Prologo

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Jared bevve ancora un sorso del costosissimo champagne che stava dividendo con gli amici e guardò uno dei ragazzi coperti solo da glitter e uno striminzito slip dorato, che si muoveva al ritmo della musica. Il tipo si accorse di essere sotto osservazione e gli sorrise, continuando a ballare, ma solo a suo beneficio.

«Tu odi i glitter» disse l'amica seduta al suo fianco, rendendosi conto dello scambio tra i due.

«È vero, ma mi piace quel rigonfiamento sotto al costumino» rispose, finendo con un solo sorso il liquido dorato che ancora aveva nella flûte. «Dammi un preservativo» aggiunse guardando l'altra, la quale frugò immediatamente nella pochette da ventimila dollari e ne trasse un condom. Jared lo afferrò, per poi alzarsi e raggiungere il dio greco glitterato. Si avvicinò al cubo sul quale era issato e lo guardò dal basso umettandosi le labbra. Il tipo lo guardò continuando a muoversi e Jared gli fece cenno di abbassarsi; il ragazzo eseguì accosciandosi di fronte a lui.

«Andiamo» gli disse semplicemente in un orecchio.

L'altro lo guardò accennando un sorriso malizioso. «Non posso lasciare il mio posto, verrei licenziato.»

«Il proprietario è mio amico, non ti licenzierà» ribatté sorridendogli.

A quel punto il ragazzo scese dal cubo e lo seguì facendosi largo nella calca. Giunti a una porta nascosta, Jared la aprì e vi entrò, per poi chiuderla a chiave. Era poco più di uno stanzino, arredato solo con una poltrona, un tavolino e una sedia. Una lampadina fioca pendeva dal soffitto.

«Mi sono sempre chiesto cosa ci fosse dietro questa porta» disse il ballerino.

«Ora lo sai. Infilati questo» ordinò Jared lanciandogli il condom che l'altro afferrò al volo.

«Niente preliminari?»

«Non è un appuntamento romantico, ma una sveltina, quindi muoviti» lo esortò aprendo i pantaloni.

Il ragazzo fece come gli era stato detto e in men che non si dica Jared si ritrovò piegato a novanta sul tavolo, mentre veniva scopato rudemente.

***

Jared salutò i chiassosi amici, poi scese dalla limousine che avevano utilizzato per spostarsi tutta la notte da un locale all'altro di New York. Era l'alba, faceva freddo e il culo era indolenzito: il dio greco glitterato non ci era andato piano... ok, neanche il barman del terzo locale in cui erano stati si era contenuto. Nell'insieme era stata una serata divertente e appagante. Ora aveva bisogno di fare una doccia calda, poi avrebbe dormito fino all'ora di pranzo per incontrarsi con alcuni amici e in seguito sarebbero andati nella loro SPA preferita per cancellare i bagordi della notte appena trascorsa. Salì le scale di pietra che conducevano al palazzo di proprietà della sua famiglia e il portone si aprì prima ancora che fosse in cima. Sulla soglia comparve il maggiordomo che serviva suo padre e sua madre fin dal loro primo giorno di matrimonio.

«Buongiorno, signorino Jared» lo salutò impeccabile.

«Buongiorno Zachary» rispose passandogli accanto e rivolgendogli un sorriso amichevole.

«Signorino, suo padre la attende nella sala da pranzo» aggiunse il domestico fermandolo sul primo gradino della maestosa scalinata di marmo che portava al primo piano.

Jared lo guardò accigliato. «Mio padre? Perché?»

«Questo non lo so, signorino.»

Il giovane ristette qualche secondo, dopodiché attraversò il grande atrio sul quale pendeva un enorme e lucente lampadario di cristallo, esattamente al centro di un mosaico finemente lavorato, rappresentante foglie e fiori. Infine percorse un breve corridoio ed entrò nella sala da pranzo, dove seduto al lungo tavolo di cristallo e ferro battuto, se ne stava seduto suo padre, a consumare la colazione, leggendo le pagine finanziarie di ogni giornale importante del paese. L'uomo era già perfettamente vestito per andare al lavoro, doveva soltanto infilare la giacca. I capelli color argento erano ben pettinati e i baffi dello stesso colore curati quasi maniacalmente.

«Buongiorno papà» palesò la propria presenza, Jared.

Charles Lehman III alzò gli occhi azzurri in quelli dello stesso colore del figlio minore. «Buongiorno caro, rientri adesso?»

«Sì... perdo la cognizione del tempo quando sono con i miei amici» rispose accennando un sorriso.

«Siediti qui accanto a me, dobbiamo parlare.»

«Non potremmo farlo stasera a cena? Sono un po' stanco e...»

«Sono in partenza per Tokio e starò via una settimana, ho bisogno di parlarti adesso» insistette il padre con il suo solito tono gentile.

«Ok» mormorò Jared andando a sedersi alla sua sinistra.

Charles se ne stava come sempre a capotavola. Prese un piatto sul quale erano poggiati dei muffin e lo porse al figlio. «Prendine uno, sono i tuoi preferiti» gli sorrise.

Il figlio non se lo fece ripetere e afferrò un dolcetto ai mirtilli: andava pazzo per quelli che faceva la loro cuoca Agnese, nessuno li sapeva fare come lei! Ne prese subito un morso ritrovandosi con il Paradiso in bocca.

«Jared, non puoi andare avanti così» disse il padre attirandone di nuovo l'attenzione.

«Che vuoi dire?» si accigliò il giovane con la bocca ancora mezza piena.

«Stai per compiere venticinque anni e trascorri le tue giornate tra locali notturni, shopping, SPA, viaggi con lo yacht, o in giro per il mondo. Ti voglio bene figliolo, ma credo tu non conosca il vero valore del denaro.»

«Lo conosco benissimo, invece! Mi sembra io sappia gestire perfettamente il mio conto, non ti ho mai chiesto denaro extra.»

«Jared, io parlo del fatto di spendere il denaro che si è guadagnato lavorando... come fanno tuo fratello e tua sorella, per esempio.»

«Perché tutto a un tratto mi parli di lavoro? In venticinque anni ti viene in mente solo adesso?»

«No, ci penso da molto. Prima ho lasciato andare perché eri uno studente brillante, poi perché pensavo fosse solo una fase, ma adesso ho capito che semplicemente ti piace solo divertirti, senza alcuna responsabilità. E questa cosa non va bene, capisci?»

Jared sospirò poggiando l'avanzo di muffin nel piatto che aveva di fronte: improvvisamente non gli andava più. «Ok, capisco» disse fissando il dolcetto, per poi alzare gli occhi in quelli del padre. «In quale delle tue aziende mi metterai?» domandò rassegnato.

«In nessuna» fu la risposta che lo lasciò confuso.

«Vuol dire che hai chiesto a uno dei tuoi amici di prendermi a lavorare?»

«Neanche. Ti darò mille dollari, prenderai una solaborsa dei tuoi abiti e lascerai questa casa entro oggi. È ora che dimostri ame, a tua madre, ma soprattutto a te stesso, che sei un ragazzo in gamba chepuò cavarsela anche da solo.»

FALL OF A PRINCEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora