"Anche per il pensiero c'è un tempo per arare e un tempo per mietere."
Ludwig WittgensteinSettembre.
Il giorno dopo mi misi a scrivere le pagine che avrebbero deciso del mio successo o meno nel concorso.
Non riuscivo a sentire mie quelle poche pagine e non ero riuscita a preparare altri testi da usare come alternativa.
Avevo però scritto qualche pagina e creato una storia.
Il tempo ristretto era la scusa che usavo come scudo per difendermi dalla realtà: non riuscivo a scrivere. Ero nuovamente bloccata.
Perché nuovamente? Ebbene, capitava spesso di fermarmi e mettere da parte carta e penna. Questo accadeva non perché non sapessi cosa scrivere, non avessi nessuna idea o non ci credessi abbastanza.
Semplicemente avevo abbandonato tutto.
Sapevo che mi sarei sentita in colpa se non avessi almeno "finto" uno sforzo per completare quel percorso, così scrissi qualche pagina.
Dalla sera precedente altri pensieri cominciarono a crescere, e se c'è una cosa di cui sono sempre stata consapevole è la mia incapacità di togliere a questi la voce.
Nel mezzo del fiume di pensieri e domande che stavo attraversando in quel momento, mi resi conto che, forse, era proprio continuare a negare la realtà che faceva nascere in me dubbi: non avevo abbastanza tempo? Sì, vero. Potevo ugualmente scrivere qualcosa? Sì, vero. Non sapevo cosa scrivere e per questo cercavo di distogliere l'attenzione su questo per rivolgerla sulla scarsità di tempo? Sì, vero. Non avevo nessuna idea? Sì, vero.
Non ci credevo abbastanza? No, falso.
La mia negazione alla realtà stava trasformando la realtà stessa e allo stesso tempo la mia percezione della realtà.
Dovevo parlare ancora con il Dott. S., prendere un nuovo appuntamento.
Tutto stava diventando pesante, talmente pesante che non riuscivo più a pensare.
Scrissi a M., una lettera questa volta, per chiedergli di vederci. Dovevo mettere tutto in pausa.
Le ore passavano senza che me ne rendessi conto, ormai il tempo a disposizione stava per finire. Decisi di sistemare quelle pagine che avevo scritto e di inviarle, nella speranza che tutto andasse a buon fine.
Non era diventata un'ossessione, per me era semplicemente una battaglia personale, ma non quelle battaglie classiche che possiamo aver visto in qualche film: era una battaglia usata con le parole. Era una battaglia senza armi, scritta con carta e penna.
Sono sempre stata convinta che le parole siano e saranno sempre l'arma che più sia in grado di infliggere dolore, l'arma che più di tutte sia in grado alleviare il dolore.
I pensieri continuavano ad agire, ma con un flusso diverso questa volta. Erano incoraggianti, a volte disprezzavano il mio lavoro.
Poi pensai ancora: " Se le parole hanno davvero potere; perché lascio quello stesso potere nella mani dei miei pensieri?"
D'altronde erano parole anche quelle. Allora anche quella si trasformava in una battaglia.
Scrissi al Dott. S. per un nuovo appuntamento. Dovevo parlargli di molte cose.
Pochi minuti dopo mi rispose anche M.
STAI LEGGENDO
"Il Dott. S."
General FictionIl Dott S. accompagnerà la protagonista alla scoperta di se stessa, attraverso le sue stesse emozioni, i suoi stessi sentimenti: la rabbia, la paura, l'ansia, amore... Un viaggio che la condurrà ad acquisire certezze nella vita, più consapevolezza e...