Ostasio da' Polenta si dimostrò fin da subito gentile e ospitale. Fece strada personalmente ai due fratelli attraverso i lunghi corridoi del Palazzo e li condusse nella sala da pranzo. Ordinò a due servi di preparare velocemente del cibo per permettere loro di rifocillarsi e poi li fece accomodare su un largo divano in pelle. Cosimo e Lorenzo erano tesi ma cercavano di nasconderlo. “Allora, miei cari. Non possiamo certo definirci vecchi amici, ma le antiche discordie fanno ormai parte del passato così come ho in modo signorile scelto di ignorare il tono poco galante con il quale vi siete rivolti ai miei uomini poc'anzi e il fatto che vi siate presentati in un orario poco consono a casa mia senza alcun preavviso. Tutto ciò in nome della pace e della diplomazia. Ora però, siate così cortesi da espormi le motivazioni che vi hanno condotti personalmente nella mia bellissima città. Ve ne prego.” Li interrogò il signore di Ravenna. Lorenzo fece un lungo respiro e aprì la bocca ma il fratello maggiore lo fermò appena in tempo stringendogli una mano sul braccio e fulminandolo con lo sguardo. A Ostasio, che era sinceramente stupito dalla visita, non sfuggì quello scambio. “Sarò diretto. La mia famiglia è tenuta in scacco da qualcuno che la minaccia e che afferma di volerci uccidere tutti al solo scopo di potersi appropriare della mia consorte, Andrada de' Medici nata Albizzi, come se fosse un oggetto. Voi ne sapete qualcosa?” Cosimo parlò tutto d'un fiato. Le espressioni che si susseguirono sul volto del da' Polenta furono sorpresa, paura, stupore e rabbia. Ai Medici apparvero in tutta la loro spontaneità. “Un momento. Voi due siete venuti fino a qui per accusarmi senza mezzi termini di essere il mandante degli eventi infausti che stanno capitando alla vostra famiglia? E' giunta notizia fino a Ravenna degli attacchi ai Medici e io...mio caro Cosimo, non vi nascondo che vi ritengo un uomo fortunato, avete sposato la più bella nobildonna fiorentina e certamente sarebbe stato un ricco e prezioso bottino di guerra se avessimo vinto noi, ma sono una persona rispettabile, io. Mai e poi mai mi impadronirei della moglie di un altro, pur di un nemico, né tantomeno minaccerei di morte in modo così meschino un'intera famiglia, comprendente anche dei bambini.” Disse, con veemenza, Ostasio. Poi si alzò in piedi, visibilmente più agguerrito. “Come osate accusarmi di una simile cattiveria, senza la minima prova? Avevo pensato di offrirvi il mio aiuto in questa oscena situazione che vi coinvolge, sono onesto, ma dopo le vostre parole voglio che vi allontaniate immediatamente da casa mia e che non vi avviciniate più alla mia città neanche per errore!” Gridò. Lorenzo, al sentir dire che sua sorella sarebbe stata un “ricco e prezioso bottino di guerra”, alla stregua di una Briseide qualsiasi, aveva portato la mano alla cinta istintivamente, salvo rendersi poi conto che era stato costretto a lasciare la spada all'ingresso. Cosimo, più misurato, aveva ingoiato la bile. Se c'era un momento in cui erano completamente vulnerabili e disarmati era proprio quello. “Siamo dei morti che camminano” continuarono a ripetersi fino a quando non furono condotti all'ingresso da due inservienti. Sulla via di ritorno per Firenze, non dissero una parola né si scambiarono opinioni su quelle che erano le loro impressioni. Si resero conto di essere vivi solo quando il vento notturno scompigliò loro i capelli e il freddo di metà Dicembre penetrò loro nelle ossa.
L'idea di trascorrere il Natale a Venezia, lontana dagli obblighi istituzionali che le avrebbero impedito di goderselo a pieno, cominciava a piacere a Selene. Insieme a Sofia, Arianna, Rosa e Ginevra aveva cominciato a decorare Palazzo Thibault in ogni suo angolo libero e sembrava che finalmente la serenità avesse ricominciato ad albergare nel suo animo. Andrada sapeva però che era solo apparenza e avrebbe fatto qualsiasi cosa per risolvere la situazione stagnante che da troppe settimane ormai le ingabbiava. Se Selene sembrava essersi abituata al nuovo stile di vita infatti, la moglie di Cosimo no. Era sempre più triste e suo marito le mancava sempre di più, senza contare che era preoccupata per lui e per Lorenzo e che non riusciva più a trovare le parole per colmare il vuoto che la loro assenza aveva creato nei bambini. Si era ripromessa che non avrebbe accennato di nuovo con sua sorella all'argomento “Lorenzo” ma l'idea che la bellissima coppia formata dalle due persone a cui teneva di più al mondo dopo Cosimo e i suoi figli potesse sgretolarsi la faceva stare davvero male. “Andrada!” La voce di Cristian la distolse da quei tristi pensieri. “Zio Cristian!” La ragazza era sinceramente felice di vederlo. L'unica nota positiva del soggiorno forzato a Palazzo Thibault per lei era proprio quella di poter trascorrere con lui e con la cugina Sofia più tempo di quanto non fosse mai accaduto in passato. “Vieni a sederti qui vicino a me!” Le disse. L'inglese stava intagliando un oggetto in legno con un coltellino, completamente sprofondato sul prato e incurante del fatto che l'erba fosse umida, con solo la schiena appoggiata ad un muretto in pietra. La giovane sorrise e si sedette, nonostante non fosse proprio il massimo della comodità, sul muretto. “Mi perdonerai se non...prendo posto anche io sull'erba ma non vorrei mi si sporcasse l'abito...” Cristian rise, continuando nella sua attività e senza alzare lo sguardo. “Non ci siamo visti per anni mia cara, ma ti conosco. Sei migliorata sposando Cosimo de' Medici ma rimani comunque la mia nipotina vanitosa!” Esclamò. Andrada strabuzzò gli occhi ma decise che non era il caso di fare una scenata per una battuta innocente all'uomo che stava contribuendo a salvare la vita a lei e alla sua famiglia. “Cosa stai facendo?” Gli chiese per cambiare discorso. Thibault si decise a mostrarle ciò che aveva in mano. Non era un oggetto finito perciò presentava delle imprecisioni ma era abbastanza riconoscibile: si trattava di un soldatino a cavallo. “Me l'ha chiesto Francesco, tuo nipote. Mi sarebbe piaciuto avere un erede maschio...” Disse. Andrada lo guardò per qualche secondo senza dire niente. “Zio...non affezionarti troppo a quei bambini. Prima o poi torneremo a Firenze. Loro non sono...non sono figli tuoi. Hanno un padre.” Si rese conto troppo tardi di quanto fosse eccessivamente e inutilmente brutale quell'ultima parte della sua frase. Cristian finalmente alzò gli occhi e li piantò in quelli della Medici. “Lo so, Andrada. Non voglio diventare il padre di nessuno. Sono il primo a sperare che i tuoi figli e i tuoi nipoti possano tornare a casa. Fin quando resterete qui però, voglio aiutarvi e non solo offrendovi un tetto e del cibo.” Sentenziò. La moglie di Cosimo non avrebbe voluto girare il dito nella piaga, ma ormai era nell'arena e non sarebbe stato da lei abbandonare il gioco. “Zio...con me non hai bisogno di fingere. Tu vuoi accattivarti l'affetto dei miei nipoti per fare breccia nel cuore della madre. Io lo dico per te, come te l'ho già detto. Non hai speranza e affezionandoti a Lorenzo, Francesco, Rosa e Ginevra non farai altro che soffrire doppiamente quando ce ne andremo. Selene ti vuole bene, davvero. Per questo ti dico non farle vedere quanto tu ci stai male, se la ami davvero. Le procureresti solo ulteriore dolore.” Nel pronunciare quelle parole aveva appoggiato una mano sulla spalla dell'uomo. Cristian non disse nulla e continuò ad intagliare il legno. Andrada si aspettava una risposta ma, non ottenendola, tolse la mano e sospirò. In quel momento si sentirono delle risate provenire da poco distante. La donna si voltò a guardare e individuò, fra gli alberi spogli, Selene e Tancredi. Alzò gli occhi al cielo e sbuffò. Era stufa, era stufa di tutto. Furono le parole inaspettate di suo zio a farle spalancare gli occhi per la seconda volta in poco tempo. “Stanno legando, quei due. Ne sono così felice...Dio solo sa quanto entrambi se lo meritino.” Disse infatti l'inglese. La moglie di Lorenzo e la guardia personale che Thibault aveva procurato alle sue due ospiti si tenevano sottobraccio e passeggiavano chiacchierando allegramente. All'improvviso, un refolo di vento freddo sollevò un fiocco di neve da un albero sul quale era depositato e lo fece atterrare esattamente sul naso di Selene. Tancredi glielo tolse ma, nel farlo, le bagnò tutto il volto. In pochi secondi si ritrovarono a lanciarsi palle di neve e a rincorrersi, ridendo come bambini. Andrada aveva la bocca spalancata e non riusciva a serrare la mascella. Non comprendeva. “Zio...ma...cosa...come...non ti rendi conto che quel Tancredi Cappelli stravede anche lui per mia sorella? Perchè fai il tifo per loro se poi ne sei innamorato? Io non ci capisco più niente...” riuscì a biascicare. La risata di Thibault la fece sobbalzare. Passarono un paio di minuti buoni nei quali lo zio rideva a crepapelle, quei due si lanciavano neve e lei si sentiva l'unica persona a cui tutta quella situazione non avesse ancora dato alla testa. “Tancredi inn...innamorato di Selene? Oh, mia cara nipotina, quando saprai tutto capirai quanto sia assurda questa supposizione!” Riuscì a dire Cristian. Andrada era ancora più confusa. Si pizzicò il braccio per assicurarsi che quello che stava vivendo non fosse solo un assurdo sogno. “Capire tutto...cosa?” Domandò. L'inglese la fissò con gli occhi pieni di lacrime generate dalle risate ma con l'espressione di chi si è appena reso conto di aver parlato troppo. Non ebbe il tempo di risponderle però, che la piccola Ginevra comparve accanto a loro, tenendo per mano Sofia. “Zia Andrada, vieni a vedere cosa abbiamo costruito, vieni...vieni...” La Medici fu costretta a seguire la figlia dei suoi fratelli, ma non lo fece prima di aver lanciato un'occhiata stanca e interrogativa a Cristian e poi alle figure di Selene e Tancredi.Quando Tancredi Cappelli le aveva goffamente sparso la neve sul volto nel tentativo di toglierle un fiocco dalla punta del naso Selene era scoppiata a ridere. “Sei proprio imbranato!” Aveva detto. Lui aveva assunto una finta espressione offesa. “Senti chi parla!” Era stata la sua battuta. Dopo un attimo si stavano rincorrendo nel grande giardino innevato di Palazzo Thibault lanciandosi cristalli di ghiaccio. La giovane Salviati non si divertiva così tanto da quando tutta quella terribile storia di minacce e pericoli era iniziata. In fondo, veniva da una vita povera e le bastava davvero poco. La sua guardia personale le ricordava sorprendentemente Marco Bello e passare del tempo insieme era semplicemente come fare un tuffo nel passato. Tancredi le somigliava caratterialmente moltissimo: era sensibile come lei, imbranato e dolce. Selene aveva notato in lui una punta di impulsività, che da sempre considerava come anche il suo più grande difetto. Era talmente presa da quel gioco infantile che non si accorse minimamente degli sguardi, rispettivamente innamorato e preoccupato, con cui la osservavano Cristian e Andrada. Una palla di neve più grande delle altre la colpì allo stomaco e lei cadde involontariamente all'indietro, atterrando sulla bianca e soffice distesa. In un attimo Tancredi le fu accanto. Aveva un'aria colpevole e agitata. “Selene...stai, stai bene? Oh...ehm...perdonatemi Madonna de' Medici...” Disse, pulendole l'abito. Lei, nonostante il dolore, rise. Gli porse una mano, coperta e protetta da un guanto in lana. “Tancredi, Tan...credi. Pensavo avessimo superato la fase del “voi”. Comunque non preoccuparti, sto bene anche se...se ho avuto momenti migliori nella mia vita.” Disse, inarcando le labbra all'insù. Lui la aiutò a rialzarsi e continuò a osservarla. La sua inquietudine era esagerata: in fondo le aveva solo lanciato della neve e la donna era già in piedi, ma Cappelli per un attimo dovette trattenere le lacrime. Osservò i suoi profondi occhi verdi e i suoi lunghi capelli scuri. Ora che l'aveva trovata le sarebbe rimasto accanto per tutta la vita, ne era certo.
In foto, Ostasio da' Polenta. Vi fidate di lui?
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I Medici 2
Fiksi PenggemarSono passati dieci anni dal ritorno dei Medici a Firenze e dall'acclamazione di Cosimo come Signore da parte della folla. Le vite di Andrada e Selene sembrano aver finalmente raggiunto un equilibrio e tutto va bene. Ma non è così. Una nuova ma allo...