1. Celyaphin

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Era chiusa in quella cella da anni, forse ormai secoli. Non lo ricordava di preciso.

Era nata in una notte di mezza estate, a luglio. Era cresciuta lì, nel buio di quella cella.

All'inizio una luce fatata illuminava le sue giornate, ma col passare degli anni, quella luce si era spenta e così i suoi giorni più tranquilli.

Aveva iniziato a sanguinare ed era diventata una femmina. Così le aveva detto Amaranta, sua madre.

Come lei, aveva i capelli rossi, ma quelli di Celyaphin erano più chiari, più aranciati, come un tramonto estivo.

Era tutto quello che sapeva della sua famiglia. Aveva una madre ed era un mostro. Un mostro che aveva fatto soffrire migliaia di Fae e aveva fatto soffrire lei.

Celyaphin aveva un paio di ali. Bianche, piumate, come quelle di un angelo, ma lei non era un angelo. Anche lei era una Fae, solo che aveva le ali. Non sapeva perché, ma le aveva.

I suoi occhi, di un argento simile alla luna, erano luminosi una volta, come i suoi poteri, legati alla luce. Poteva sentirla, poteva intensificarla o farla diventare un lieve baluginio.

Sua madre lo aveva scoperto e aveva fatto sparire la luce fatata. Così lei era rimasta al buio. E si era sentita debole come non mai. L'oscurità risucchiava i suoi poteri. Se solo avesse saputo usarli meglio, se solo avesse imparato.

Ma Amarantha non voleva questo. Amarantha era ferita e le sue ferite le imprimeva su Celyaphin. Il suo volto ora era coperto di cicatrici. Le sue ali, un tempo rigogliose di piume, bianche come la neve, ora erano martoriate. Macchiate di sangue incrostato negli anni, ferite che si aprivano se un movimento sbagliato veniva fatto, le piume mancavano in più punti.

Celyaphin era nuda, ferita e dolorante. Lo era sempre stata da quando aveva sanguinato. "Ora sei una femmina" e quindi poteva essere usata dai maschi, violata, ferita, martoriata.

Perché? Perché? Non lo sapeva. Amarantha non rispondeva mai alle sue domande. Amarantha la picchiava e la feriva. Una volta all'anno la portava nelle sue stanze. La lavava, la profumava e guariva le sue ferite quel tanto che bastava per farle smettere di sanguinare. E poi la mostrava a un maschio: il Signore Supremo della Notte.

Lo ricordava bene. Non l'avrebbe mai dimenticato. Capelli neri, occhi viola con le stelle al loro interno e pelle scura, abbronzata. Un aspetto perfetto, un sorriso felino. Ma quando la prendeva, lui non lo voleva. Non l'aveva mai voluto.

Lui entrava nella sua mente, parlava con lei. Le mostrava una città, le mostrava la sua famiglia. Le parlava dolcemente e sfiorava la sua mente con altrettanta cura.

Ma il suo tocco, le sue spinte non erano così dolci. La faceva sanguinare, la faceva gemere di dolore e le feriva le ali con gli artigli. Perché così voleva Amarantha. Perché come lei, anche lui era prigioniero.

Rhysand. Rhys. Ecco il suo nome. Le aveva baciato la mano, nella sua testa era vestita di blu, i gioielli al collo e alle orecchie. Era dolce. Nella sua testa era perfetto.

<<Più forte!>> Urlava Amarantha. E lui andava più forte. Ma nella sua mente le sue parole dolci allietavano il dolore.

"Mi dispiace. Un giorno finirà." Le diceva. Ma non era mai finita.

Se un giorno all'anno quella violazione avveniva nelle stanze di Amarantha, gli altri giorni altri maschi la violavano nella sua cella. Ed erano più burberi di lui. Più violenti, più menefreghisti.

Non entravano nella sua mente, non chiedevano scusa. Spingevano, graffiavano e la riempivano come fosse una puttana. Così la chiamavano.

Quando Amarantha era stata sconfitta, lei non se ne era accorta. Non dormiva e se dormiva gli incubi prendevano il sopravvento. Non distingueva la realtà dall'incubo da molto tempo.

Perciò sconfitta o no, Amarantha tornava. Con maschi o con coltelli o attrezzi per procurarle altre cicatrici.

Quanto tempo aveva vissuto in quella cella non lo sapeva. Sapeva solo che stava male e che avrebbe preferito morire. Ma non sapeva come.

A Court Of Light And Darkness {ACOLAD 1}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora