Batteva, la pioggia, ostinata e insensibile sul vetro già crepato di una fredda cameretta, ricavata nel sottotetto della casa in mezzo al bivio della contrada dell'Orto, dove abitava con la moglie il figlio di Giacomo il tintore, Tomasso, quello che la serenata prima delle nozze l'aveva fatta con gli amici più belli del paese, l'organetto, la festa e si era arrampicato sulla scala incerta in attesa della rosa del consenso. Quattro autunni erano trascorsi. Il cielo non era più visibile, coltri severe e continui scrosci minavano la precarietà di poche imposte dimenticate. Incontenibili lacrime di pioggia rigavano lastre troppo fragili e s'insinuavano tra le incrinature di una casa dal cuore congelato.
Maddalena glielo aveva chiesto tante volte di metterlo a posto. Lui aveva fornito sempre la stessa illusoria promessa. Da quando la loro piccola giocava lieve e inafferrabile tra siepi lontane, lei si rifugiava lì ogni volta che poteva, usando scuse più o meno dichiarate, da gestire più con se stessa che con suo marito, poco attento a certe cose.
Asciugata l'acqua che già filtrava lenta dalle numerose fessure, sistemò delle pezze asciutte per tamponare quel guaio come meglio poteva, poi strofinò lentamente palmi e dorsi sul grembiule, controllando lo spazio in cerca di un motivo per restare. Appoggiò lo sguardo sul merletto del lenzuolino abbandonato e le venne la tentazione di portarselo alle labbra. Cedeva spesso, ma stavolta decise di resistere, non tanto per le inutili e inevitabili lacrime che le avrebbero salato gli occhi e l'anima, quanto per la convinzione che ogni carezza, ogni respiro, pur delicati, prelevassero di volta in volta un pochino di quel profumo residuo e che un giorno non lontano non ne sarebbe più rimasto. I tuoni incessanti suonavano come percosse, che lei subiva rassegnata, come una punizione necessaria per colpe collettive che avevano frantumato progetti e fantasie. Lasciò la camera e tornò al focolare.
Era un tempo crudele. Contrade, famiglie, genitori, consegnavano a turno quanto di più caro avessero creato. Il ritmo quotidiano era scandito da pianti sommessi, urla di dolore, rabbiose imprecazioni, poi silenzi assordanti e reciproci sguardi accusatori, in un circolo funesto ed infinito. Il morbo, il male nero, portava via con sé angeli e pezzenti, senza distinzione.
Le candele, quella sera, non bastavano ad illuminare la mente ed era ancora lontano il tempo della ripresa emotiva, del riscatto, del conforto, del perdono agli altri, a se stessi, a quel Dio da molti rinnegato. Mancava ancora un centennio alla prima accensione pubblica di luci festose che avrebbero illuso i cuori estivi, vivificando monili e speranze.
Batteva forte, sui vetri, la pioggia, in un pomeriggio cattivo del 1809.