XXXIII

307 31 20
                                    

Noia.

Una noia infinita, sfinente. Da quando Yoongi se n'era andato, non c'era nulla che potesse curare questa condizione cronica.

Nulla.

Non c'era compagnia che sembrasse saziare questo suo inguaribile morbo. Non c'era parola di Im Sahong che riuscisse veramente a solleticare il suo ego a sufficienza dal distrarlo dal suo infinito cattivo umore. Non c'era persona che riuscisse a colmare il vuoto lasciato dal suo fratellino.

Yonsan era solo. Lo era sempre stato, ma si rese conto di esserlo ancora di più da quando Yoongi non era più al suo fianco. Il che era ironico, contando quanto il ragazzo odiasse la sua compagnia. Ma era proprio questo che attraeva così ardentemente il re. Yoongi non era un animale addomesticato come tutti i servitori del palazzo o un fantoccio senza anima come i nobili che leccavano ossequiosamente i suoi piedi. Lui era libero.

Yoongi la libertà ce l'aveva nell'animo. Era intrinseca nel suo essere, permeava ogni sua azione. Lo rendeva immune ai futili giochi di potere e ostinato contro coloro che si opponevano al suo pensiero.

Era così. Libero. Selvaggio. Indomabile.

Proprio per questo Yonsan non poteva resistere dal cercare di dominarlo. Che cosa poteva farci, d'altronde? Se un cacciatore trovasse il cervo con le corne più lunghe mai viste da occhio umano e il manto più prezioso dell'oro, come potrebbe lasciarlo andare senza conficcare la propria freccia nel suo fianco, senza asserire seduta stante il suo possesso su di esso? Se un uomo vedesse la donna con le forme più generose e il corpo avvolto nei vestiti più succinti, come potrebbe trattenersi dal prenderla e reclamarla?

Era questa la natura dell'essere umano. L'egoismo. L'impossibilità di vivere sapendo che esiste qualcosa di bellissimo e di non poterlo avere.

E con Yoongi era così. Era la creatura più splendida, nella sua selvaggia libertà, su cui Yonsan avesse mai posato gli occhi. Ma non apparteneva più a lui. Non si trovava più fra le sue mani, sotto il suo controllo.

E tutto era più solitario. Perfino la finta deferenza di Im Sahong era più fastidiosamente evidente. Il re lasciava che quell'uomo detenesse il potere al posto suo perché, in fondo, non poteva importargliene di meno. Che mandasse il paese in malora, non aveva scelto lui di essere re. Apprezzava l'autorità che la posizione gli dava, ma non potevano pretendere che ne accettasse anche il peso. Quello era compito di altri.

E così le giornate erano lunghe. Infinite sequenze di ripetitive azioni, di esseri di cui non si interessava, di questioni che non lo riguardavano. Sua madre, se così la poteva definire, non si mostrava a lui da mesi con il pretesto di una qualche indisposizione. Scuse. Solo scuse. Quella donna non gli aveva rivolto la parola neppure nell'infanzia. Non l'aveva mai guardato come se fosse suo figlio. E Yonsan non capiva.

Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Aveva fatto qualcosa per meritare lo sdegno della donna che l'aveva messo al mondo?

A volte, pensava che sarebbe stato meglio essere come Yoongi. Sarebbe stato meglio se sua madre fosse morta e lui non avesse mai dovuto incontrare il suo sguardo.

Le giornate erano noiose.

E Yonsan era solo.

-Sire.

Il re posò placidamente gli occhi sul pallido servitore inchinato al suo cospetto.

Insetti. Inutili, noiosi insetti. Se fossero spariti, chi se ne sarebbe accorto? E invece era scappato il cervo più bello del paese, lasciando un così grande vuoto dietro di sé.

-È arrivato il resoconto sulle regioni del nord riguardo al raccolto.

Le regioni del nord... Yonsan assottigliò le palpebre.

Il principe del calmo mattino (M.YG)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora