Capitolo III

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 Un'oscurità asfissiante pesava su quella foresta. La poca luce proveniente dalla luna difficilmente riusciva a superare i rami spogli e asciutti dei faggi soprastanti. Le protuberanze in legno erano molte e vicine tra di loro, un mantello di braccia secche e sottili che parevano sul punto di scendere e afferrare uomini, animali e altre creature, ma non le streghe. Il cacciatore non badava a qualsiasi cosa potesse nascondersi in quelle ombre brumose intorno a lui. Camminava, passo dopo passo, su quell'oceano di foglie morte, simili per il colore a strisce di pelle insanguinate, e a ogni movimento le si poteva sentire scricchiolare, o biascicare. Perché le foreste avevano un anima, e quelle foglie tentavano disperatamente di mandare un messaggio, un viscido sussurro, che potesse avvertire chiunque nel cuore di quella selva, che fossero streghe o altri abitanti. Affinché preparassero una difesa, che fuggissero o che trovassero il cacciatore prima che fosse lui a trovare loro. Ma, nonostante le grida strazianti e silenziose della foresta, nessuno avrebbe ostacolato il cacciatore, nessuno gli sarebbe andato incontro, nessuno si sarebbe anche solo avvicinato. Se l'Abisso si fosse riversato su quei boschi da lì a un istante, cullato sul fiume di anime infernali che avrebbe invaso quel regno arboreo, al cacciatore non sarebbe importato. Poteva morire lì o vivere altri cent'anni, e non avrebbe fatto nessuna differenza. Se il Traghettatore avesse però annunciato la sciagura prima di metterla in atto, forse gli avrebbe mozzato la testa. Le monete tintinnavano a ogni passo.

Non tardò molto trovare la strega. O meglio, quella che era la sua capanna. Una vecchia casupola di legno marcio e fatiscente, più alta che larga. Avrebbe potuto abbatterla con qualche colpo d'ascia. Vi si fermò di fronte, a pochi passi. Evidentemente era vuota, perché la strega l'aveva sicuramente sentito arrivare. Era fuggita? O era andata a chiamare aiuto? E chi l'avrebbe aiutata in quella landa desolata e fredda? Non ebbe molto tempo per rifletterci sopra. Qualcosa di terribilmente rapido, sovrumano e ferale, era sul punto di lanciarsi contro il cacciatore. Ma lui l'aveva già sentita. L'aveva sentita scivolare giù dall'albero, come una serpe disgustosa, aveva sentito le unghie sulle sue dita mutare in artigli, la bocca spalancarsi in un'aberrante voragine dentata e aveva sentito, infine, le mani e i piedi poggiarsi a terra. Un momento inafferrabile ma decisivo, e tanto gli era bastato a contrattaccare. Si voltò, poi uno scatto obliquo verso la strega, un colpo d'ascia, e le mozzò il braccio sinistro. L'abominevole succube, perché tale appariva agli occhi del cacciatore, finì urlante a sbattere contro la casa in legno. Tentò di voltarsi e continuare a lottare, ma appena lo fece, senza rendersi contro che ne ebbe l'occasione soltanto per scrupolosa concessione del suo inquisitore, l'ascia le si piantò nella spalla destra, con tale perversa violenza da poter essere intravista come una gioia estasiata, andando a conficcarsi anche nella casupola in legno e bloccando la strega lì, inerme e terrorizzata. E se quell'ammasso di tavole claudicanti non crollò, fu solo perché era destinata a farlo dopo un secondo eventuale colpo. Ma il cacciatore trascurò il demonio, entrò nella minuscola casa riducendo la porta in frammenti con un paio di calci, e poco dopo uscì con una sedia, malconcia e vecchia come tutto il resto. Non era una sedia da popolani o contadini, notò, ma era di quella che in tempi remoti doveva essere stata una fattura squisita e pregiata. Più tardi avrebbe indagato e avrebbe scoperto dove l'aveva ottenuta, per quanto vecchia fosse. In ogni caso, poggiò le sedia accanto alla strega e si sedette. Poi parlò.

"Grida, chiama le altre."

Perché raramente una strega vive da sola. Una strega deve sempre avere delle sorelle su cui fare affidamento. La voce del cacciatore non sortì alcun effetto sulla prigioniera. Era una voce mascolina, matura ma con melodiose tracce di un passato forse nobile, aristocratico. Gli uomini come lui ruggiscono e sputano, ma lui no. Non bastò a far gridare la strega, che non voleva che anche le sue sorelle finissero sotto l'ascia di quel boia sanguinario. Non avrebbe mai permesso che morissero insensatamente, senza nemmeno la possibilità di opporsi, e avrebbe fatto di tutto pur di salvarle.

"Grida, o ti faccio gridare io."

Eppure forse una speranza c'era. Erano in cinque, e non erano lontane. E poi, se si fosse liberata, forse avrebbe potuto combattere anche lei. Con la giusta dose di coordinazione e improvvisazione era fattibile. E allora gridò. Il grido delle streghe, un urlo che lacera l'aria, stridulo e angosciante, usato per chiamare aiuto. Risuonò in tutta la foresta e l'aria fredda tremò e si spezzò come ghiaccio. Sanguinante, dolorante ma pronta a reagire, attese l'arrivo delle sorelle.

Il cacciatore nella forestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora