Nightmare |Larry Stylinson|

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Erano quasi le 20.00, fuori pioveva e il vento, rigava le finestre gocciolanti d'acqua.

Per cena, avevamo ordinato cinese da un piccolo ristorante poco più lontano da casa.

Mentre aspettavamo che ci venisse consegnata la cena, andai a coricarmi sul divano. Sfilai le ciabatte dai piedi e poggiai le gambe sul quel tavolino un po' traballante, mentre la tuta che indossavo si raggrinzì verso il fondo, lasciando le mie povere caviglie scoperte. Buttai all'indietro la schiena, che andò a sbattere creando un leggero tonfo. Distesi le braccia lunghi i fianchi e tirai qualche sospiro pesante.

Mille pensieri continuavano fastidiosamente a rincorrersi nella mia testa, l'un con l'altro. I giorni precedenti erano stati parecchio asfissianti e molto pesanti da digerire.

Diversi avvenimenti mi avevano creato nello stomaco una sorta di nodo, come se i miei organi avessero improvvisamente deciso di attorcigliarsi a vicenda l'un con l'altro. Nel mio corpo circolava un misto tra ansia, preoccupazione e nausea.
Nel mentre, le tempie, iniziavano a mostrare i primi segni di stanchezza, pulsando in modo fastidioso e costante.

Continuai a respirare profondamente, poggiai la testa sullo schienale e passai una mano tra i capelli, uno, due, tre respiri, poi il campanello di casa suonò.

L: "Vado io, sarà il cibo"
H: "Ok"

-
Ci sedemmo a tavola, su quel piccolo tavolino in legno posizionato in cucina, sotto la finestra grondante.

Lou iniziò a mangiare ciò che aveva ordinato, io faticavo a mandare giù ogni singolo boccone, che puntualmente si bloccava in bocca ma non arrivava allo stomaco.

L: "Oi… tutto ok? è da ieri che sei sempre così stanco e distratto… lo sai che se vuoi parlarne io sono sempre qui"

Avevo completamente concentrato tutte le mie attenzioni nel fissare quel poco d'acqua che rimaneva nel mio bicchiere, dimenticando che nel piatto c'era ancora qualche rimasuglio di riso, ormai freddo.

Mi accorsi che Lou mi stava chiamando, con uno scatto alzai la testa.

H: "S-si scusa... s-sono solo un po’ stanco, tutto qui."
Sapevo che non mi avrebbe mai creduto, ed ero certo che in realtà già sapesse la causa del mio malumore, ma non disse nulla e tornò a finire la sua cena.

-
L: "Noioso e scontato, mi spiace dirtelo ma è così", mi disse, guardandomi mentre sghignazzava.
H: "Eii come ti permetti, è un capolavoro per niente scontato, non dire cazzate".

Eravamo distesi sul divano, io accoccolato nelle sue braccia, sotto una coperta di lana ricamata a mano. Sulla TV scorrevano i titoli di coda, "The Notebook", di Nicholas Sparks.
La stanza era semi-buia, illuminata solo da una piccola abatjour posizionata affianco al divano.

L: "Vado a farmi un doccia… ricordati di staccare la TV e spegnere le luci"
H: "Si, tranquillo, non devi ricordarmelo tutte le volte, guarda che lo so."
L: "OK ma non c'è bisogno di arrabbiarsi…"
H: "Non sono arrabbiato, smettila!"
L: "Va be, quando ti degnerai di spiegarmi cosa succede, forse, potrò finalmente aiutarti".

Tolse il braccio la’ dove giaceva la mia testa, che improvvisamente ciondolò, si alzò facendo forza sulle braccia e una volta in piedi, si sistemò le maniche della felpa, infilò di nuovo le sue ciabatte e si diresse in bagno.

Rimasi rannicchiato sotto quella coperta ancora per un bel po’.
La mia vista e la mia concentrazione andarono a posarsi sulla finestra. Con lo sguardo ricorrevo le scie bagnate di due gocce d’acqua che giocavano a rincorrersi sulla vetrata, tirando ad indovinare quale delle due avrebbe toccato per prima la cornice in legno. Proprio come facevo da bambino.
Mi sentivo piccolo, indifeso, stanco, tanto confuso e frastornato. Ma il mio corpo restava immobile, non lasciando trasparire nessuna di queste sensazioni ed emozioni. L'apatia avevo preso il sopravvento.

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