro e strusciava unmomento sulla seta impigliandosi nelle frange.Stavano parlando di una compagnia di ballerini spagnoli che si sarebbero di lì a pocoesibiti al teatro di Rouen.«Andrà a vederli?» domandò Emma.«Se mi sarà possibile» rispose Léon.Non avevano altro da dire? Eppure i loro occhi erano colmi di una gravità degna di parolepiù serie, e, mentre si sforzavano di trovare frasi banali, si sentivano presi da uno stessolanguore. Sentivano dentro di sé come un mormorio profondo, incessante, più forte delleloro stesse voci. Sbigottiti di fronte a questa sconosciuta soavità, non si preoccupavano diconfidarsi le sensazioni che suscitava o di scoprirne la causa. Le felicità future, come lespiagge dei Tropici, proiettano sulle smisurate distanze che le precedono i miraggi dei loropropri piaceri, di una brezza profumata, e assopiscono in questa voluttà, senza suscitare ansie per l'orizzonte che non si riesce a scorgere.A un certo punto il sentiero affondava nel fango a causa del passaggio del bestiame; furonocostretti a camminare su grosse pietre verdi regolarmente distanziate. Spesso Emma sifermava un istante per guardare dove metteva il piede e, vacillando sulla pietra malferma,con i gomiti sollevati, la figura inclinata e l'occhio indeciso, rideva della propria paura dicadere nelle pozzanghere.Appena giunsero davanti al suo giardino, la signora Bovary spinse il cancelletto, salì dicorsa i gradini e scomparve.Léon rientrò allo studio. Il principale non c'era; diede una occhiata agli incartamenti,temperò una penna, poi prese il cappello e uscì.Se ne andò su al Pascolo, in cima al colle di Argueil, al limitare della foresta; si sdraiò perterra sotto i pini, a guardare il cielo attraverso le dita.«Come mi annoio!» si ripeteva «Come mi annoio!»Si commiserava perché viveva in un villaggio avendo Homais come amico e il signorGuillaumin per padrone. Quest'ultimo con gli occhiali d'oro a stanghetta e i favoriti rossiche spiccavano sulla cravatta bianca, tutto preso dagli affari, non capiva niente delleraffinatezze dello spirito, benché affettasse maniere rigide e inglesi che erano riuscite adabbagliare il giovane nei primi tempi. Quanto alla moglie del farmacista, era la migliorsposa di tutta la Normandia, dolce come un agnello, amava i figli, il padre, la madre, icugini, era pronta a piangere per le disgrazie altrui, badava alla casa come meglio non sisarebbe potuto e detestava i busti. Ma era così lenta nei movimenti, così noiosa adascoltarsi, aveva un aspetto così comune, e una conversazione così limitata che, per quantoavesse solo trent'anni e lui venti, per quanto dormissero porta a porta, per quanto leparlasse ogni giorno, non aveva mai pensato ch'ella potesse essere una donna perqualcuno, né che possedesse del proprio sesso qualcos'altro oltre la veste.E poi chi c'era? Binet, qualche negoziante, due o tre osti, il curato, e il signor Tuvache, ilsindaco, e i suoi due figli, gente ricca, burbera e ottusa, che coltivava da sé i propri terreni,faceva baldoria in famiglia, devota, questo è vero, ma la cui compagnia era del tuttoinsopportabile.Sullo sfondo uniforme di tutti questi volti umani, il viso di Emma spiccava isolato elontano: egli sentiva vagamente che fra se stesso e lei esisteva un abisso.Da principio era andato spesso a farle visita insieme con il farmacista. Charles non si eradimostrato particolarmente lieto di riceverlo e Léon non sapeva come regolarsi fra la pauradi essere indiscreto e il desiderio di un'intimità che riteneva quasi impossibile.IVAi primi freddi, Emma lasciò la sua camera per trasferirsi nella sala, uno stanzone lungo,dal soffitto basso, dove, sopra il caminetto, una fitta madrepora si allargava sullo specchio.Seduta nella poltrona vicino alla finestra, ella guardava passare sul marciapiede la gentedel villaggio.Léon, due volte al giorno, andava dallo studio al Leon d'Oro; Emma lo sentiva arrivare dalontano; si protendeva ascoltando, e il giovane vestito sempre allo stesso modo e senzavoltare la testa passava, rapido, al di là della tenda. Ma al crepuscolo, quando leiabbandonava sulle ginocchia il ricamo incominciato e restava lì, con il mento appoggiatoalla mano sinistra, spesso l'apparizione di quell'ombra che scivolava all'improvviso lafaceva trasalire. Si alzava e ordinava che apparecchiassero la tavola.Il signor Homais arrivava mentre cenavano. Con la papalina in mano, entrava a passifelpati, per non disturbare nessuno, e ripeteva sempre la stessa frase: «Buonasera a tutta lacompagnia!» Poi, quando si era accomodato al suo posto, vicino alla tavola, fra moglie emarito, domandava al medico notizie dei suoi ammalati, e il medico lo consultava per ipossibili onorari. In seguito si mettevano a discorrere di quel che riferiva il giornale.Homais, a quell'ora, lo sapeva quasi a memoria; e lo ripeteva integralmente con tutti icommenti dell'articolista e tutte le notizie di catastrofi individuali e collettive accadute inFrancia o all'estero. Esaurito l'argomento, non tardava a portare il discorso sulle vivandeche vedeva. A volte si alzava a mezzo per indicare con delicatezza alla signora il pezzo piùtenero, oppure si rivolgeva alla domestica dandole consigli sulla preparazione di intingoli,e sulla digeribilità dei condimenti; parlava di aromi, di droghe, di succhi e di gelatine inmaniera tale da lasciar sbalorditi. Aveva la testa più piena di ricette di quanto la suafarmacia non lo fosse di boccali ed eccelleva nella preparazione di ogni sorta dimarmellata, aceti, e liquori dolci; conosceva inoltre tutte le novità in fatto di pignatteeconomiche, l'arte di conservare i formaggi e di sanare i vini malatiAlle otto veniva Justin a chiamarlo per chiudere la farmacia. Allora Homais lo guardavacon aria furba, soprattutto se era presente anche Félicité, perché si era accorto che il suoallievo frequentava volentieri la casa del medico.«Il mio giovanotto» diceva «comincia a mettersi delle idee in capo, e io credo, che ildiavolo mi porti, che si sia innamorato della vostra domestica.»Ma il difetto più grave che Homais gli rimproverava era quello di ascoltare continuamentele conversazioni. La domenica, per esempio, non erano capaci di farlo uscire dal salone,dove la signora Homais l'aveva fatto venire per accompagnare a letto i ragazzini, che siaddormentavano sulle poltrone facendo scivolare giù, con la schiena, le fodere di calicòtroppo larghe.Le serate in casa del farmacista non erano molto affollate: la sua maldicenza, le sueopinioni politiche avevano allontanato da lui, poco alla volta, molte persone rispettabili.Léon non mancava mai. Appena sentiva il campanello correva incontro alla signoraBovary, le prendeva lo scialle e metteva in un canto, sotto il banco della farmacia, le grossepantofole di pezza che ella portava sopra le scarpe quando nevicava.Facevano prima qualche partita a trentuno, poi il signor Homais giocava all'écarté conEmma; Léon, standole alle spalle, le dava consigli. In piedi, le mani appoggiate alloschienale della sedia, guardava i denti del pettine affondato nello chignon. A ognimovimento che ella faceva per gettare le carte, l'abito, sulla parte destra, si alzava un pocosul collo. Dai capelli raccolti le scendeva sulle spalle una sfumatura scura che si andavaman mano schiarendo, perdendosi infine nell'ombra. L'abito le ricadeva dai due lati dellasedia, gonfio e pieno di pieghe, fino a terra. Quando Léon per caso si accorgeva di averviposato sopra la suola di una scarpa, la ritirava in fretta come se avesse calpestato qualcosadi vivo.Terminata la partita a carte, lo speziale e il medico giocavano a domino mentre Emma,cambiando posto, si appoggiava con i gomiti sulla tavola e sfogliava l'illustrazione. Di solitoportava il giornale di mode. Léon le si metteva vicino, guardavano insieme le figure e siaspettavano a vicenda in fondo a ogni pagina prima di voltarla. Spesso Emma lo pregava direcitarle qualche verso; Léon li declamava con una voce strascicata che divenivadiligentemente sospirosa nei punti in cui si parlava d'amore. Ma il rumore dei pezzi deldomino lo disturbava. Il signor Homais era forte al gioco e batteva in pieno Charles.Raggiunti i trecento punti, venivano tutt'e due a distendersi davanti al camino e nontardavano ad addormentarsi. Il fuoco moriva sotto la cenere, la teiera era vuota. Léoncontinuava a leggere, Emma l'ascoltava, facendo girare macchinalmente il paralume digarza della lampada, sul quale erano dipinti pagliacci in carrozza e ballerine sulla corda, tenute in equilibrio dal bilanciere. Léon si interrompeva, indicando con un gesto l'uditorioaddormentato; incominciavano allora a parlare a voce bassa e la conversazione sembravapiù dolce perché nessuno l'ascoltava.Venne così a determinarsi fra loro una sorta di associazione, uno scambio ininterrotto dilibri e di romanzi. Il signor Bovary poco geloso di carattere, non ci faceva caso.Per il suo onomastico ricevette in dono una bella testa per studi di frenologia, tutta piena dicifre fino al torace e dipinta di azzurro. Era una cortesia del giovane impiegato. Léon glieneusava molte altre, gli faceva perfino le commissioni a Rouen e, dato che un romanzo avevalanciato la moda delle piante grasse, ne acquistava per la signora, tenendosele sulleginocchia durante il viaggio sulla Rondine e pungendosi continuamente le dita con i loroaculei.Emma fece sistemare, sulla finestra, una fioriera per mettervi i suoi vasi giapponesi. AncheLéon ebbe il suo giardinetto pensile; potevano vedersi da una finestra all'altra, mentre sioccupavano entrambi delle loro piantine.Fra le finestre del villaggio, ve n'era una occupata ancora più spesso: infatti, la domenica,da mattina a sera e ogni pomeriggio, quando il tempo era buono, si vedeva all'abbaino diun solaio il profilo magro del signor Binet chino sul tornio il cui ronzio monotono si facevasentire fino al Leon d'Oro.Una sera, rientrando, Léon trovò nella sua camera un tappeto di velluto chiaro su cui eranoricamati tralci di foglie in lana. Chiamò allora la signora Homais, il signor Homais, Justin, ibambini, la cuoca; ne parlò al suo principale; tutti vollero vedere questo tappeto; maperché la moglie del medico faceva regali al giovane di studio? Questo parve strano, e tuttifinirono per convincersi che Emma fosse la sua buona amica.Léon lo lasciava supporre, tanta era la sua insistenza nel parlare del fascino e dello spiritodella signora Bovary, a tal punto che Binet, una volta, gli rispose assai bruscamente:«Che cosa me ne importa, dal momento che non faccio parte delle sue amicizie?»Léon si torturava per trovare il modo di dichiararsi; e, sempre incerto fra il timore didispiacerle e la vergogna di essere tanto pusillanime, piangeva di scoraggiamento e didesiderio. Prendeva decisioni energiche, scriveva lettere che poi stracciava, fissava terminiche immancabilmente finiva col rimandare. Spesso si metteva in cammino, deciso a ogniaudacia; ma la fermezza dei propositi svaniva subito alla presenza di Emma e, quandoarrivava Charles e l'invitava a salire con lui sul carrozzino per andare insieme a visitarequalche malato nei dintorni, accettava senza esitazioni, salutava la signora e se ne andava.Dopo tutto, il marito non era forse qualcosa di lei?Quanto a Emma, evitava di domandarsi se lo amasse. Era convinta che l'amore dovessearrivare di colpo, accompagnato da luci e fragori, simile a un uragano celeste che piombasulla vita, la sconvolge, travolgendo la volontà come foglie secche, e trascina ognisentimento nell'abisso. Non sapeva che la pioggia a goccia a goccia crea laghetti sulleterrazze delle case, quando le grondaie sono otturate, e avrebbe continuato a credersi alsicuro se d'improvviso non avesse scoperto una falla nelle sue difese.

Madame Bovary - Gustave FlaubertDove le storie prendono vita. Scoprilo ora