Capitolo 5- Rivale

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La mattina era arrivata e quando aprii gli occhi, mi ritrovai la faccia della ragazza dura, a pochi centimetri dalla mia, che mi fissava con uno sguardo inquietante.

"Finalmente ti sei svegliato, è da due ore che sto aspettando." Mi disse, mentre cercavo di svegliarmi.

"Ah...scusami, non mi sarei dovuto addormentare qui, le mie sorelle mi ammazzeranno, non le ho nemmeno avvisate.... Sai dirmi che ore sono?" Le chiesi dopo aver sbadigliato.

"Sono le undici del mattino..."

"Cosa? Ho passato tutta la mattina a dormire? Saremmo dovuti andare a scuola!" Le dissi in preda al panico.

"Che cosa vuoi che mi importi della scuola... e poi per te, un giorno di assenza, non dovrebbe essere un problema grave."

"Certo che lo è, volevo continuare la mia tradizione di non saltare nemmeno un giorno di scuola... ora scusami, ma devo proprio tornarmene a casa."

Uscii di casa correndo via, senza nemmeno salutare, presi la bici ed iniziai a pedalare. Durante la strada per arrivare a casa, mi ricordai di aver rifatto lo stesso sogno dell'ultima volta, ma le cose che mi disse quel bambino, erano diverse. Anzi, avevamo parlato e le cose che mi disse non le capii proprio.

"Lascia fare tutto a me, tu non dovresti esistere, la tua vita è una bugia... sei solo una parte di te stesso... hai abbandonato la tua vera essenza, tu hai abbandonato me..." furono queste le parole che mi disse il bambino durante il sogno.

Ricordo di avergli parlato anche io, gli chiesi il suo nome e che cosa volesse da me.

"Vuoi sapere chi sono? Ma come? Non lo sai? Non te lo ricordi? Fai schifo... perché esisti? Perché? Perché? Perché? Il mio nome non ha importanza, da te non voglio proprio nulla, anzi sono io a dovertelo chiedere. Il mio obbiettivo è di cancellare dall'esistenza la causa della mia rovina..." furono queste le sue ultime parole.

Che cosa vorrà dire tutto ciò, che siano solo dei semplici incubi? Però se questa cosa preoccupa anche Kevin, è probabile che non sia nulla di poco preoccupante, anzi dovrei parlargliene non appena lo vedo, pensai prima di arrivare a casa.

Non appena entrai a casa mi squillò il telefono, però non sapevo chi fosse dato che era un numero sconosciuto. Tuttavia risposi lo stesso.

"Pronto..." dissi per rispondere.

"Ciao, Gabriel sono Kiyomi... volevo ringraziarti per avermi aiutata, è stato un gesto carino. Prima che ti svegliassi ho guardato il tuo telefono per salvarmi il tuo numero. Ah potresti non fare parola a nessuno su quello che è successo?"

"Si, tranquilla, non lo dirò a nessuno. Però, il mio telefono era dentro la mia tasca, non avresti dovuto prendermelo..." le dissi con un tono alterato.

"Lo so. Un'ultima cosa... dopo ciò che è successo, non vuol dire che siamo amici ora. Ti saluto." Disse prima di riagganciare.

Beh, almeno a modo suo mi ha mostrato gratitudine, pensai.

Arrivò il pomeriggio, in casa non c'era ancora nessuno, quindi decisi di andare a fare un giro. Mentre camminavo, sentii le campane della scuola suonare, perché le lezioni erano finite. Iniziai a vedere molti studenti tornare a casa da scuola e vidi anche un bambino che iniziò ad indicarmi mentre parlava con sua mamma. I due si avvicinarono a me e mi accorsi che era lo stesso bambino che aiutai il mese prima disinfettandogli la mano dopo che era scivolato.

"Scusa, per caso sei tu il ragazzo che ha aiutato mio figlio?" Mi chiese la madre.

"Sì, sono io. Come va? Ti è passato il dolore alla mano?" Chiesi al bambino.

GENJITSU- La realtà in cui sono cresciuto è una bugia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora