Tre uomini sotto la neve

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Un uomo dal nome poco importante era smarrito, lontano dalla città e dalle preoccupazioni della vita. Il castello era immenso ed elegante per le molte torri e finestre finemente decorate. Avvicinò la mano al portale d'entrata, e sentiva come se qualcosa lo stesse chiamando. Il cavallo dell'uomo era agitato, ma era talmente stanco che con una carezza lo convinse ad entrare e lo lasciò al caldo nelle stalle. L'uomo poi cominciò a vagare per quel castello talmente immenso e pieno di stanze che sembrava lo avesse pensato Dedalo in persona.

In uno dei tanti saloni vi era una lunga tavola imbandita di cibi prelibati, un camino scoppiettante e dalla parte opposta uno splendido pianoforte a coda di un nero lucidissimo. Da piccolo aveva avuto modo di studiare un pochino quello strumento così tanto affascinante, non che fosse un uomo molto vissuto anzi era molto giovane. Toccò leggermente intimorito l'insieme di tasti bianchi e neri, sul leggio c'era un spartito intitolato "Due uomini sotto la neve".

La notte era estremamente tranquilla e silenziosa finché il pianoforte non cominciò a riempire l'aria con le note dello spartito. L'uomo era preoccupato perché credeva di essere completamente solo.

Fuori dal castello la neve infuriava e il castello era comodo, caldo e confortevole a differenza dell'esterno che non vi sto neanche a raccontare. La musica continuava e sembrava che fosse lei a mandare avanti la casa: era quella musica che muoveva pentole e tegami e faceva in modo che il camino non si spegnesse, come se fosse essa stessa il fuoco. La musica era una presenza costante e quasi necessaria, alla fin fine era di compagnia.

La neve all'esterno aveva smesso di cadere ma l'interno era così tranquillo che il tempo sembra essersi fermato, aveva addirittura dimenticato il cavallo, non sapeva dove fosse. Una sera la neve tornò ad infuriare, ma all'uomo non importava: aveva la musica del pianoforte con lui che sembrava scandire l'esistenza dell'universo, ogni secondo della vita dell'uomo e la caduta leggera dei leggeri ed eleganti fiocchi di neve.

La musica era la sua ragione di vita se non addirittura della sua esistenza, era il motore di un piccolo universo, era come un cannocchiale che gli permetteva di guardare le stelle nel proprio animo, stava a lui cercarle o perdersi nello spazio vuoto tra esse, scelse la seconda e si lasciò andare nel vuoto e nella solitudine. Quella stessa notte la neve non smise di cadere, e la musica con un accordo vago e indefinito invece finì. L'uomo, all'interno del suo letto, si alzò di colpo, sentiva il silenzio e il nulla, li riconobbe per il loro suono inconfondibile e assordante. Saltò giù dal letto estremamente spaventato, si sentiva perso, tutto era improvvisamente crollato. Quel mondo rinchiuso tra le note e le pause, era svanito come la certezza che dopo una nota ce ne fosse una dopo e un'altra ancora.

La sua vita precedente al castello era scomparsa molto tempo prima, finalmente se ne rendeva conto, e la musica del castello era finita. Andò nelle stalle alla ricerca del suo cavallo, ma era morto molto tempo prima, c'erano solo delle ossa senza traccia di carne attorno. Scappò e tornò nelle stanze principali alla ricerca di qualcuno o anche solo di qualcosa, che potesse riempire quel vuoto, ma non lo trovò. Ribaltò ogni pentola argentata della cucina che per lungo tempo aveva cucinato prelibatezze per lui e scaraventò a terra i libri dagli scaffali nel tentativo di metterne il più possibile nel camino, ma invano. L'uomo continuò a correre per i lunghi corridoi e nelle grandi sale finchè non trovò un meraviglioso specchio attaccato a una parete. Era a forma ovale con una cornice d'oro zecchino, ricca di figure maestosamente decorate che sorreggevano piccole pietre preziose di ogni tipo. L'uomo non si fermò a guardare la bellezza della cornice, perché non poté notare altro all'infuori del suo riflesso; non era quello di un ragazzo giovane e bello, ma di un vecchio spaventato e impaurito. Non credeva che il riflesso fosse il suo ma in realtà era così.

Avvicinò le mani al viso grinzoso e pieno di rughe, era disperato. Era stato nel castello tutta la sua vita, solo ora cominciava a capire, le prospettive di una vita bruciata: figli, parenti, amici e nipoti che non aveva avuto e non avrebbe avuto mai; ecco cosa vedeva nello specchio. La musica aveva preso il posto del tempo che improvvisamente gli crollò addosso per la sua assenza.

Aveva la mano sporca di sangue e vari frammenti di vetro erano per terra, aveva tirato un pugno allo specchio e la mano sanguinava lentamente per i frammenti conficcati nella carne. Malgrado il forte dolore alla mano, si avvicinò al piano e con le mani sporche di sangue premeva i tasti ma non emettevano il minimo suono. Guardò la tastiera con gli occhi in lacrime e capì: i tasti bianchi erano le cose belle della vita, i tasti neri erano le cose brutte e il tasto che aveva sporcato di sangue era la sua morte.

L'uomo, anziano, era completamente impazzito e scappò dal castello, uscendo dopo tanto tempo, al freddo, sotto la neve che cadeva leggera e delicata su quel suo, ormai, vecchio corpo.

La sua morte arrivò non troppo tempo dopo, e non fece molta fatica a trovarlo perché anche se era sepolto sotto la neve una striscia di sangue la aiutò a trovarlo.

L'uomo finalmente morì, sognando di sentire quella musica nuovamente, forse, un giorno.

Il pianoforte non suonava e anche la morte si era portata via la sua vita; vi era un immenso e folle silenzio, finché il portone si aprì con eleganza e una figura entrò per il portale d'ingresso. Il castello fu riempito dal rumore degli zoccoli sullo stupendo pavimento a scacchiera, rosso e bianco. Gli zoccoli erano quelli di un essere animale, ma non completamente, perché in parte era anche umano. Si chiuse il portone d'entrata alle spalle senza toccarlo perché le mani erano occupate da un grosso e vecchio libro che appoggiò sul pianoforte. Infilò l'indice e pollice della mano destra dentro le lunghe maniche e ne tirò fuori una penna, e poi con la mano sinistra afferrò lo spartito sopra il pianoforte e ne modificò il titolo e sempre con la penna in mano aprì il pesante libro e aggiunse un nome vicino a molti altri, poi chiuse il libro e appoggiò le mani sul pianoforte e cominciò a suonare la melodia dello spartito, la stessa che aveva incantato il malcapitato e sempre quella musica che incantò un altro uomo appena fuori dalla portone e che ne avrebbe incantati altri.

Il nuovo viaggiatore entrò e malgrado la paura si sentiva a casa. Si avvicinò al pianoforte vide lo spartito sul leggio e ne lesse il titolo: "Tre uomini sotto la neve"

Tre uomini sotto la neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora