A new family

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La Gran Bretagna era famosa per il suo clima in continuo variamento, si poteva passare, con estrema facilità, da una giornata soleggiata ad una umida, fredda e piovosa. Ed io, Jessica Armstrong, adoravo questo aspetto che la caratterizzava. Dopo la scuola trascorrevo le mie giornate nei grandi parchi ad osservare e ammirare la bellezza della natura: amavo il profumo dell’erba tagliata, dei fiori e soprattutto degli alberi di pino. Fedeli compagni erano il mio libro preferito e l’ipod. Mi immergevo nel verde del parco leggendo storie fantastiche e ascoltando musica; ogni cosa attorno a me diventava parte del libro e ogni persona che passeggiava, prendeva il volto del personaggio di cui stavo leggendo. Come in ogni parco c’erano delle panchine, io però preferivo sedermi sotto ad un grosso salice piangente che mi aspettava di pomeriggio e non trovavo mai occupato, come se quel posto fosse soltanto mio. Il motivo per cui trascorrevo tutto quel tempo lì era perché mia madre era indaffarata con il lavoro e non c’era mai a casa; piuttosto che restare sola, preferivo venire al parco per schiarirmi un po’ le idee e per osservare il comportamento della gente. Si, accadevano strane cose lì.

Nel giro di un anno avevo assistito ad una decina di liti tra fidanzati, rotture definitive di amicizie, bambini che giocavano mentre padri o madri rimorchiavano, tradimenti a quantità e chi più ne ha più ne metta. Qualche volta mi appuntavo qualcosa, solo per non poter dimenticare.

In realtà, questa mia strana mania – osservare la gente e appuntare cose su un taccuino – era solo per poter colmare quel vuoto che avevo dentro da tre anni. Mi sentivo solaterribilmente sola.

Mio padre aveva avuto un incidente e aveva lasciato me e mia madre a compatire la sua morte. Dopo il periodo buio e difficile, causato dalla sua mancanza, arrivò quello ancora più complicato. Mia madre dovette accettare lavori fuori casa per poter affrontare le spese quotidiane, con un solo stipendio era tutto più difficile.

Ecco, andare al parco mi faceva sentire più vicina a mio padre e quando il vento tirava forte e sbatteva prepotente sugli alberi, mi sembrava di poter sentire la sua voce che mi diceva di stare tranquilla, lui mi avrebbe protetta sempre e un giorno le cose sarebbero migliorate. Forse tutto ciò lo sognavo, ma a quelle parole di vento io ci credevo e non aspettavo altro che quel fatidico giorno arrivasse. 

Il sole stava tramontando e di malavoglia mi alzai e mi incamminai verso il tragitto che mi avrebbe portata dritto a casa . Mia madre sarebbe tornata da un momento all'altro e io approfittavo sempre per poterle preparare la cena e poi ricevere i suoi complimenti che mi scaldavano il cuore. Avevo diciassette anni, ero grande per lei, ma avevo ancora bisogno di tanto affetto.

Il cielo si stava pian piano oscurando e io camminavo veloce, stringendomi nel giubbino rosa. Le luci della cittadina iniziarono ad accendersi e tutto divenne un miscuglio di colori, caldi e aranciati dei lampioni e scuri e bluastri dei palazzi e delle strade in tardo pomeriggio.

Arrivai al pianerottolo del grande edificio dove abitavo e salii le scale; il mio appartamento si trovava al terzo piano. Quando aprì la porta, un’ondata di calore mi pervase. Mamma aveva lasciato il camino accesso e anche se in quel momento della legna fosse rimasta solo cenere incandescente, il piccolo salotto aveva mantenuto il calore.

Cucinai qualcosa di veloce e aspettai mia madre seduta di fronte al camino. Stava facendo più tardi, solitamente rientrava per le cinque e mezza di sera. Erano le sei e un quarto.

Mia madre era una donna semplice e dolce, non era mai stata un tipo debole ma dalla morte di mio padre era diventata ancora più forte. Lavorava come segretaria e assistente per un avvocato, un uomo che pian piano era diventato suo amico e che, per quanto ne potessi sapere, voleva da lei qualcosa di più che una semplice amicizia.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 06, 2013 ⏰

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