La mia ombra

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Il cuore conferma,

il sangue prosegue,

il respiro vibra.

«Dove finisce il tuo sogno?» chiese l'ombra.

Sospiri lievi disegnano nuvole di vapore,

il calore si espande,

siamo su di un batuffolo di cotone.

«Dove inizia il nostro dolore» risposi.

La luna disegnava le sinuose forme delle colline che si stagliavano davanti ai miei occhi.

Me ne stavo distesa sull'erba fresca di rugiada che gocciolava dopo una giornata caratterizzata da una pioggia lenta ma costante. Nel tardo pomeriggio il vento aveva spinto a est le nuvole scure e gonfie, liberando il cielo agli occhi di chi si fosse soffermato ad ammirarlo.

Io amavo l'odore della pioggia misto a quello dell'erba bagnata; sentire gli steli solleticarmi le dita e percepire un brivido di freddo non troppo intenso lungo la schiena erano per me dei toccasana. Mi permettevano di schiarire la mente dai pensieri nebulosi che non mi permettevano di vedere oltre ciò dove la mia malattia voleva rendermi cieca.

Quindi aprivo gli occhi, verso la luna e le stelle, e inspiravo a pieni polmoni, trattenendo poi quella boccata di ossigeno fino a quanto potevo e infine emettevo uno sbuffo rumoroso, per poi ricominciare daccapo. Non volevo pensare a niente, godendomi solo il potere della natura, e come spesso accadeva potevo persino addormentarmi, rischiando di prendermi un malanno. Però quel giorno sarebbe stato differente, non avrei avuto modo di cadere nel mondo dei sogni, perché ciò che vidi mi catturò la mente e il cuore.

Emisi un lento sospiro e poi smisi completamente di respirare. Davanti a me, a debita distanza, seduto e con il corpo delineato dai raggi della luna piena, c'era un enorme cane nero. Se non ci fosse stata la luce lunare non sarei riuscita a vederlo.

Non potevo a muovere un singolo muscolo ma in tanto il battito del cuore accelerava contro la mia volontà, come se volesse dirmi qualcosa. La frase era chiara: "Sei nei guai".

Lui mi osservava, vedevo i suoi occhi luminosi riflettersi nei miei. Eravamo soli, distanti e ci guardavamo. Avevo l'impressione che potesse scrutarmi fin dentro l'anima. Di certo sapeva che avevo paura mentre lui di me non ne aveva neanche un po'. Lo capivo solo guardandolo che era calmo e posato, come in attesa. Dovevo essere io la prima a muovermi perché lui avrebbe aspettato pazientemente anche per ore. Non riuscivo più a trattenere il respiro, quindi soffiai via l'aria svuotando i polmoni per poi riempirli nuovamente. In quel lasso di tempo strinsi i pugni e, strappando dei fili d'erba, mi tirai su in piedi lentamente. Il cane non mosse un muscolo e di risposta alzò solo lo sguardo per scrutarmi meglio. Tra noi c'erano circa quattro metri: troppo pochi per tentare una fuga, visto che mi avrebbe raggiunto in un batter d'occhio. Cominciai a indietreggiare lentamente, senza distogliere lo sguardo, e lui rimase fermo, sempre a guardarmi con quegli occhi colmi di una strana luce. Non si trattava del riflesso dei raggi lunari, piuttosto irradiavano di energia propria.

Mentre indietreggiavo ero così concentrata a fissare il mio sguardo nel suo che inciampai in una radice e caddi all'indietro. Vidi il mondo capovolgersi e finii a terra; cercai subito il cane ma sembrava scomparso e così, prima che potessi anche solo alzare un braccio per difendermi, lui spuntò da destra, nascosto dietro a dei cespugli e mi azzannò alla gola.

Il dolore lancinante mi attraverso il cranio e l'intero corpo. Tutto si tinse di nero.

Un raggio di sole s'infilò nella mia stanza, passando dalla finestra appena aperta e mi svegliò. Con un sobbalzo mi misi a sedere sul letto, osservandomi intorno, incapace di comprendere appieno l'ambiente che mi circondava. La pelle era ricoperta da uno strato di sudore freddo, non causato dalla pensante calura che aveva sostituito la pioggia del giorno prima. Il cuore martellava nel mio petto come se volesse sfondare la cassa toracica e il respiro mi infiammava i polmoni, che a ritmo inesorabile si riempivano e svuotavano. Ero quasi in procinto di avere un attacco di panico e portai istintivamente le mani alla gola, come per assicurarmi che fosse ancora lì, al suo posto e integra.

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