Capitolo II

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 Non bisognava mai avventurarsi in una foresta di notte, dicevano le storie. Qualsiasi fosse il motivo, starne fuori dopo il crepuscolo, quando le nuvole insanguinate venivano bagnate e ripulite dai candidi raggi della luna, era la scelta più saggia. E non era opinabile. Ancora meno ragionevole, ancora più sregolato e sconsiderato sarebbe stato inoltrarsi tra i faggi e le rocce alla caccia di una strega. Perché mai una foresta avrebbe abbandonato le sue figlie, e con tutta la volontà di cui disponeva le avrebbe difese, sbaragliando qualsiasi legione di salvatori, cacciatori, esorcisti o chicchessia. Ma individui peculiari camminano tra i vivi, uomini che la foresta non potrebbe nemmeno rallentare. Caparbi, decisi e inesorabili come dei, di divino hanno ben poco. Assassini con la lama sempre sfoderata, belve mai sazie di morte, sadici fuori controllo, agivano e agiscono fuori da qualsivoglia vincolo morale o etico. Prevaricatori autorizzati e protetti da un fine superiore, mostri nati nel ruolo di guardiani di un ordine cosmico inefficiente. Il cacciatore era uno di loro.

Indossava le tipiche vesti del suo ordine, soltanto più vecchie, lacere e scolorite. Il mantello di lana non toccava più il terreno, il serpente in fiamme sul surcotto si vedeva a tratti, i guanti mancavano e gli stivali avevano calcato fin troppe miglia. I pantaloni di pelle e la giacca di lana reggevano per miracolo. Il bianco naturale era sbiadito quasi del tutto, cedendo il posto a un grigiore spettrale, che si era fatto strada con gli anni, lentamente, caccia dopo caccia, strega dopo strega. Le mani del cacciatore reggevano un'ascia, più grande di quelle in dotazione agli altri, forgiata in una lega della quale si era perso il segreto. La lama non era un lavoro realizzato per un soldato qualunque, ma per un nobile, riccamente decorata e dalle forme esuberanti, tant'è che qualcuno vi aveva avvolto delle catenelle intorno a quelle forme, e su queste ultime aveva infilato molte monete. Ma la parte letale rimaneva intoccata, pronta a dilaniare e uccidere. Nonostante non gli appartenesse, le mani stringevano forte il manico dell'ascia, percorse da numerose cicatrici, con una decisione che era figlia di nessun senso del dovere, ma soltanto di una sete inarrestabile di sangue. Il volto estatico avvolto da vecchie ferite sbiadite, gli occhi chiari e i capelli color rame chiazzati di linee argentee circondavano il cacciatore di un alone sacrale, quasi deifico. E tutto questo mentre venerava la nera foresta che aveva di fronte, e ripudiava le rubiconde nubi alle sue spalle. Il sole era quasi tramontato, ma la luna era alta nel cielo. Quegli alberi spogli simili a troni maestosi, circondati e riveriti da migliaia di foglie ai loro piedi, sembravano tendere alle tenebre celesti, allungarsi verso la pallida regina della notte più di quanto facessero di giorno, in presenza della luce. Il cacciatore attese che tutto si chiudesse, che le profondità avanzassero ottenebrando il mondo, che l'oscurità sigillasse la luce, e si addentrò nella foresta.

Il cacciatore nella forestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora