Furono ore piacevoli quelle che trascorsi coi Cavalieri di Andersen ed ebbi la sensazione di conoscerli da sempre. Il loro capo si chiamava George Tawn, nome di battaglia: Speed (era molto veloce nelle sue perlustrazioni e riusciva con grande abilità a sfuggire ai Cacciatori). Aveva affrontato tante battaglie e la cicatrice che gli percorreva il viso ne era una prova indiscutibile. Mi promisero che mi avrebbero aiutato a liberare i miei amici, anche se non sarebbe stato facile. Mi sentivo strano, confuso, ma allo stesso tempo determinato e coraggioso. Avevo come un fuoco dentro che mi spingeva verso il pericolo, verso quei nemici quasi invisibili che ci avevano tolto tanto, e soprattutto ci avevano negato quella cosa della quale ogni essere umano non può fare a meno: la libertà.
Col professore tornammo a parlare nel suo ufficio. Lo vedevo sorridente e ogni volta che mi confrontavo con lui mi sembrava di avere accanto un padre premuroso e protettivo, una vera guida che dona speranza.
- Allora sei deciso, a quanto vedo; vuoi partire con loro. Mi saresti stato utile qui nel rifugio, sai? - affermò nel suo tono calmo e pacato, fumando la sua inseparabile pipa. Gli sorrisi e avevo gli occhi lucidi, ma ormai avevo preso la mia decisione: sarei andato coi Cavalieri a liberare i miei amici.
- Vedrai, sei in mani sicure - mi disse, stringendomi calorosamente la mano.
Quando partii rimasi a guardare quel resto di sopravvissuti e il giovane Jean ci accompagnò fino ai cancelli della metropolitana e, prima di chiudere le porte stagne, mi disse: - Fagliela pagare a quei brutti musi!
Marciammo per alcune ore al buio, guidati solo dalle rotaie. Di tanto in tanto mangiavamo uno snack energetico e qualcuno fumava una sigaretta. Chissà quanti altri sopravvissuti vivono nel sottosuolo, pensai.
- Ci rechiamo in uno dei nostri campi base - propose Speed. - Manca poco ormai, là ci riposeremo un paio d'ore e poi proviamo a seguire le tracce dei Cacciatori. Di solito sorvegliano la strada davanti al locale in cui credo abbiano catturato i tuoi amici. Tre di noi proveranno a distrarli, mentre noi due entreremo da un accesso che solo io conosco. Ma approfondiremo meglio il piano di liberazione quando avremo messo qualcosa di caldo nelle nostre pance!
Mi piaceva il modo di parlare di Speed: era diretto, schietto, e la sua voce era roca come solo un accanito fumatore di solito ha. Provarono a farmi fumare, ma io ricordai loro che ero ancora un ragazzino, nonostante in realtà avevo trascorso trent'anni in ibernazione e quindi avrei dovuto avere 46 anni! Ma cosa vado a pensare!
Fu un pasto frugale e veloce, ma fu un toccasana per i nostri stanchi corpi. Little attaccò un canto pieno di malinconia che descriveva i bei tempi che furono, quando si poteva vivere in assoluta libertà e quando ancora ci si poteva amare ed abbracciare. Ci fece commuovere.
Quella notte feci un sogno strano: mi ritrovavo in un campo di calcio, completamente da solo, e stavo al centro di esso quando, all'improvviso, atterrò davanti a me un'astronave tutta grigia. Dal portellone uscì una figura, forse femminile, che indossava una tuta spaziale verde smeraldo. Io indietreggiai e iniziai a correre, ma non riuscivo a spostarmi: sapete quando fate quegli incubi in cui qualunque movimento fate non riuscite a fare un passo in avanti? Ecco, ero nella stessa situazione. L'ospite misterioso stava per togliersi il casco quando fui svegliato da Speed: - Ci siamo, è il momento di entrare!
Ero sudato e avevo inzuppato la tuta mimetica. Dopo essermi rifocillato seguii i miei Cavalieri. Rispetto a me loro avevano un sacco di esperienza per quanto riguarda le azioni militari, ma nonostante ciò non me la cavavo male nello stargli dietro. E così risbucai all'esterno a riveder le stelle: la strada era abbandonata da anni e quelle ombre erano le carcasse delle auto abbandonate. Ci riparammo dietro una di esse, mentre gli altri iniziarono a dividersi. Io e Speed saremmo entrati dal tetto, gli altri dai lati. Il mio capo conosceva quel posto a memoria ormai. A vigilare vi stavano anche i Globodroidi, dei robot volanti a forma di globo che sorvegliavano le strade e soprattutto gli edifici più importanti. Ma grazie agli occhiali schermanti riuscivamo a localizzarli e dunque ad evitare di finire tra le loro grinfie (di solito ti lanciano un raggio paralizzante che non è per nulla piacevole, stando ai racconti di Moon). Provammo a scalare l'edificio con le corde e Speed lanciò il suo rampino, riuscendo ad incastrarlo sul bordo del cornicione: fu il primo a issarsi. Io lo seguii, ma al terzo piano dovetti fermarmi: un sibilo mi aveva sfiorato l'orecchio destro: mi voltai e vidi una freccia conficcata nel muro. Lampeggiava. L'ultima cosa che ricordo di aver visto fu un lampo di luce. Quando riaprii gli occhi vidi Speed, preoccupatissimo, che mi schiaffeggiava.
- Maledetti Cacciatori! - urlava il mio capo, preoccupato e con lo sguardo spiritato. Provai ad alzarmi e mi ritrovai sul tetto dell'edificio: - Cosa cavolo è successo? - chiesi, ancora rintronato. Speed mi fece bere dalla borraccia un sorso, poi rispose: - Una freccia rintronante, per l'esattezza. Ma sono riuscito a tirarti in su appena in tempo. Credo ci abbiano individuato e circondato, non la vedo molto bene, diamine!
- Sono furbi, i nostri Cacciatori! - affermai, cercando di riprendermi dall'onda d'urto. In quegli attimi mi colpii il silenzio. Ne eravamo circondati. E non solo dal silenzio. La quiete prima della tempesta. - Ci hanno circondato, siamo in trappola! - mormorò Speed, caricando il suo fucile laser. Mi misi accanto a lui, eravamo pronti a batterci. Non sapevamo quanti fossero, non sapevamo se saremmo riusciti a sopravvivere, ma una cosa era sicura: eravamo davvero arrabbiati!
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Brave
Science FictionIl sedicenne Jack Carson è un normale adolescente che studia al liceo scientifico, grande appassionato di fantascienza e delle auto da corsa. Un giorno, dopo aver litigato coi genitori, decide di scappare di casa e si rifugia dal suo amico Rod che g...