prologo

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La vecchia televisione faceva brutti scherzi. Era un modello antico, chissà da quanto tempo era sopra quel mobile a prendere la polvere. Come la maggior parte delle televisioni dello scorso secolo, era molto piccola, al massimo trenta centimetri di lunghezza, forse una quindicina di altezza. Lo strato di polvere e di segatura sopra di essa raggiungeva il centimetro abbondantemente e il tavolo su cui era poggiata stava a stento in piedi. L'infisso era in  mogano, spesso e resistente, eppure sembrava sul punto di cedere sotto il peso perenne di quell'affare quasi inutile. Il pavimento scricchiolava pericolosamente e lei si rese conto che le assi erano quasi tutte marce, si chiese se avrebbero retto per il tempo necessario. Andò in cerca del telecomando, forse neppure c'era. Una poltrona verde e sfondata si trovava al centro della stanza, posizionata in modo da poter sedersi e vedere la tv. La toccò, la stoffa era dura, scomoda, lo schienale era a pezzi, ricoperto da graffi e da tagli profondi, il sedile aveva sopra una coperta di detriti e di oggetti dimenticati: una spazzola spezzata in due, una pistola deformata, delle pile non più funzionanti, qualche vecchio registro le cui pagine erano state ingiallite dal tempo e le scritte quasi non più visibili. Lo prese in mano, era relativamente pesante. Soffiò sopra la copertina ed essa si schiarì, lasciando posto a un colore rosso porpora. Tossì nel sentire la polvere che si faceva spazio nei suoi polmoni. Cautamente, sfogliò le sottili pagine. C'erano impresse parole con un'inchiostro scuro, fotografie in bianco e nero e disegnini sui bordi, persino un vecchio francobollo aveva il suo spazio su quella vecchia carta. Girò qualche pagina maldestramente e una minuta fotografia senza colori cadde a terra come fanno le foglie in autunno scivolando via dai rami degli alberi. Non si prese la briga di raccoglierla e si sforzò di ricordare: non era un registro, era un diario. La calligrafia era la stessa di quella di lui, era il suo diario. Come era arrivato lì? Chi ce l'aveva messo? 

Passò il dito tra quelle lettere, il dolore la pervase come se fosse nelle sue vene. Dopo tanti anni, pensare al passato faceva ancora male, come se l'avessero trafitta con una spada la cui lama era stata immersa nel veleno e l'avessero lasciata li a morire, nel suo dolore, nelle menzogne di altri e nelle sue paure. Voltò la pagina, c'era un volto impresso in una fotografia in bianco e nero, un volto che una volta aveva conosciuto bene. Un volto che aveva perso e che non sarebbe più tornato indietro, un volto che non avrebbe più rivisto. Sospirò e mise giù il diario, non voleva più vederlo, non voleva più toccarlo. Per anni aveva tentato di dimenticare il passato e per un breve periodo c'era pure riuscita. Come avevano fatto dei pezzi di carta a riportare in superficie così tante emozioni, così tanto dolore, così tante insicurezze? 

Non aveva importanza, non ora che erano così vicini a riuscirci: dopo anni avevano di nuovo la possibilità di riportarli indietro, tutti quanti. Era la loro occasione, forse l'unica occasione che avrebbero mai avuto: non potevano fallire e per farlo non potevano, non dovevano lasciare che le emozioni interferissero con il loro lavoro. Quattro anni prima avevano sbagliato, avevano rischiato troppo e avevano perso tre di loro, non potevano fallire di nuovo.

Lei non avrebbe fallito. 

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