Il sole era già tramontato da tempo quando finalmente riuscimmo a portare a termine il lavoro e uscimmo dall'edificio, stanchi, ma pronti a goderci fino in fondo il festival che, nella grande piazza al centro del complesso, stava entrando nel vivo.
Ovunque c'erano bancarelle ricolme di ogni genere di oggetti, dai dolcetti tradizionali ricoperti di succhero, dal sapore d'infanzia, ai più semplici cibi da strada, di quelli che si mangiano mentre si curiosa qua e là.
Lungo entrambi i lati lunghi della piazza si erano raccolti gli artigiani con i loro tavolini, sui quali esponevano le loro opere d'arte agli occhi dei deliziati passanti, e, chissà, potenziali acquirenti. Collane, bracciali, cornici e piccole sculture si affollavano intorno ai veri pezzi forti: quadri coloratissimi, statue in vetro soffiari di mille tonalità e maschere dalle antiche origini si ergevano trionfanti al centro del loro piccolo palco, protagonisti incontestati del loro minuscolo spettacolo. Solo un angolo rimaneva vuoto, perché occupato da un antico tavolo parzialmente bruciato.
Lungo tutto il perimetro della fiera una lunghissima fila di alberi abbracciava i visitatori e tra le folte chiome nella penombra brillava la calda luce delle lanterne, sapientemente posizionate, che rischiarava la notte e scaldava l'atmosfera e i cuori, quasi senza volerlo fare di proposito
E a coronare tutto questo già magnifico spettacolo, una fontana in marmo bianco occupava il centro della scena, attirando l'attenzione e l'ammirazione di ciascuno con i suoi rapidi giochi d'acqua accompagnati da una dolce melodia di sottofondo.
Ma tutto ciò impallidiva se comparato alla ragazza che camminava al mio fianco, la vera e unica stella nella notte che brillava davanti ai miei occhi più intensa di mille soli.Era verso tutto questo che camminavamo incontro, passeggiando lentamente lungo il viale d'accesso delimitato da basse siepi che si perdevano nel buio, chiacchierando e sorridendo, mentre tutta la fatica accumulata nel corso della giornata scivolava lentamente via, lasciando il posto alla pura, semplice gioia di essere lì, insieme.
Ad ogni passo le nostre dita si sfioravano, troppo timidamente per afferrarsi, eppure rimanevano lì, passo dopo passo, senza che nessuno dei due ritraesse la mano.In poco tempi ci trovammo sotto le luci delle lanterne, curiosando tra l'infinità di cianfrusaglie esposte dai venditori. Uno di loro in particolare catturò la nostra attenzione: un signore anziano, con una barba argentata e due occhi azzurri come il ghiaccio, che indossava un insuale cappello di vimini intrecciati sui capeli bianchi e calato sulla fronte rugosa. Dava l'impressione di essere stato, in gioventù, un marinaio, un vecchio lupo di mare ritiratosi in pensione e, nonostante ci trovassimo molto distanti dalla costa, il contenuto della sua valigetta aperta su quello che sembrava un antico e bellissimo tavolo di un legno scurissimo, sembrava confermare quest'ipotesi: stelle marine essiccate, rocce levigate dalle maree, conchiglie esotiche e oggetti in corallo; parevano essere usciti dallo scrigno di un pirata evidentemente non troppo affezionato all'oro che faceva impazzire i suoi colleghi.
Un oggetto in particolare ci colpì: un piccolo anello bianchissimo, di un corallo che così candido non se ne era mai visto, che nella sua semplicità aveva un qualcosa di speciale, che combinato con la semplice bellezza della ragazza al mio fianco metteva in risalto entrambi. Poiché era sorprendentemente perfetto, lo acquistammo per pochi denari e proseguimmo con la nostra camminata, fermandoci ad ammirare i giochi d'acqua in piedi davanti alla fontana.
Si stava facendo tardi, della folla che prima ci circondava non erano rimaste che poche persone assonnate, e, sul punto di andar via, notai che qualcosa non andava: il suo viso, solitamente colmo di vita e colore si era fatto pallido, e le sue mani, che prima sfioravano le mie, tremavano ed erano gelide, come se avessero stretto un pezzo di ghiaccio.
Sarà stata la stanchezza? Lo stress? Era stata una giornata piuttosto impegnata, quindi, sorreggendola, ci sedemmo su una panchina leggermente scostata dal passaggio principale, vicino a una di quelle siepi che prima avevo menzionato, e riprendemmo un po' il fiato.
Alcuni minuti dopo la situazione non solo non era migliorata, ma anzi, il tremore si era ormai fatto più insistente e il colore non accennava a ridipingere le sue guance, curvate in un debole sorriso che tentava di rassicurarmi, ma che otteneva il solo ed unico scopo di mettermi ancora più in allarme.Decisi allora di chiedere aiuto ai passanti, ma, per quanto chiamassi, nessuno si fermò ad offrirci aiuto, e anzi i pochi che si giradono ci rivolsero dgli sguardi carichi d'odio e diprezzo, con una punta di paura malcelata, come se fossimo stati infetti da una qualche malattia terribile e contagiosissima, e che fosse una sofferenza meritata.
Soli, infreddoliti e impossibilitati a muoverci, la disperazione si faceva inesorabilmente strada nel mio cuore, quando, sull'orlo delle lacrime, feci l'unica cosa che mi venne in mente, e, avvolgendola delicatamente, la cinsi in un abbraccio.
Non era un abbraccio qualunque, era un abbraccio colmo fino in fondo di tutte le mie emozioni: ammirazione, speranza, ma soprattutto amore. E il desiderio incrollabile di vivere il resto della mia vita insieme a lei, rifiutandomi di abbandonarla qui. Se necessario, me ne sarei andato con lei, ne ero certo. Stringendola a me potevo sentire il suo corpo esile, terribilmente freddo, le deboli braccia che tentavano di ricambiare il mio abbraccio, i capelli che le ricadevano sulle spalle e sul viso coprendole gli occhi chiusi e le labbra ancora curve in un silenzioso sorriso.
Mentre portavo le mie mani sulle sue per stringerle insieme, rimasi paralizzato dal terrore. L'anello, poco tempo prima bianchissimo, si era adesso tinto di un rosso scarlatto e brillava vivacemente sul suo dito pallido.
Non dovetti neanche pensarci: sfilai delicatamente l'ornamento e lo gettai a terra il più lontano possibile, nel mezzo della strada, dove rotolò un po' e si fermò tintinnando, e al contempo la strinsi a me il più forte possibile per tenerla lontana da quel terribile oggetto. E, come per miracolo, lentamente sulle sue guance sorse di nuovo un colore più acceso e le sue braccia, non più esili come prima, mi avvolgevano a loro volta. Sorpreso da una reazione così rapida allentai la presa per sincerarmi delle sue condizioni ma, in tutta risposta lei mi strinse ancora più forte e, sempre ad occhi chiusi, sussurrò sorridente: "Restiamo ancora per un po' così."
Chiudendo gli occhi, abbandonandomi all'abbraccio, mi parve di vedere con la coda dell'occhio l'anello, nuovamente immacolato.
Quando, qualche minuto più tardi riaprimmo gli occhi, dell'anello non c'era più alcuna traccia, né tantomeno del suo misterioso venditore, al posto del quale, immobile da anni, si trovava un antico tavolo parzialmente carbonizzato.