XXII - 𝙲𝚕𝚘𝚎

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L'estate era prepotentemente arrivata e da quattro giorni raggiungevo Janet a Manhattan Beach dopo le sue prove.

«Sei pronta per stasera?»

«Sono carichissima!» si alzò dall'asciugamano, buttò gli occhiali da sole su di esso e corse verso i cavalloni che sembravano chiamarla.

«Vieni?» mi invitò con un cenno della mano, non me lo feci ripetere due volte; lasciai Vanity Fair e feci uno scatto fino a superarla.

«Chi si bagna per ultima stasera paga la cena!» urlai con già i piedi in acqua, poco prima di immergermi.

«Ma non è giusto!» protestò scherzosamente, la schizzai tirando fuori i miei lunghi capelli dall'acqua di proposito.

«Adesso vedrai la mia furia!» provò a tuffarsi sopra di me senza successo.

«Sei decisamente troppo lenta, Miss Jackson.»

Appena uscite dall'acqua bevemmo una Coca Cola e ci sdraiammo di nuovo in direzione del sole, avevamo ancora un'ora prima di dover tornare in albergo, cercammo di goderci quello che rimaneva del nostro tempo libero fino allo spettacolo.

Passammo al volo per la hall per ritirare la chiave della nostra suite dopo essere state in spiaggia.

«Non vedo l'ora di fare una doccia e togliermi tutta questa sabbia di dosso.» commentai sistemandomi la parte superiore del costume.

Un'incomprensione in reception, che sfociò subito in un litigio, attirò la nostra attenzione: il nuovo dipendente carino doveva aver fatto di nuovo confusione con le prenotazioni.

«Deve essere davvero tragico lavorare con lui.» sussurrai alla mia amica sorridendo, trattenendomi a fatica.

«Sicuramente... ma rimane comunque molto carino!» mi rispose con il suo solito sopracciglio alzato ammiccante che fece scoppiare entrambe in una fragorosa risata, scappammo per le scale prima di essere beccate.

Arrivammo al nostro piano con il fiatone e ancora con le lacrime agli occhi, ci fermammo un attimo davanti alla porta per riprenderci prima di entrare.

Ci trovammo davanti allo scenario più incredibile che avessi mai visto in vita mia, a cui nulla avrebbe potuto prepararci.

«Ma che...» Janet sbarrò gli occhi incredula.

«È opera di Renè?»

«Non penso, non-»

«Come fai ad esserne così sicura?»

«Leggi qui...» mi passò un bigliettino e solamente dal profumo riuscii a capire chi fosse il mittente.


"Each time the wind blows..."


«Quante rose saranno?» domandò Janet esaminando ogni vaso nel piano inferiore della nostra stanza.

«Sono cinquecentoquindici...» mi girai di scatto al suono della sua voce.

Scendeva le scale con la sua solita eleganza dirigendosi verso di me, serio come non lo avevo mai visto. Ero rimasta senza parole a quella vista e ci impiegai qualche secondo a tornare in me: solo in quel momento realizzai di essere ancora in costume, coperta di sabbia e sale dalla testa ai piedi. Tolse gli occhiali da sole quando fu abbastanza vicino da leggermi l'imbarazzo negl'occhi.

«...per ogni giorno che avremmo dovuto passare insieme.»

Michael spostò lo sguardo verso sua sorella, che non indugiò neanche un attimo nel tirarsi fuori dalla situazione. «Beh ragazzi... io vado a fare la doccia in camera di Tina.» prese alcune cose dalla sua valigia, aprì la porta, «Fratellone.» prima di uscire si congedò con un saluto militare. «Cloe.» per me invece indirizzò anche un occhiolino.

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