*** ATTENZIONE, IN QUESTO CAPITOLO CI SONO SCENE DI TORTURA DESCRITTIVE.***
Daw girovagò in città, si tenne lontano dalle zone più trafficate, sentiva in corpo un'energia oscura e terribile che gli faceva scorrere il sangue troppo velocemente nelle vene, non era tranquillo e quello non andava bene. Camminò a lungo, senza vedere o sentire nessuno, rientrò alla locanda senza salutare nessuno, non aveva bisogno di prepararsi, prese solo la pergamena della Magia di Sangue e la tenne tra le mani. Infine rimase in attesa, seduto sul letto, immobile, aspettando che arrivasse la sera e infine la mezzanotte.
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Lashrael lasciò passare il tramonto e fece scorrere le stelle in cielo, poi si incamminò verso la camera per recuperare ciò che gli serviva per la missione. Si fermò davanti a essa, sperava con tutto il cuore che Daw fosse già uscito, ma aveva bisogno di recuperare lo zaino e, quindi, si fece forza ed entrò.
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Con un tempismo a dir poco sconcertante la porta della camera si aprì quando Daw fece per prendere il pomello. Si ritrovarono l'uno di fronte all'altro, con le espressioni contrite di chi non sa cosa fare.
Daw si fece da parte per farlo entrare, esitò, poi richiuse la porta e rimase all'interno.
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Lashrael recuperò lo zaino, con le pozioni per curare le ferite e la corazza di pelle poi si voltò a guardarlo, con il cuore in gola.
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Si umettò le labbra, alla fine gli si avvicinò e provò a toccarlo, aveva paura della reazione, quella cosa lo terrorizzava molto più dell'idea di affrontare la sacerdotessa Drow.
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Alzò a sua volta la mano per avere un contatto con lui, il gelo che provava dalla loro discussione lo stava annientando.
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Gli prese la mano, lo tirò piano verso di sé.
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Lasciò cadere lo zaino e lo cinse al collo, nascondendo il volto contro la spalla. Aprì la bocca per parlare, ma uscì solo un respiro tremulo.
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Lo strinse con forza, premette il viso contro i capelli di Lashrael, come se volesse fondersi con lui. Trattenne il fiato perché anche solo respirare era doloroso. Non disse una parola.
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Rimasero in quella posizione per un tempo indefinito, Lashrael si riprese soltanto quando sentì voci nel corridoio e passi che si avviavano verso le scale. Non ebbe però la forza di reagire, aspettò che fosse Daw a separarsi.
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«Devo andare,» mormorò e, con molta fatica, si allontanò. Mille cose avrebbe potuto dirgli e mille avrebbe voluto dire, ma c'era ancora qualcosa di doloroso che gli serrava il cuore in una morsa implacabile. Raccolse la pergamena e si girò verso la porta.
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«Devo scendere anche io,» bisbigliò, recuperando a sua volta lo zaino.
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Uscirono e si diressero verso il luogo dell'incontro, non parlarono tra loro. Tutti i ranger e i vari alleati si stavano mobilitando. Daw inspirò l'aria fresca della notte e guardò il cielo stellato, augurandosi di tornare a vederlo presto.
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Lashrael raggiunse Dyra e Nik, avrebbero fatto parte della prima colonna destinata a invadere la dimora. Gli venne consegnato un anello utile per migliorare la sua vista notturna, già di per sé migliore di quella umana e due pozioni magiche da usare solo in casi estremi.
«Come va l'umore?» chiese Dyra.
«Come il tuo, immagino,» replicò.
«Ah, di merda quindi! Bene!» commentò lei, baciandogli una guancia.
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Warren e Daw si allontanarono in solitaria con dei cavalli per raggiungere il luogo dell'incontro. Prima di lasciarlo solo l'uomo gli disse di resistere fino al loro arrivo e Daw replicò che avrebbero fatto bene a sbrigarsi se volevano ritrovare almeno qualcosa con cui combattere. Una volta solo cambiò il proprio aspetto in quello di Lashrael e recitò ad alta voce la maledizione. La pergamena si accartocciò divenendo cenere tra le sue mani. Quando i Drow vennero a prenderlo lo incatenarono mani e piedi e lo condussero verso il Sottosuolo.
** DENTRO LA VILLA DELLA MATRONA DROW **
La matrona Drow era impaziente: dopo due secoli lo avrebbe rivisto, purtroppo vivo e vegeto, ma per poco. Gli avrebbe fatto scontare tutto, l'onta di averlo messo al mondo, la sfida di essersi sottratto due volte al sacrificio e lo smacco di aver osato uccidere l'Illithid. Non aveva ancora trovato la giusta tortura, ma sarebbe stato qualcosa di lento e prolungato. Attese impaziente l'arrivo dei soldati, decise però che avrebbe chiamato anche le figlie, magari avrebbero gradito divertirsi insieme a lei, così inviò un servo a convocarle. Poco dopo, fu avvertita che l'abominio era in catene e che lo stavano portando al suo cospetto.
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La dimora Drow era enorme, stucchevolmente lussuosa e in modo decisamente inquietante, non che Daw non avesse visto dimore inquietanti ma, in qualche modo, i Drow riuscivano a gelargli il sangue nelle vene. Era riuscito a lanciare la maledizione sulle guardie che ora lo stavano scortando dalla matrona, al momento stabilito sarebbero scattati come burattini, ma a breve sarebbero cominciate le danze anche per lui.
Non aveva paura, quella era la maledetta che aveva torturato Lashrael, strappandogli dalla memoria la loro vita e la loro felicità, l'avrebbe distrutta!
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Le figlie arrivarono quasi in contemporanea, trepidanti. Infine giunse il servo a introdurre l'ingresso delle guardie, due davanti, poi il prigioniero e infine altre due. La matrona scese dal trono eccitata. «Figlio mio adorato, finalmente ci incontriamo!» disse melliflua.
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Daw la fissò con odio, non occorreva fingere di essere Lashrael per quello, non provava che disprezzo per quell'essere che si stava avvicinando a lui. Avrebbe dovuto attendere che le guardie si allontanassero, avrebbe dovuto attendere almeno un'ora prima di poter iniziare ad agire a sua volta, mostrandogli chi era veramente.
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Si fece più vicina. «Devo ammetterlo, sei venuto proprio bello. Con gli occhi di tuo padre, alto, sì, sei un vero capolavoro,» disse sorridente, poi gli palpeggiò senza tanti convenevoli l'inguine, strizzandolo. «Direi che sei armato quanto lui, chissà se sai usarlo allo stesso modo,» ridacchiò, passandogli dita esperte lungo l'asta e sui testicoli.
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Si ritrasse istintivamente, disgustato, digrignando i denti, gli dei solo sapevano quanto avrebbe voluto in quel momento lanciare sulla sua viscida lingua un incantesimo di mutazione per farla soffocare. Ma tenne la bocca chiusa e si costrinse anche a non sputarle in faccia. Doveva cercare di tirarla un po' per le lunghe.
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«Suvvia, non ti vergognerai mica?» lo schernì. Gli palpeggiò le natiche e gli tirò indietro i capelli. «Sì, sei venuto su proprio bene, mi complimento con me stessa. Un po' meno con tuo padre che ti ha sottratto al destino che meritavi. Tu non capisci quanto dolore mi hai causato, bambino mio.» aggiunse con voce mortificata. «Ma le pagherai tutte, faccino angelico,» aggiunse cambiando espressione e srotolando la frusta con i serpenti. «Allontanatevi!» ingiunse alle guardie, mentre le figlie si avvicinavano. E fece partire la prima frustrata.
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Il dolore fu lancinante, inaspettato persino, si era mossa rapidamente, in modo totalmente imprevedibile, barcollò e crollò in ginocchio. «Lurida bastarda...» ansimò.
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«Oh, che parole brutte che usi, bambino mio!» partì la seconda frustata con i serpenti risvegliati e pronti a mordere. «Non è bene offendere la mamma, non te lo hanno insegnato?» Terza sferzata con i serpenti che morsero famelici.
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A quel punto gridò e si contorse sul pavimento, riprese fiato lentamente, con gli occhi spalancati in attesa che arrivasse la quarta sferzata. «Hai ragione...» ansimò. «Forse dovrei definirti schifosa feccia dei bassifondi, suona meglio, mammina?»
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Gli girò intorno e fece cenno a uno dei soldati di calciarlo con gli stivali rinforzati allo stomaco. «No che non va bene. Tuo padre non ti ha insegnato le buone maniere?» Quarta sferzata sulla schiena, quinta sui lombi.
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Il calcio gli fece sputare fiato e saliva, tossì, rimanendo prostrato e quando la frusta morse di nuovo sussultò e gridò. «Adesso basta.» La voce roca. Non avrebbe resistito un minuto di più e allora che la battaglia iniziasse pure!
I capelli bianchi di Lashrael gli erano finiti sul viso, appiccicati dal sudore freddo. «Vuoi avere una bella sorpresa, mammina?» bisbigliò, guardandosi attorno e la vide, una vasca di marmo nero e lucente da cui zampillava una fonte d'acqua rossastra. Lanciò l'incantesimo, dall'acqua partirono schegge acuminate che colpirono la sacerdotessa e colpirono anche le maledette bestie della frusta, tranciando le teste serpentine e strappando gli abiti della matrona, procurandole tagli.
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Gridò, più per l'oltraggio che per il dolore. «Verme! Pagherai anche questa!» disse, scaricandogli addosso scariche elettriche che scaturivano dalle mani. «Preparate l'altare, presto! Godrò nel mangiare il tuo cuore putrido, ma prima mi implorerai di ucciderti!» gli urlò contro, scaricando altre scariche su di lui.
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Smise del tutto di respirare, ma quando le mani delle due guardie rimaste si chinarono per tirarlo su, eseguendo gli ordini, si ritrassero respinti quando, toccandolo, le loro dita esplosero.
«Sarà difficile masticare una volta che ti avrò strappato tutti i denti!» Daw si mise in piedi, pur a fatica, aveva dolore ovunque, ma riprese le sue forme originarie, niente più sforzi per mantenere una forma non sua. Le parole dell'incantesimo si formarono rapidamente, sferzate magiche e due ombre scure si allungarono sul pavimento e si ingigantirono proiettandosi verso la sacerdotessa. «Questo luogo pullula di spettri, essere schifoso, e credo che siano tutti molto incazzati con te!» ruggì, mentre i suoi occhi avvampavano.
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«Cosa sei tu?» urlò la matrona, mentre le figlie cercavano di scacciare gli spiriti invano. La matrona continuò il suo attacco, stavolta creando un muro di fuoco intorno al prigioniero.
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Daw imprecò, il calore lo investì furioso. Odiava il fuoco, lo odiava con tutto se stesso. Richiamò l'acqua, un'onda ruggente che si infranse contro lo scudo generando vapore sibilante. «Non ti ricordi di me?» gridò, sempre più rabbioso. «Io sono colui che hai cercato di cancellare dalla memoria di Lashrael, io sono colui che ha ucciso il tuo Illithid e che avrebbe ucciso anche te, se non fossi fuggita!» Tossì, perché il fumo gli aveva invaso i polmoni e fatto lacrimare gli occhi, anche parti delle sue vesti fumavano. Odiava il fuoco!
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Non ci vide più dalla rabbia. «Che tu sia maledetto!» gridò fuori di sé, rinvigorendo il muro di fuoco. «Vi condannerò a marcire in eterno avvinghiati l'uno all'altro!» inveì contro di lui, mentre chiamava una delle figlie in soccorso.
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Daw crollò in ginocchio, sopraffatto dal calore, inutile negare che quello riportava a galla molti dei suoi incubi. L'incantesimo che gettò creò un grosso chiodo magico di energia oscura che saettò fuori dal muro di fuoco, Daw udì un grido femminile, il chiodo si era conficcato nelle carni in profondità e le avrebbe corrose, purtroppo, anche se non riusciva a vedere bene, comprese di aver colpito una delle Drow più giovani e non la sacerdotessa, ma forse quello l'avrebbe distratta a sufficienza da permettergli di uscire da quella dannata gabbia di fuoco.
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«Dannato! Pagherai anche questa!» inveì ancora la matrona. Fu supportata dalla figlia più anziana che affiancò al muro di fuoco un muro di lame.
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Il sangue gli zampillò in faccia, fu costretto a rannicchiarsi e proteggersi il viso con le braccia, le catene non aiutavano. Lo stavano mettendo alle strette, di quel passo non sarebbe durato a lungo. Erano quattro maledette sacerdotesse, emise un'imprecazione disperata, troppe anche per lui! Sentiva il dolore dei tagli aprirsi su braccia e gambe, il sangue bruciava ruscellandogli sulla pelle. Chiuse gli occhi e pronunciò l'incantesimo, nella speranza che la Drow che aveva colpito fosse agonizzante, sarebbe stata una sua alleata, almeno fino a quando fosse riuscito a mantenere la concentrazione. Udì nuove grida e imprecazioni e il muro di fuoco si affievolì, ma mentre cercava di rimettersi in piedi qualcosa si conficcò al suo fianco e il dolore lancinante si moltiplicò nella zona più bassa. Il respiro gli uscì rantolante. Quadrelli di balestra. Alzò gli occhi. Una delle figlie che aveva trafitto col chiodo oscuro aveva la testa ciondolante e stava tentando di colpire la madre con la sua frusta di serpenti, ma l'altra aveva richiamato una guardia che era riuscito a colpirlo anche con le dita frantumate. Sputò sangue e si alzò lentamente, una mano che teneva l'asta che gli usciva dal fianco. «Bastarde,» ansimò. Non sarebbe riuscito a sopraffarle tutte. Richiamò gli spettri, che avevano nel frattempo attaccato e ucciso anche un'altra delle tre figlie, e investirono la guardia armata, dilaniandole l'anima con le loro grida. Ma la Drow giovane a quel punto fece sparire il muro di lame e fulminea lo colpì con la sua frusta che gli si avvolse al collo, il serpente conficcò i denti nel tendine teso e si contrasse, strangolandolo. Daw crollò di nuovo in ginocchio, sotto di lui una pozza di sangue.
Mi dispiace, piccolo, non riesco più a tenere loro testa. Pensò, in un frammento di lucida disperazione.
Nel frattempo la Drow trasformata in goul crollò a terra come un sacco vuoto, probabilmente morta, e la matrona, finalmente libera, rivolse i suoi occhi di fuoco colmi d'odio e rabbia verso di lui, la figlia superstite lo colpì ancora con le fruste, immobilizzandolo in ginocchio. Aveva la mente che vacillava, in procinto di perdere i sensi, il corpo dolorante e sanguinante, riusciva a respirare a stento. Provò a lanciare un ultimo incantesimo, ma perse i sensi, con i pensieri che correvano a Lashrael.
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La matrona dalla rabbia si morse a sangue le labbra. «Sull'altare finirà questo pezzente! Guardie, siate pronti a tenerlo a bada con le catene,» sentenziò. Appena le guardie ancora presenti e malconce si avvicinarono al muro di fuoco, la matrona e la figlia annullarono gli incantesimi e il Fey'ri fu preso in consegna dai soldati che lo trascinarono fino all'altare già predisposto per lui. Lo incatenarono e la matrona gli si avvicinò con la frusta in una mano e un gancio metallico nell'altro. «Sconterai tutto, ciò che sarebbe toccato al tuo protetto e le tue, bastardo. Hai ucciso due delle mie meravigliose figlie, io ti strapperò la vita a brandelli,» gli disse sputandogli addosso. «Ho notato che non ami il fuoco. Bene, di solito torturo con l'acqua, ma per te farò un'eccezione.»
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Stordito e debole non riuscì a opporsi a nulla. Respirava ancora a fatica. «Torturami quanto vuoi...» rantolò. «...vecchia megera, ma non avrai mai Lashrael!» fece un sorriso tremante, poi cercò con lo sguardo la figlia superstite, si leccò le labbra aride. «Ucciderò anche te, puoi contarci, stronzetta!»
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Gli occhi della matrona si ridussero a due fessure. «Tutto questo per proteggere quello scarto.» constatò. «Un obbrobrio nato da uno schizzo di seme non controllato. Siete veramente strani voi della superficie. E tu sei anche sprecato,» gli disse, leccandosi le labbra. Prese il gancio arroventato e glielo avvicinò al costato. «Figlio di un piano astrale di tutto rispetto e probabilmente di una povera verginella indifesa. Eppure i tuoi poteri sono interessanti.» Avvicinò la bocca alla sua e leccò le labbra di Daw, mentre accostava il ferro alla pelle. «Sarebbe stato interessante averti al mio servizio, magari per farti torturare il tuo stesso protetto,» bisbigliò mentre imprimeva il ferro sul fianco.
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Gridò, tutti i muscoli del corpo si contrassero stridendo di dolore, udì la pelle sfrigolare e un odore nauseante di carne bruciata. Riprese fiato e deglutì. «Io... non sarò mai... al servizio... di nessuno... Feccia!» Avrebbe voluto sputarle in faccia, ma aveva la bocca completamente arida.
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«No? Vedremo. Potremmo fare grandi cose insieme, sai?» mormorò melliflua. Gli passò una mano lungo il petto, soffermandosi su un capezzolo. Consegnò il ferro alla figlia, dandole istruzioni. Giocherellò con il capezzolo strizzandolo, poi glielo morse. «Preferisci i baci o il fuoco?» chiese.
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«Ai tuoi baci?» Fece una risata gracchiante. «Preferisco il fuoco senza dubbio!»
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«Come desideri,» replicò. Guardò la figlia che impresse il gancio sotto al costato.
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Urlò, le mani strette in pugni che strattonavano le catene. L'agonia sembrò infinita, quando il ferro venne allontanato dal suo corpo si afflosciò, tentando di ricominciare a respirare.
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«Vederti soffrire mi eccita. Il tuo volto stravolto è bellissimo, quasi commovente. Posso continuare all'infinito, sarai così resistente?» sogghignò, facendo cenno alla figlia di scorrere sul fianco.
Si allontanò brevemente, recuperò la frusta e una caraffa. Tornando da lui chiese: «Vuoi bere, tesoro?» gli chiese, posizionando la frusta sul suo ventre, con i serpenti ancora vivi.
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Maledetta bastarda, pensò, la bocca era asciutta, la gola bruciava, aveva il petto in fiamme. Sulle labbra si aprì un sorriso spaccato e sanguinante e mormorò l'incantesimo con le ultime energie che aveva. L'acqua della caraffa si cristallizzò e spaccò il recipiente, spunzoni aguzzi si conficcarono nella spalla della Matrona. Nessun danno mortale, purtroppo, ma Daw ridacchiò soddisfatto. «Non ho sete... tesoro.»
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Gridò imbestialita. «Fottuto bastardo!» Fu costretta a cercare un antidoto per il veleno che aveva messo nel liquido, ma contemporaneamente la figlia prese la frusta e fece morsicare l'interno delle cosce di Daw. La matrona tornò a passo lento, sfigurata dalla collera. Aveva in mano un lungo ago sottile intinto nel veleno allucinogeno estratto da un fungo rinomato nel Sottosuolo. «Proverai cosa vuol dire sfidarmi. Non sono riuscita a distruggere la mente di quell'obbrobrio, ma posso divertirmi con la tua!» gli disse mostrandogli l'ago che posizionò sull'incavo del gomito. «Sei pronto a divertirti con i tuoi spettri?» chiese prima di affondare.
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Gridò di nuovo quando i serpenti lo morsero, la voce ridotta a un roco sibilo. Guardò il soffitto che si perdeva nell'oscurità mentre le lacrime di dolore scorrevano sulle guance, quasi non sentì la puntura dell'ago. Cominciò lentamente a sentire i suoni distorcersi, il proprio respiro raschiante, il battito del cuore rombante, voci ovattate, tutto divenne più scuro e grigio e ai margini della vista cominciarono ad apparire figure fumose, tremolanti.
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«Dammi la frusta, pensa alle tue povere sorelle,» mormorò alla figlia, «ma al primo movimento dei loro corpi bruciali, non possiamo permetterci ghoul o altri nemici ora,» aggiunse, poi tornò a concentrarsi sul Fey'ri. «Come hai detto che si chiama mio figlio? Lashrael? Bene, faremo sì che adesso i tuoi pensieri siano rivolti soltanto a lui,» mormorò all'orecchio del prigioniero. Fece calare gocce violacee lungo l'ago e ripeté il nome del mezzo Drow nell'orecchio di Daw, andando poi a manipolare i testicoli senza troppa grazia.
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Lashrael. Il suo piccolo, dolce Lashrael. Facevano l'amore, occhi negli occhi, si baciavano, tra i sorrisi... Ma avevano litigato... Il senso di familiarità, calore, piacere, mutò lentamente. Divenne un doloroso torcere, il sorriso del suo amore divenne un ghigno sadico e arrabbiato! Le mani di Daw si chiusero in pugni.
Sono allucinazioni, sono incubi, non è reale!
Mi hai tradito! Sibilava Lashrael, come un serpente velenoso, e le sue mani sul corpo di Daw diventavano le zampe di una vedova nera.
«No!» gridò. «Non ti ho tradito! Volevo salvarti! Volevo fossi al sicuro!» Emise un singhiozzo.
Respirò a fondo, anche se faceva male. «È un incubo... Un'allucinazione!» ripeté, ma le figure ai margini si avvicinavano cupe e minacciose.
*
La matrona sorrise compiaciuta. Non poteva entrare nei suoi incubi, ma vedere i suoi lineamenti contorcersi per il dolore era impagabile. «È questo che ti stimola?» chiese più a se stessa che a lui. Continuò a strizzare i testicoli, lo vide sussultare e notò lacrime scorrere dagli occhi. Tolse l'ago, lo intinse ancora nel liquido viola e lo inserì in una vena all'interno della coscia.
*
Gli incubi svaniscono col sole. Gli incubi svaniscono col sole! Ma non c'era il sole in quel luogo, non c'era nessuno, tranne forse... I suoi vecchi padroni, in cerchio attorno a lui, con i volti sfigurati dal fuoco.
Lashrael fu di nuovo su di lui, bellissimo come sempre, ma i suoi occhi erano rossi. «Vuoi fare l'amore, Daw?»
«Voglio tornare a casa,» rispose con un sussurro.
Di nuovo uno strisciante piacere, ma subdolo, freddo. «Voglio tornare a casa...» ripeté.
«Facciamo l'amore, Daw!» Calò su di lui, I capelli candidi sul viso, ma quando si impalò ci fu solo dolore, aghi nella carne sensibile e il morso di migliaia di piccoli denti aguzzi, ogni volta che si spingeva su di lui il dolore lo sferzava. «Mi hai tradito!» continuava a ripetere. «Mi hai mentito!»
I suoi padroni guardavano, con le loro facce sciolte e compiaciute.
Si agitò come un forsennato, ma non poteva muoversi, né fuggire. «Lashrael, ti prego, basta! Mi fai male! Mandali via! Via!»
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«È giunto a farti visita, finalmente,» commentò la Drow. «Ti piace?» chiese, togliendo di nuovo l'ago e spostandola poco sotto l'ombelico, all'inizio della peluria. Prima di affondare però guardò il membro che sembrava non reagire. «Vuoi una femmina per fartelo rizzare?» mormorò e affondò appena la punta lungo un'altra vena.
*
Il corpo di Lashrael sopra di lui era pesante, il suo viso trasfigurato dall'odio e da un piacere morboso. Continuava a cavalcarlo, ma non c'era piacere, solo dolore. Continuava ad accusarlo e quella era la sua vendetta. Altre mani si unirono a quel disgustoso atto. I suoi padroni lo sfioravano con le loro dita contorte, lo manipolavano e lo graffiavano, ma la cosa peggiore erano le viscide carezze. Gridò furioso, poi pianse e supplicò di nuovo Lashrael. «Volevo solo proteggerti!» gridò.
*
«Bene, inizi a capire,» disse compiaciuta. «Lashrael ha sangue Drow, anche se è impuro, quindi dovrebbe essere normale per lui farti soffrire, no?» gli bisbigliò all'orecchio. «Meraviglioso, sei meraviglioso nella sofferenza.» Tolse l'ago, leccò voluttuosa l'inguine. «Che buon sapore ha la tua sofferenza.» Intinse ancora nel liquido nero, salì sull'altare e, baciandogli le labbra, infilò l'ago nel collo. «Sarai mio, ti dimenticherai anche tu dei tuoi ricordi.» Si mise a cavalcioni su di lui.
*
Capelli bianchi, pelle nera, occhi color del sangue.
Fissava quel viso familiare che non era più familiare. Era lui, ma era diverso, era crudele, colmo di rabbia, di sadismo. «Ti amo,» mormorò con un filo di voce, il fiato che gli restava.
*
«No, no, non devi dire queste cose,» protestò divertita la matrona. «Tu devi odiarlo e sottometterti, adesso ti mostro come!» precisò, togliendo l'ago e facendolo mordere dai serpenti. Ma mentre intingeva l'arma in un nuovo liquido, urla concitate giunsero alle sue orecchie. «Madre!» la chiamò la più giovane che si stava allontanando dalla porta della sala. Ma non fece in tempo. Il legno schiantò di netto sotto una forza magica. Fu investita dalle schegge e dalla forza d'urto di guerrieri armati di spade e lance.
Lashrael e Warren in testa. Fu lanciata una protezione dal male e la sacerdotessa fu messa alle strette da Lydia e un alleato chierico. Lashrael individuò l'altare in fondo alla sala, una matrona dietro al marmo, un corpo inerme sul piano. Con l'infravisione potenziata poteva riconoscerla, non capiva chi fosse la sagoma distesa, ma qualcosa lo avvertì. «No!» urlò. «Non azzardati a toccarlo!» minacciò, raggiungendola fulmineo.
Si squadrarono, la matrona rise in modo sgradevole. «Ormai è mio, piccolo obbrobrio infame. Hai mandato lui a crepare al posto tuo. Lo hai sacrificato. Sei davvero un Drow!» disse, mentre recuperava la frusta.
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Strange Story - Daw e Lashrael
ФэнтезиDaw è un Fey'ri e Lashrael un mezzo Drow, due creature improbabili le cui strade si intrecciano casualmente sullo sfondo di una terra fantasy, popolata da umani, elfi, goblin e altri esseri con cui avranno a che fare. Daw e Lashrael sono abituati a...