Capitolo 6: Nihil inimicus quam sibi ipse.

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Nihil inimicus quam sibi ipse è una locuzione latina che significa letteralmente:
"Non vi è niente di più nemico che se stessi."
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Le lancette dell'antico orologio a pendolo del locale sfioravano la mezzanotte, i tavoli si erano quasi totalmente svuotati e i dipendenti avevano cominciato a guardare, con un sincero sentimento d'invidia, quei quattro giovani ragazzi che avevano trascorso l'intera serata a bere, scherzare e ridere.

«Non ho mai picchiato nessuno.»
Quanti giri avevano già fatto, da quando avevano iniziato? 
Potevano essere stati dieci, quindici o venti: nessuno di loro aveva tenuto il conto, nemmeno Akaashi. 
Che l'avesse capito o meno, quella serata si era rivelata divertente anche per lui: il tempo era volato e, se all'inizio aveva sperato che finisse al più presto, adesso aveva addirittura smesso di controllare che ore fossero.

Era persino riuscito a ridere due o tre volte: quando Bokuto aveva raccontato di quella volta in cui era rimasto chiuso nell'ascensore per aver premuto erroneamente il tasto di emergenza, quando avevano ricordato insieme il giorno in cui si erano persi per le strade di Kobe, seguendo coraggiosamente le indicazioni di un sicurissimo Bokuto che, a suo dire, ci era già stato almeno un milione di volte, per poi scoprire che non era stato a Kobe, ma a Kyoto. 

«Vale averlo fatto nella propria mente?»
L'unica nota stonata di quel sabato notte era la manager della Nekoma: in realtà Sawamura Y/N non era stata una compagna poi così malvagia, anzi, a tratti poteva essergli sembrata piacevole e simpatica, ma si sa che quando la prima impressione su una persona è stata negativa, si finisce col vedere tutto ciò che dice o che fa, allo stesso pessimo modo.

«Se valesse davvero saremmo tutti condannati.»
A Kaori era stato categoricamente proibito di toccare o anche solo pensare di bere altro vino quando aveva iniziato ad elencare alcuni dei più sconvolgenti sogni erotici delle sue amiche: Y/N aveva finalmente concordato con Akaashi, sottraendole il calice dalle mani, quando era stata sul punto di raccontare qualcosa anche su di lei.
Da quell'istante in poi la corvina aveva affondato il volto tra le braccia, offesa, ma di tanto in tanto lo risollevava per intervenire nella conversazione.

«Touché.»
Ovviamente la persona che più aveva immaginato di malmenare, da ormai qualche tempo, era sicuramente Kuroo: Y/N afferrò il calice di vino portandoselo alle labbra, brindando mentalmente alla sua capacità di mantenere il lume della ragione.

«Y/N-chan quello è il mio bicchie-»
Quando Bokuto allungò una mano verso di lei, la ragazza si affrettò a tirare giù una lunga sorsata, prima di restituirglielo e sorridergli maliziosamente.

«Una settimana fa stavi per baciarmi e adesso non posso bere dal tuo bicchiere?»
Avrebbe dovuto tacere o, quantomeno, dire qualcos'altro, qualsiasi cosa diversa dalla domanda ironica che gli aveva appena posto: il capitano della Fukurodani spalancò in un primo momento gli occhi gialli, per poi ricambiare il suo sorriso sornione.

Per lui, quella domanda, era stato un motivo di orgoglio: significava che lei si ricordava perfettamente che cosa fosse successo quella notte, le mani di lui che vagavano sul suo corpo tirandolo a sé, i loro volti vicini, le sue labbra vicinissime al collo di lei.
E se Y/N se lo ricordava, voleva dire che ci aveva pensato: questo gli bastava, per il momento.

Per lei, invece, era stata l'ennesima cazzata dettata dall'alcol che, per fortuna o per disgrazia, stava cominciando a fare effetto.

«Non ho mai avuto una relazione seria.»
Col fine di evitare approfondimenti su quell'argomento, la studentessa della Nekoma si affrettò a continuare il gioco anche se, ancora una volta, aveva scelto la cosa sbagliata da dire: perché diavolo si stava esponendo in quel modo? Perché, tutto a un tratto, aveva dovuto tirar fuori una cosa così senza senso? Che cosa stava tentando di dirle, il suo subconscio? 

Omnia vincit amor [BokutoxReader]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora