Giornata di un Boia

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Il sole splendeva fuori dalle sue finestre, fuori da quel buco che per lui era casa. Si rigirò più volte sullo scomodo materasso, le coperte le aveva già scalciate durante la notte per via del caldo insopportabile. Dopo i vani tentativi di scappare da quella fastidiosa luce, si alzò dal letto e si stiracchiò, si guardò attorno e rimase qualche secondo a fissare la stanza mezza vuota, arredata solo con una vecchia sedia in paglia sulla quale c'erano gli abiti del giorno prima, con un tavolo con un calamaio, una penna e qualche foglio scribacchiato, un cassettone ai piedi del letto conteneva i suoi pochi vestiti e qualche risparmio, sufficiente a pagare a mala pena l'affitto dell'appartamento squallido. Si alzó, lento e svogliato, dal letto vecchio, fatto di lana umida e dura. Si diresse verso il bagno, un altro buco con un secchio come latrina, un vaso per lavarsi la faccia e un pezzo di sacco di iuta per asciugarsi le mani. Si abbassò le mutande e liberó la vescica, piena per colpa dell'alcool della sera prima. Finito di soddisfare i suoi bisogni si asciugó e si tiró su le mutande, sbuffando. Si giró verso il vaso, violentemente, e un forte capogiro lo assalì. Imprecò e si accasció a terra di fianco al vaso sbeccato per poi metterci le mani dentro e lavarsi la faccia con l'acqua fredda. Passandosi le mani sul volto sentì la pelle liscia in contrasto con la barba ispida, non curata da diversi giorni. Era un brutto periodo, troppi criminali, troppi processi, troppe esecuzioni. Un volto spaurito comparve tra le nebbie dell'alcool che si stavano diradando, ma non gli importava, quella sera, quella testa, sarebbe scomparsa di nuovo, inghiottita dalla foschia. Si asciugò faccia e mani e si schiaffeggiò le guance per svegliarsi. Tornó in camera e si mise i vecchi pantaloni scoloriti del giorno prima e una maglietta. Prese due monete e uscì dall'appartamento. Fece due strette rampe di scale puzzolenti di muffa e fumo. Aprì il portono escolorito e si immerse nella folla mattutina, indaffarata e urlante, per niente utile al suo mal di testa. Andó a coprare una mela e si diresse ei bagni pubblici, cercando di scansare più gente possibile.

L'afosa calura rendeva la giornata insopportabile e gli scontri con la gente appicciocosi e fastidiosi. Quasi corse per arrivare ai bagni, dove lasciò i suoi vestiti, pagò il guardiano con la moneta che gli restava e si immerse nell'acqua tiepida. Si sentiva bene, leggero, pulito, in pace, protetto. Nell'acqua tiepida riusciva a non pensare, a dimenticarsi del male che faceva e a lavarsi l'anila dal sangue, dalle suppliche, dalle grida e dagli sguardi della gente che toccava con la sua sporca lama.

Con il tempo andó via anche la gente e lui rimase in santa pace per diverse ore, fino a quando il sole non raggiunse il punto più alto del cielo. Uscì pacatamente dall'acqua e si asciugò il corpo alto, snello, muscoloso e ramato, lasciando i capelli neri ricadergli umidi e mossi sul volto coprendo lievemente i suoi occhi di smeraldo. Andó a rivestirsi e uscì dalla struttura, la folla si era dileguata, per strada c'era solo qualche nullafacente e qualcuno che si affrettava per tornare a casa a mangiare. Lui entró in un ristorantino scadente, si sedette e poco dopo una ragazza tutte curve gli portó un piatto di verdure e carne accompagnato da una pagnotta e un pó d'acqua. Si sedette con lui iniziando a fargli un interrogatorio, a chiedergli cosa avesse fatto la sera prima, quando avrebbe cambiato lavoro e quando si sarebbe fatto una famiglia. Era la sorella, minuta, della stessa carnagione del fratello e con lo stesso colore di capelli, ma con gli occhi nocciola. Gli chiedeva le stesse cose tutti i giorni, ma sapeva che suo fratello non se la sarebbe mai sentita di trovar famiglia. Da giovane aveva avuto qualche storia, ma prima di iniziare il suo lavoro. Le tenebre che lo tormentavano non gli avrebbero mai permesso di avere famiglia, nonostante fosse molto desiderato da diverse ragazze per il suo asprtto. Lui ringrazió la sorella, si alzò e tornó a casa. Sistemó un pó l'appartamento e si mise a letto a fissare il soffitto per diverso tempo, viaggiando tra le virgole più felici della sua vita per non pensare al presente. Sentì delle grida, era ora di andare. Si incamminò svelto per le strade che ricominciavano ad anarsi, andó nel palazzo di giustizia. Che nome buffo, Giustizia, quale folle poteva chiamare questa Giustizia? È giusto quindi uccidere un uomo? Se é giusto uccidere gli uomini perché uccidere qualcuno proprio perché ha ucciso un uomo? Loro stessi dicono che è giusto uccidere.

Prese le sue vesti nere e l'arma che aveva usato il giorno prima. Ora pulita, lucente e affilata. Attese per pochi minuti che il "malvivente" venisse portato in mezzo alla piazze piena fi gente, tutti ammassati, attenti ad ogni songolo movimento, ogni singola parola, come inotizzati. Uscì dall'ombra, coperto e irriconoscibile, e si incamminó lentamente verso il centro della piazza, mentre un omino petulante espkneva alla folla il motivo del processo. Aveva rubato una mela dal gioardino del sovrano. Pena: la morte." Io dovevo uccidere questa persona per aver preso una mela. Una singola mela. Ma é questa la giustizia, è in bene che certa gentaglia venga uccisa. Che ironia". Si mise in posizione e i due uomini, incappucciati anche loro, che tenevano l'uomo, lo fecero piegare sull'asse rovinata e scheggiata. Il ferro si poggió sulla sua carne e la taglió come se fosse burro, la testa rotoló e gli occhi di quell'uomo si fissarono sui suoi, terrorozzati osservavano e toccavano ogni punto della sua anima scura. "Scusa amico, è la legge, hai sbagliato." Pensó ironico. Uno dei due uomini raccolse la testa da terra e il boia si allontanó mentre la folla lo fissava, chi con odio, chi con paura, chi con ammirazione. Lui lasció che la gente fissasse la sua schiena. Aveva portato a termine il suo compito. Tutti pensavano questo. Si svestì nella sala buia e aspettò un'ora affinchè la folla si diradasse e tutti tornassero alle loro attività. Lui uscì dal palazzo di Giustizia. Il sole stava scendendo e il cielo iniziava a tingersi di rosso, cercando di imitare quel colore che ormai lui conosceva bene. Andó nel solito ostello, con la solita gente, le solite donne, che gli offrivano da bere, sperando di portarselo a letto, ignare di quello che aveva fatto un'ora prima. Lui beveva per dimenticare, dimenticare gli occhi di quegli sconosciuto chr gli scrutavano l'anima. No, mentiva, mentiva anche a se stesso. beveva per dimenticare lei, quella donna che ha decapitato pochi anni prima, quella donna dolce e gentile che conosceva bene. Dico pochi, non perchè ne siano realmente passati pochi, ma perché non passeranno mai abbastanza anni per poterla dimenticare, per andare oltre, per perdere completamente l'umanita che risiede nel suo cuore. Perché è lì che lei riposa, tra i mille sguardi che lo appesantiscono, lo rendono fragile. Beveva per dimenticare i rimpianti, perchè non potrà mai rivederla, neanche nella morte.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 27, 2015 ⏰

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