Snowflakes

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Bilbo odia la neve. E’ perché nei suoi ricordi è macchiata di vermiglio e non è bianca. Forse è per questo che decide di non uscire, questo ventiquattro novembre. Forse, si dice, è meglio se mi dedico ad altre faccende.

Vorrebbe prepararsi un bel tè caldo, sedersi sulla sua bella poltrona accanto al fuoco e leggersi un bel libro d’avventura. Sì, pensa convinto, è proprio ciò che farò.

Invece tutto ciò che riesce a fare è osservare i dolci movimenti dei fiocchi di neve che cadono oltre la finestra, imbiancando il dolce paesaggio della Contea.

Erano passati quindici anni. Quindici anni di assoluta pace e tranquillità: nessun nano che spuntava fuori all’improvviso a saccheggiargli la dispensa, nessuno Stregone che veniva a proporgli un’avventura da condividere, niente di niente.

Bilbo non sa se esserne felice o meno.

Non riesce a fare altro se non guardare quei piccoli batuffoli volteggiare nell’aria e poi posarsi al suolo, macchiandolo d’innocenza.

Quella neve una volta era stata rossa, una volta era stata profanata, la purezza smembrata dai cadaveri d’innocenti coinvolti in un gioco più grande di loro.

Bilbo non riesce a pensare a nient’altro, nient’altro se non a come quei piccoli fiocchi, tanto tempo fa, avevano imbiancato i versanti della Montagna, celando parzialmente il massacro avvenuto alle sue pendici. Al modo in cui la brina si era incastrata nelle ciglia dei nani, come il nevischio avesse attecchito ai loro capelli luridi, impregnati dell’odore di sangue, sudore e morte.

Freddi come il marmo, immobili quanto il ghiaccio.

E’ giusto che la neve li abbia reclamati come propri.

Ma è giusto, si chiede con rabbia, è giusto che la morte li abbia presi così prematuramente?

No. Non è affatto giusto.

La neve è una cosa buona, è –ed era- inverno, è giusto che nevichi. Invece la morte aveva ingiustamente stroncato due primavere e un’estate, catturandoli nelle proprie spire.

Forse è per questo che esce di casa, inspirando a pieni polmoni l’ari fredda del suo non più verde giardino. Non sa più se odiarla o no, la neve. Adesso appare così innocente, così pura, che quasi non scorge più il vermiglio del sangue e il nero della battaglia. Gli ricorda solo i bei momenti passati insieme, la promessa di qualcosa che muore pronto a rinascere, un cambio di prospettiva.

E’ tutto così bianco.

Un fiocco di neve si posa sul suo naso, seguito da altri due, uno per guancia. E si sente meglio, abbandonando il capo a quei delicati tocchi che sanno di una nuova avventura.

Chissà, si chiede, se qualcun altro si sta prendendo la neve come me.

*******

Davanti alla Basilica di San Pietro una ragazza se ne sta sola, osservando la chiesa più famosa del mondo tenendo le mani nella tasca del piumino, incurante del freddo che le sta gelando i piedi, lo sguardo concentrato e la testa piegata, come se si stia domandando qualcosa.

Non si stupisce che quel ventiquattro dicembre sia andata in chiesa a pregare.

E’ passato appena un anno – un anno esatto- dalla fine di tutto, da quando ha visto i suoi fratelli morire, da quando la neve ha coperto i corpi di tre delle più splendenti stelle del firmamento.

E’ passato solo un anno, eppure il dolore si ripresenta alla porta del suo cuore bruciando come prima, se non di più. Tuttavia riesce a contenerlo, non sta diventando pazza, la sua sanità mentale è riuscita a preservarla – almeno quella.

Tiene lo sguardo fisso sulla Basilica, pensando che non importa che credano in divinità diverse: magari il suo dio può intercedere per lei con i Valar e affidar loro tutto ciò che ha detto in modo da riferirlo ai suoi fratelli. Alla sua famiglia.

Sospira.

I turisti fanno avanti e indietro, ammirando il simbolo della cristianità nel mondo, ammirando la chiesa che fu costruita su fondamenta di ipocrisia e bugie, che ora è diventato il santuario della sua anima. Non badano a lei, e forse è meglio così. Non sente più il disperato bisogno di essere vista, di essere importante: qui non ci sono persone per cui valga la pena valere o essere notata.

Si volta, facendo per andarsene, quando si accade una cosa meravigliosa, una cosa che non porta a galla brutti ricordi come si aspetta, una cosa che le fa spuntare un sorriso commosso in viso.

Neve.

Fiocca dal cielo lenta, sembra una magia potervi assistere. Da quanto non nevica nella Città Eterna?

Inspira a pieni polmoni l’aria gelida della piazza, mentre sente due fiocchi cadere dolcemente sulle guance arrossate, seguiti da un terzo che si poggia baciandola delicatamente sulle  labbra screpolate dal freddo.

La ragazza chiude gli occhi, abbandona dosi a quei tocchi così familiari e agognati che sanno di casa.

Chissà se qualcuno si sta prendendo la neve come me.

Sciau *^* questa è una Flash su un OC che ho inventato che ha partecipato all'impresa della Compagnia di Thorin Scudodiquercia, che, in seguito al forte dolore provato alla morte di Thorin, Fili, Kili, decide di tornare da dove è venuta. Precisamente, in Italia. Chi ha capito cosa rappresentano i fiocchi di neve?

Feniah <3

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 15, 2015 ⏰

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