𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝚅
Il vento. Quella brezza gelida che ti solletica il volto e muove le ciocche dei tuoi capelli lasciandoli liberi di agitarsi in tutte le direzioni. Non senti alcun suono, non hai nessun legame col mondo.
Poi si ode in lontananza un singhiozzo mal celato, il sussurro di una lacrima solitaria che si infrange sul suolo; a essa ne segue un'altra e poi un'altra ancora fino ad alimentare quell'invisibile mare di disperazione che ti porti addosso.
E ti chiedi per l'ennesima volta cosa vuole la vita da te. Qual è il tuo ruolo in quella noiosa e scontata rappresentazione teatrale che tutti mettono in scena. Giri le pagine di quel copione che è la vita, con la consapevolezza che la scena finale sta per arrivare.
Passi le mani sul tuo volto, con i polpastrelli caldi tocchi delicatamente le guance e finalmente incontri le lacrime. È lì che sorridi, è lì che sei felice. Una amara risata sfugge dal tuo inesistente controllo, i singhiozzi aumentano e ormai non riesci più a controllarli.
Ridi, ridi come non hai mai fatto in vita tua perché sai che sarà l'ultima volta. Ridi perché sai che stai per girare l'ultima di quelle pagine ingiallite, sai che le battute sono ormai finite.
Ma allo stesso tempo piangi, i singhiozzi non cessano anche se ci provi disperatamente. E sai anche il perché di tutto questo, è umano piangere davanti la morte.
Questo però ti fa riflettere, perché tu non sei umano. Non lo sei mai stato, non sei mai stato parte di quel mondo inscenato e scritto meticolosamente in quel copione.
È per quello che piangi tu, piangi e tremi per la disperazione quando alla fine di quei fogli non trovi la tua morte. Quando capisci che quei fogli non hanno una fine.
E ogni volta hai sempre la stessa reazione. Rabbia, tristezza, gioia, sgomento. Tutte insieme, nessuna emozione prevale sull'altra come nessun tratto del tuo carattere prevale sugli altri.
Sei un guscio vuoto che non può più essere riempito, delle mura spoglie che non possono più essere chiamate casa. È per questo che ti hanno abbandonato tutti, lo sai.
Passi distrattamente le mani sulle bende candide che ti circondano i polsi e tracci delle linee immaginarie che sai già cosa vanno a rappresentare. Ogni piccola cicatrice sulla tua pelle, ogni segno rosso cremisi guarito dal tempo.
Sono tutti impressi nella tua mente, ben visibili quando chiudi gli occhi e cerchi di non pensare. E ti porti dietro quei ricordi, di un giorno come tutti gli altri passato ad ammirare distrattamente il sangue che sgorgava dalle tue braccia.
Posso immaginarle le tue labbra che si incurvano nel solito sorriso che mostra la tua indifferenza verso il mondo. È il tuo sorriso che non riesco a smettere di guardare, sono i tuoi occhi le mie più grandi catene.
Hai continuato a trascinarmi verso quel maledetto oblio che tu stesso hai creato, dal quale sei incondizionatamente attratto. E io mi sentivo come una vittima nella tana della propria preda, ma non avevo paura di essere mangiato.
È questa la cosa che non sopporto di te Osamu Dazai, quella consapevolezza che ti affiderei la mia stessa vita con la certezza che in mano tua verrà distrutta. Come hai distrutto tutto il resto, senza nemmeno ripensarci. Come hai distrutto il mio cuore, qualche minuto dopo averlo preso tra le mani.
Perché è questa la cosa peggiore di te Dazai, che non temi il tempo perché semplicemente non ne fai parte. Come non fai parte della mia vita nonostante mi illuda del contrario.
E sento sempre il sapore delle tue labbra sulle mie, il peso delle tue mani sui miei fianchi e la sensazione dei tuoi occhi che scrutano il mio corpo come se fosse qualcosa che non riesci a capire.
E tu capisci tutto Dazai, sai anche troppe cose. Ne sono testimoni i pomeriggi passati ad ascoltare le tue inutili teorie filosofiche che mi catapultavano in un mondo fatto solo per noi due. Ti credevo umano in quel mondo, ma facevo l'innamorato con i sogni sbagliati.
Poi arriva il momento in cui vai via, cala la notte e tu proprio come un gatto randagio riprendi il tuo cammino e ti disperdi chissà dove. Sento in lontananza i tuoi miagolii rivolti alla luna, sono uno sciocco quando spero di poter essere io la tua luna.
E anche adesso sei qui Dazai, il vento smuove i tuoi capelli e le tue gambe dondolano nel vuoto di Yokohama. Ora comprendo perché ti piace tanto questa città, Yokohama non ha tempo ne spazio. Yokohama è immortale proprio come la tua essenza.
E i posteri sentiranno i tuoi sussurri nel vento e il tuo buio eterno nel freddo pungente della neve. Io sentirò il calore delle tue labbra nei sottili raggi di sole ma non avrò mai solo per me il tuo amore.
Non so neanche se quello esiste. Io, Nakahara Chūya, non so nulla di te. Ma spero che almeno tu percepisci il battito accelerato del mio cuore quando ti sto accanto e la luce nei miei occhi che cercano disperatamente i tuoi. E forse mi stupirai ancora una volta...forse, per una notte, m-
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Qualcuno gli strappò con ben poca grazia il foglio delle mani e Chūya riconobbe presto la familiare risata di Osamu Dazai che, in piedi dietro di lui, leggeva con curiosità le parole scritte su quel misero pezzo di carta.Inutile dire che il rosso gli rivolse un'occhiataccia e cercò disperatamente di riprendersi il foglio, Dazai con un sorrisetto di sfida sul volto alzò il braccio impedendo a Chūya di raggiungere il suo obbiettivo.
Per l'ennesima volta la differenza di altezza tra i due era ben visibile ma il rosso riuscì velocemente a rimediare, tirò un pugno nello stomaco al più alto e si riprese il foglio mentre l'altro si abbassava dolorante con una mano sul punto ferito.
«Sei sempre così dolce ChuChu...» borbottò con voce dolorante e il tipico sorrisetto sul volto, ma Chūya stavolta lo ignorò e si infilò velocemente il foglio in tasca. Se ne pentiva di aver scritto tutte quelle cose, ma non immaginava che Dazai lo stesse osservando.
Fino a qualche minuto prima il castano era sdraiato a terra, sul tetto di quel palazzo che ormai era il loro posto speciale, aveva le mani incrociate dietro la testa e gli occhi chiusi. Ovviamente non stava dormendo.
Chūya poté solo sperare che non avesse letto troppo e fu quella la sua silenziosa domanda quando si girò verso di lui. Dazai in tutta risposta scrollò le spalle e si avvicinò a lui, prendendogli poi il volto con una mano per costringerlo a guardarlo.
«Ti sembro forse un gatto Chūya-kun?Miao.» chiese divertito e il rosso dovette usare tutta la sua forza di volontà per non arrossire. «In questo momento sei solo un idiota, ora mollami!» esclamò esasperato per poi spingerlo via.
Un'altra risata, stavolta più cristallina della precedente. Venne affiancata da un sorriso un po' imbarazzato di Chūya che poi si avvicinò a lui e gli porse la mano «Torniamo a casa Dazai, è tardi ormai...»
Una richiesta che aveva più significati di quanto si aspettassero, perché anche stavolta sarebbero tornati entrambi alle loro vite. Ogni volta credevano che sarebbe stata l'ultima, ogni volta speravano in un cambiamento, ma Dazai semplicemente evitava di pensarci e Chūya preferiva soffrire in silenzio.
Un alone rosso ricoprì entrambi quando Dazai prese la mano del più basso che automaticamente attivò il suo potere. Poi scesero e dovettero separarsi, si salutarono con un veloce bacio sulle labbra che comunicava tutto e niente.
Si sarebbero rivisti chissà quando, sempre su quel tetto di un palazzo desolato e distrutto dal tempo. Ma loro non lo temevano il tempo, perché non ne facevano parte.
Chūya poi tornò a casa, si chiuse nella sua stanza e finalmente riprese il foglio dalla sua tasca. Finì di scrivere e guardò con un sorriso speranzoso quel "mi renderai la tua luna".
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E siamo giunti alla fine come vi avevo già annunciato nel primo capitolo, beh che dire...spero che questa storia vi abbia incuriosito nonostante la sua banalità. Ci vediamo alla prossima storia e, se vi va, fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate!
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𝑳𝒐𝒓𝒐 𝒏𝒐𝒏 𝒕𝒆𝒎𝒐𝒏𝒐 𝒊𝒍 𝒕𝒆𝒎𝒑𝒐 •𝐒𝐨𝐮𝐤𝐨𝐤𝐮•
FanfictionOsamu Dazai e Chūya Nakahara vivono nello stesso mondo, un mondo tormentato dalla sola presenza di entrambi. Si incontrano di rado, si amano in silenzio e spesso non ne capiscono neanche il motivo, ma sanno che quei fugaci sentimenti saranno eterni...