//L'accampamento di Aslan//

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Il rumore si faceva sempre più forte a ogni passo, rimbombando assordante fra gli alberi che di colpo sembravano farsi sempre meno carichi di neve, lasciando i rami sottili nudi e bagnati da una leggera brina che gocciolava lentamente sul terreno, accendendolo del suo dolce profumo. Affrettai il passo, cercando di capire la fonte di tutto quel frastuono. Sentivo che, in qualche modo, stava accadendo una cosa buona quanto straordinaria. Possibile che fosse davvero la voce di una cascata che si era appena liberata dalla sua prigione di ghiaccio?

La scena che mi si parò davanti agli occhi in quel momento mi lasciò senza fiato, completamente impotente di fronte alla grandiosa potenza della Natura. Un grandissimo fiume impetuoso scorreva violentemente lungo gli argini appena riconquistati, trascinando con sé immani blocchi di ghiaccio come se fossero stati delle semplici barchette di carta, sbatacchiandoli l’uno contro l’altro fino a spaccarli in mille pezzi. Il sole, il primo sole che vedevo risplendere in quel mondo, accarezzava timidamente le onde ribelli, conferendo loro un bagliore cristallino, puro come quelle acque appena tornate alla vita.

Mi fermai sulla riva, contemplando raggiante quello spettacolo grandioso, bagnando le dita nella corrente impetuosa e avvertendo sulla mia pelle tutto il suo potere, ascoltandolo in silenzio e rabbrividendo per il freddo e il rispetto che provavo nei confronti di quella che sentivo un’entità pulsante di vita che respirava ai miei piedi. In quel momento capii perché i miei antenati veneravano le divinità fluviali, prima fra tutte quella che aveva dato origine alla loro stessa città, quella città che sarebbe vissuta in eterno. Vita. Era tutta attorno a me, finalmente, bella come non l’avevo mai vista.

Un grido scosse l’aria, facendomi trasalire. Una figuretta minuta dai corti capelli castano ramati annaspava nella corrente, comparendo e sparendo malamente fra i flutti, la corrente che la trascinava via senza pietà. Il sangue smise per un attimo di scorrermi nelle vene. Come non riconoscerla?

«LUCY!»

Dovevo aiutarla assolutamente o sarebbe affogata davanti ai miei occhi. Mi slacciai d’istinto il fodero della spada e lo protesi verso di lei.

«Afferra, Lu, afferra!» gridai più forte che potevo.

La bambina agitò le braccia verso di me, aggrappandosi a quell’insperato appiglio. Il suo peso accompagnato dalla violenza della corrente rischiò di farmi precipitare in acqua a mia volta. Mi gettai istintivamente all’indietro con tutte le mie forze, trascinandola fuori dall’acqua e ruzzolando insieme sul terreno bagnato dalla neve che si scioglieva, al sicuro.

«Tutto bene?» ansimai, gettandole il mantello sulle spalle. Possibile che quei fratelli non avevano mai la premura di mettersi qualcosa di più pesante sopra gli abiti estivi?

«Sì» rispose Lucy rabbrividendo. «Grazie». Nonostante i capelli bagnati e la pelle bluastra per il freddo, la bambina aveva gli occhioni azzurri spalancati nel sorriso più radioso che si possa immaginare. «Lo sapevo!» esclamò. «Sapevo che saresti venuta, un giorno!»

«Sì,» risposi io, abbracciandola forte, come se fosse stata una vera sorella «sono qui! Perdonami se non ti ho creduta, prima. I grandi sono molto stupidi, alle volte. Ti conviene non prendere esempio da noi.»

Lucy era sul punto di dire qualcosa, quando un’acuta voce femminile giunse alle nostre spalle. «Lucy!» stava gridando. «LUCY!»

La bambina trasalì, scattando in piedi e correndo nella direzione dalla quale proveniva il grido.

«Qualcuno ha visto la mia pelliccia?» domandò con la sua squillante vocetta innocente.

«Lu!» gridò l’alta ragazza bruna che aveva urlato, correndole incontro e abbracciandola forte.

Alle sue spalle, un ragazzone biondo stava rinfoderando una grande spada, scostandosi dalla fronte la frangia bagnata.

«Eravamo così spaventati, pensavamo che fossi annegata!» continuava a gridare la sorella, quasi sul punto di mettersi a piangere.

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