IL FIORE CON LE PICCOLE FOGLIE - Racconto Breve

Per tre anni al Oceanside High School di Rockland ho visto sempre le stesse facce. Pensai fosse un sogno. Quella ragazza... non ricordo di averne mai incontrato una più bella. I capelli neri mossi, occhi a mandorla, il naso piccolo e all'insù, labbra carnose.

«Ciao a tutti, io sono Raurii. Ho origini tahitiane, ma vengo da Los Angeles. Sono felice di conoscervi!» 

La voce più dolce che abbia mai udito.Si sedette accanto a me, sorrise impacciata. Non disse una parola. Stetti in silenzio. Per giorni non riuscii a parlarle.

«Psst. Ehi, Joey, siamo compagni di banco da più di una settimana, mi parlerai prima o poi?», mi sussurrò.

«Sì, scusami». 

La mia voce tremò imbarazzata.

«Finalmente! Fai qualcosa dopo la scuola?» 

Accennò una risata. Ero nel panico.

«No».

«Ti va di fare un giro insieme?»

Non credevo alle mie orecchie.

«Certo, va bene subito dopo la scuola?»

«Andata!».

Un sogno. Dopo la scuola andammo al molo, chiacchierammo fino al tramonto. Mi raccontò di Los Angeles. Era buffo, perché più parlava del sole e più faceva freddo. Aveva il naso rosso.

«Ti posso chiedere una cosa?»

«Non ho fatto altro che parlare, scusami».

L'avrei ascoltata per giorni.

«Oh no, mi piace ascoltarti. Volevo chiederti se il tuo nome avesse un significato particolare».

«Significa "i fiori con le piccole foglie". Mia madre, prima... di... mi raccontava che mio padre le portava delle foglie durante la gravidanza. Solo foglie, perché, come diceva lui, il fiore era lei».

Le presi la mano.

«È stupendo».

Lei mi sorrise. Adoravo quel sorriso. Tornai a casa. Mio padre mi aspettava sbronzo.

«Dove cazzo eri?»

«Ero con un amico». 

Mi diede uno schiaffo. L'anello d'oro con la croce era sempre più pesante.

«Non me ne frega un cazzo, finché vivi a mie spese, non fai un passo senza il mio permesso. E ti ho detto di chiamarmi signore. Okay?»

Lo odiavo. Odiavo chiamarlo così.

«Ah, comunque, è arrivata una nuova famiglia in paese, da Los Angeles. Stanne alla larga, la California è la dimora di Satana, che non si avvicinino alla mia Chiesa».

 Aggiunse, mentre andavo in camera mia. Mi chiusi dentro. Anche con le cuffiette riuscivo a sentire i suoi discorsi bigotti fatti alla bottiglia. Lo vidi, poi, uscire in auto. Non riuscii a prender sonno. Un mix di ansia e farfalle nello stomaco. Raurii, non facevo che proiettarla nella mia mente. Chiudendo gli occhi, riuscivo a sentirla accanto a me. Fissai il soffitto, con la sua voce a cantare nella mente. A scuola, ero impacciato nel rivederla. Notai che era spenta, non sorrideva. Mi vide e mi abbracciò. Piangeva.

«Ehi, sono qui. Che c'è?» 

Mi guardò dritto negli occhi. Ho visto il vuoto.

«Sono... stata... v... violentata... s... stanotte».

Mi si gelò il sangue.

«Oh, mio Dio... Chi è stato?»

Lei continuava a piangere. Ero pietrificato.

«Non lo so... c'era poca luce, stavo tornando a casa. Aveva un cappuccio. Mi ha buttata a terra. È stato impossibile fermarlo. Io... io... ero... verg...»

Non riuscivo a parlare.

«Ricordo solo che aveva un anello d'oro con una croce...»

Mi crollò il mondo addosso. Avremmo potuto denunciarlo, ma a Rockland quel bastardo era rispettato da tutti. Due contro una città. Ero pieno di ira. Lo avrei ammazzato. La sera, a casa, lui era sbronzo, addormentato sul divano. Presi un coltello. Lo appoggiai alla sua gola. Esitai. Mi venne in mente Raurii. La vendetta mi avrebbe impedito di rivederla. Capii di essermi innamorato. La morte lo avrebbe salvato. Io volevo che soffrisse. Chiamai il 911. Non mi interessò di non essere ascoltato. Raccontai tutto: Raurii, le violenze domestiche. Mi credettero. Era impossibile non farlo, davanti alle numerose cicatrici sul mio corpo, e al sangue sui vestiti di Raurii. Non potei dimenticare l'odio negli occhi di mio padre quando lo caricarono sulla volante. Non mi fece più paura, perché avevo il fiore con le piccole foglie accanto.

FINE