Capitolo 18 - Il Concistoro

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«E con questo abbiamo finito!» esclamò Bastonazz, vibrando un possente colpo col suo martello meteorico ed eliminando l'ultimo guardiano del fortilizio di Malprotett, ad occidente delle Montagne Verdi.

«Ora possiamo andarcene indisturbati» disse Cil, che teneva stretto nelle mani il Medaglione col simbolo degli Dei. Esso raffigurava un serpente che s'intreccia a formare due circoli congiunti e si morde la coda, ed emanava una luce bluastra.

«Dopotutto non tenevano molto ai loro tesori, da queste parti» affermai, considerando che ci eravamo introdotti con facilità nella fortezza, e avevamo recuperato l'ultimo Artefatto a noi conosciuto in meno di un'ora.

«Stavolta i sapienti potranno valutare di persona quanto abbiamo trovato per loro!» dichiarò l'Alchimista, «Scendiamo giù per questo sentiero, e poi, poco prima dell'antico corso del Magento, imboccheremo la strada maestra che va a meridione.»

Non era ancora mezzodì, quando vidi per la prima volta uno dei luoghi più meravigliosi che vi siano al mondo. Pur avendo viaggiato molto, non mi ero mai recato a Mocti Lumo, la magnifica città dei verustri, imponente e maestosa sopra ogni altra.

A differenza della maggior parte delle città, che sorgono nelle piane, protette da mura e fossati, o sulla cima di colli, sfruttando a propria difesa l'asperità della salita, Mocti Lumo s'era sviluppata attorno a grandi torri naturali di arenaria, probabilmente erosa in epoche remote dalle galoppanti correnti del Magento, quand'esso era ancora ricco di flutti. Per più balze e su protrusi pinnacoli sorgevano le dimore dei verustri, simili a grandi nidi di pietra, ricchi di campanili; ma non solo le sporgenze erano abitate: le cavità dei torrioni erano piene di strade e depositi, di botteghe e fucine, una civiltà così operosa e fiorente che nessun'altra avrebbe potuto dirsi pari.

Scoprii solo allora che alcuni verustri erano in grado di volare: questa particolare variante della loro razza serviva come guardia della città, potendo raggiungere con la spinta delle ali qualunque punto della stessa; i verustri volanti erano più piccoli e snelli dei loro simili, e quelli che vidi sorvegliare Mocti Lumo brandivano agili balestre od aste lunghissime, onde colpire da grande distanza i visitatori non desiderati. Per noi, ch'eravamo senz'ali, la salita avvenne su delle piattaforme di legno, sollevate da un complicato sistema di funi e carrucole; Bastonazz spalancò la bocca, mentre il mondo sotto di noi si faceva minuscolo, gli alberi parevano foglie di lattuga e le case della pianura briciole di pane; io stesso a fatica contenni lo stupore, mentre la macchina lignea sorpassava le nuvole, conducendoci là ove i raggi del sole erano più forti e diretti, sulla cima dei rocciosi torrioni, dove erano costruiti i grandi palazzi del popolo dei verustri.

«Stupefacente, eh?» disse Cil, che era quasi di casa in quei luoghi.

Salendo, scorsi molti bastioni di guardia e magioni d'eserciti; i verustri volanti, coi loro morioni crestati, calati fin quasi sul becco, sciamavano in regolati stormi, dando l'impressione d'un'armata innumerabile; mercati d'oggetti preziosi s'aprivano dalle grotte e tra le insenature; dietro i vetri variopinti, panneggi, stoffe e tappeti decoravano le stanze, e dorate lampade attendevano il tramonto per essere accese.

«Siamo arrivati,» affermò Cil, facendoci discendere dalla piattaforma e mostrando ad una guardia una sorta di lasciapassare, «quello è il palazzo dell'Arte degli Alchimisti.»

Il palazzo sorgeva su un'irta rupe, a picco nel vuoto. Dinnanzi al suo grande portone, due soldati in armatura cerimoniale, con gli spallacci dorati e l'elmo piumato, chiesero chi fossimo. Quando Cil disse il proprio nome, ci fu consentito di entrare.

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