A drop in the ocean.
South Carolina.
Voleva una vita con la trama di un libro di Nicholas Sparks
e una colonna sonora country,
una di quelle canzoni che ascolti d’estate,
mentre guardi le stelle,
e ti innamori.
Nella vita ti dicono di scegliere. Sempre. Ma cosa succede se non scegli? C’è la possibilità di non farlo? Rimanere neutrali, lasciare che le cose scorrano, essere passivi nella vita che non abbiamo scelto?
E’ possibile, anche solo per una volta, non ripetere lo stesso sbaglio più e più volte?
Perché, prendiamo ad esempio due ragazzi, come scegliere?
Una volta mi hanno detto di scegliere il secondo, perché se fossi stata davvero innamorata del primo, non avrei mai pensato al secondo.
Ma mettiamo che io non sia innamorata di nessuno dei due, ma sia sul punto di farlo, cosa dovrei fare?
Prendiamo che il primo sia il classico ragazzo di cui ci si fida ad occhi chiusi, l’amico di sempre, quello che i tuoi conoscono da anni e apprezzano. Quello con cui si va sul sicuro, con un futuro prevedibile, con una complicità consolidata da tempo.
Prendiamo ora il secondo, ragazzo per bene, più grande ma che emana sicurezza. Un tipo cordiale e che ti strappa sempre il sorriso, ma che non conosci bene perché poche uscite non contano nulla. Non vuoi sbilanciarti troppo, non te la senti di dire che ti piace, ma una parte di te non è neanche disposta a lasciarlo andare e dimenticare completamente.
Ora mettiamo che con il primo sarebbe come leggere un vecchio libro che adori ma che conosci già i dettagli, e il secondo sarebbe un viaggio di sola andata senza meta.
Cosa bisogna fare?
Sono così simili che quasi ci si potrebbe confondere. Cambia solo il viaggio, ma se non si sa quale intraprendere, cosa bisogna fare?
Perché si parte sempre con un intenzione e si finisce con tutt’altro. E’ mai possibile?
Dov’è la risposta? Nelle stelle? Nel sole? Nella luna? Nella mezzanotte?
Dov’è?
Alysea si svegliò di colpo, sentendosi spaesata e confusa in quella che da qualche settimana era la sua camera. Doveva ancora abituarsi al caldo del sud della Carolina, New York in quel periodo era –ironicamente- più fresca. Passava quasi tutte l’estati, da quando aveva memoria, nella casa di famiglia sul mare di Boone Creck, ma da quando sua madre si era trasferita in Europa, aveva deciso –o meglio: voleva continuare gli studi a Yale, quindi o trovava una soluzione o mollava- di rimanere in America con il padre e i suoi animali: il fratello Liam, la sorella Kara e il labrador White, che ormai pensava solo a mangiare e dormire, cosa che accomunava tutti e tre.
I suoi genitori avevano divorziato quando lei aveva tre anni, non aveva ricordi di loro due insieme, se non di lunghi e frequenti viaggi New York-Sud Carolina in cui i rapporti tra i due erano ridotti al minimo. Non si era mai fatta grandi problemi a riguardo, per lei era normale e aveva imparato a non fare troppe domande sui ‘discorsi dei grandi’.
La ragazza era troppo abituata alla vita di città, quella che non dorme mai, e così riposare in tutto quel silenzio le dava quasi fastidio. Quello era un paesino piccolo e in periferia circondato da grandi distese d’erba, tanto che ci voleva una mezzora abbondante per raggiungere una città che fosse grande almeno quanto China Town. Suo padre era nato e cresciuto in quel paesino di appena dieci mila abitanti, e si era allontano solo per la specializzazione in medicina –per fortuna o per sfortuna – prima a Yale, poi in un’ospedale universitario, dove aveva conosciuto colei che ormai era la sua ex moglie da anni.
Alysea decise che le due e ventisette minuti erano un orario perfetto per rompere le scatole al fratello maggiore, andando a infilarsi nella sua camera per vedere se dormiva davvero o per finta. Era abituata a farlo ogni volta che aveva un problema o non stava bene; era come se tra le sue braccia tutto si sistemasse per magia. Sin da piccola era stato la sua figura di rifermento e, anche se non lo avrebbe mai ammesso, avrebbe dato la vita per lui.
«Sea, ti conviene essere sul punto di morte per avermi svegliato» borbottò Liam girandosi dall’altra parte, sistemando la mano destra sotto il cuscino, troppo stanco per la serata con gli amici per tirare fuori la dolcezza e gentilezza.
«Prossima volta che non riesci a dormire ti sbatterò la porta in faccia» gli fece il verso la ragazza sdraiandosi accanto a lui lo stesso. Il fratello sorrise leggermente per poi tornare nella posizione precedente e avvolgerla tra le braccia stringendola a sé. Un gesto automatico che riusciva sempre a far sentire meglio entrambi.
«Grazie» sussurrò la ragazza accucciandosi a lui per poi prendere un respiro profondo.
«Che succede, piccola mia?» chiese Liam accarezzandole i capelli dolcemente, preparandosi ad una lunga notte insonne, ma quando dopo qualche minuto di silenzio non ricevette nessuna risposta, capì che l’unica cosa che voleva era non passare la serata da sola. Sorrise nuovamente lasciandole un dolce bacio sulla fronte prima di sistemarsi meglio sul letto –stando attento a non svegliarla—e tornare a dormire a sua volta.
«Dannazione, dannazione, dannazione!» imprecò Kara correndo da una parte all’altra della camera per trovare gli occhiali da sole che puntualmente perdeva tutti i giorni. Li poggiava in un punto della camera e qualche secondo dopo lo aveva già dimenticato, impazzendo nel cercarli. Alysea alzò gli occhi al cielo a causa della voce della sorella, alzandosi dal letto del fratello –con il diretto interessato già in salotto per la colazione- per poi prendere un respiro profondo e tornarsene in camera, sperando di non ricevere nessuna domanda.
Ma mai dire mai.
«Sea! Sea! Ci vieni stasera al bar da Mark? Ci siamo tutti e Belle mi ucciderà se non ti porterò» chiese Kara mentre sbucava dalla porta con la testa, inchiodandola al pavimento con i suoi occhi dolci color cioccolato. Nella famiglia Kara e Liam avevano preso gli occhi del padre, mentre Alysea aveva quelli della madre, di un blu profondo che a volte sembrava fossero dello stesso colore del fondo dell’oceano. A dirla tutta, Alysea era identica alla madre, a confronto con i fratelli non sembravano parenti se non per il naso e labbra.
«Ora lasciami dormire» borbottò la ragazza lasciando cadere il discorso per chiudersi in camera e –con fare molto teatrale- cadere a peso morto sul letto.
Era in quella città da due settimane ormai, e anche se conosceva gli abitanti da quando era nata, si sentiva comunque un’estranea. Il suo accento era diverso, la chiamavano la Newyorkese con affetto –e a lei in fondo piaceva – ma doveva ancora rendersi conto che quella non era solo una vacanza.
«Stasera esci con me e non ammetto discussioni» concluse Liam prendendola di peso, uscendo dalla camera per portarla in cucina. Aveva diciott’anni ed era ora che si prendesse una bella sbronza illegalmente, visto che in America non si può bere prima dei ventun’anni, prima che fosse ‘troppo tardi’. Era una ragazza fin troppo decisa a realizzare se stessa, tanto che sembrava quasi un adulto in miniatura. Si controllava, era precisa e –anche se sognava ininterrottamente- aveva un strano legame con i ragazzi. Andavano bene fino ad un certo punto, ma quando c’era aria di interessamento, lei mandava tutto all’aria con la prima scusa plausibile.
«Ora mangia e cerca di essere simpatica che sta per arrivare Niall» aggiunse il fratello poggiandola sullo sgabello della cucina con già la colazione pronta sulla penisola.
«Ma tu hai mai imparato il significato di ‘Vacanza’?» chiese Alysea mettendo il muso per poi prendere un morso di pancake con lo sciroppo d’acero.
«Devo ricordarti per caso che mi hai svegliato nel cuore della notte?» ribatté il ragazzo facendole il verso per poi scoppiare a ridere insieme a lei.
«Se ti dicessi che Kara vuole portami al bar da Mark stasera, tu mi diresti di no, vero?» chiese Alysea retorica mente stava seduta sul lettino dell’ambulatorio del padre. L’uomo era cresciuto lì dentro, in quanto in precedente era del padre, e quando lo aveva lasciato per qualche anno si era sentito perso, e ora era contento di essere tornato ad essere il pediatra del paese, così come lo era stato il padre.
«Se c’è Liam e prometti che non tornerai a casa ubriaca per me non c’è problema» rispose Aaron, il padre, sorridendole dolcemente. La ragazza sbuffò, sdraiandosi sul lettino per poi poggiarsi un braccio sugli occhi. «Non sei d’aiuto così» borbottò poi.
«Pulce, ti aspettano anni e anni di studi per diventare medico, credo che una serata con qualche amico tu te la possa concedere in vacanza» ridacchiò il padre scompigliandole i capelli.
«Allora facciamo così: io esco, mi ubriaco e se torno che non mi reggo in piedi non potrai mettermi in punizione» ribatté la ragazza alzandosi dal lettino per poi uscire dall’ambulatorio prima che il padre potesse dire qualcosa.
«Uh, devo farti conoscere un ragazzo – esordì Belle eccitata—si è trasferito dal Nord Carolina settimana scorsa. E’ uno che viaggia un sacco, ha visitato praticamente tutto il mondo» aggiunse sorridendo mentre passava un braccio sulle spalle di Alysea.
«E perché me lo dici? Già non è nel tuo letto?» chiese la ragazza scoppiando a ridere mentre entravano nella spiaggia libera, dove passavano la gran parte delle serate d’estate dopo aver deciso che il locale da Mark era troppo affollato per loro.
«Simpatica, davvero! Non è il mio tipo, ma ho scoperto un sacco di cose interessanti, sai? E poi ha degli occhi che, Dio, sono illegali. E poi è single, il che non fa male. Ah, ho già detto che ha un bel sorriso?» continuò Belle sorridendo, quasi stesse promuovendo un nuovo prodotto innovatore, dal gran entusiasmo che metteva nelle parole.
«Siamo per caso all’interno di un programma di televendite?» domandò Alysea corrugando leggermente la fronte.
«Non sei simpatica, ragazzina, stavo solo dicendo che potresti prendere una pausa dalla tua lunga scalata per realizzare te stessa, e capire che a volte serve un ragazzo accanto.»
«Lei non ha bisogno di lui, ci sono io!» disse Niall ridendo –anche a causa del paio di birre già bevute- poggiando un braccio intorno alle spalle della ragazza.
«Il mio principe azzurro dalla splendente armatura» lo apostrofò Alysea tenendogli il gioco mentre scoppiava a ridere. Mise il braccio attorno alla sua vita, pizzicandogli giocosamente il fianco. «Ti manca solo il cavallo bianco» aggiunse seria guardando l’amico.
«Ci sto lavorando, tranquilla» rispose lui ovvio sorridendo beffardo.
«Allora non c’è di preoccuparsi» commentò Belle alzando gli occhi al cielo con fare teatrale per poi scoppiare a ridere.
Harry rimaneva a guardare l’oceano, dando le spalle agli amici, mentre i pensieri si mescolavano dentro la sua mente. Si passò una mano tra i capelli ribelli, tendenti al riccio, come per rimettere in ordine tutte le domande che si stava ponendo.
Gli mancava il freddo di Londra, le sue giornate miti, la nebbia e la pioggia. Si, era decisamente in un momento nostalgico. Odiava quella città, il clima e tutto il resto, ma –forse- era l’unico posto che poteva chiamare «Casa».
Alzò lo sguardo alle stelle, trovando conforto nel trovarle uguali a quelle della sera prima, e ancora a quella precedente.
«Ti hanno mai detto che non dare il benvenuto al nuovo arrivato è da maleducati?» chiese Alysea avvicinandosi al ragazzo, portando le mani dentro le tasche dei jeans. Si avvicinò ancora, finendo al suo fianco, iniziando a contemplare l’oceano a sua volta.
«Ti hanno mai detto che non bisogna interrompere uno che pensa?» domandò Harry lanciandole una breve occhiata, per poi tornare a guardare il cielo.
«Sei qui da sei mesi, potresti dargli qualche diritta» scherzò lei dopo aver fatto roteare gli occhi, sentendo il ragazzo ridacchiare appena.
«E probabilmente non ne rimarrò altrettanti» rispose lui alzando le spalle, abbassando lo sguardo sulla sabbia, dove l’acqua lasciava conchiglie e sassi di vario tipo.
«Allora trova qualcosa per rimanere, perché altrimenti rimani soltanto una goccia nell’oceano.»