Capitolo 43

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Uno sconosciuto in casa

Wendy

"A lunedì, capo!" Esulta Corinne sulla soglia della porta in fondo alla mia cucina ancora nuova di zecca con il grande sorriso tirato su un viso stanco morto. Il venerdì sera è sempre così e non ho dubbi che anche sul mio volto si legga la stessa espressione tirata e vogliosa di una lunga dormita. Ma al contrario della mia prima cuoca mai assunta, vivere ogni giorno con grande entusiasmo fra le vene mi aiuta a mostrare meno questo aspetto.

"Guida con prudenza." Dico e seguendo la sua chioma bionda e un piccolo ciuffo azzurro di capelli, che non riesce mai a far stare dentro i suoi epici chignon fatti alla svelta,  uscire da lì e dai miei pensieri "troppo vivaci" per lei. Già, neanche due settimane dopo averla assunta mi ha confessato di non riuscire a stare dietro al mio buono umore. Mi ha raccontato con mille smorfie i rimproveri ricevuti dal suo vecchio capo per i minimi errori che commetteva e di quanto io sia l'esatto opposto. Non posso darle torto, da quando il mio sogno non è mio un sogno ma la realtà non ho motivi per non sorridere, anche a costo di sembrare pazza delle volte, lo faccio e basta. 

Sono passati sei magnifici mesi da quando ci siamo trasferiti in questa città che ho appreso molto velocemente e con mio grande rammarico essere un po' troppo rumorosa. Dovevo aspettarmelo però, è una grande città e le persone hanno sempre fretta. In questi sei mesi abbiamo introdotto nella nostra vita infinite novità fra nuovi conoscenti e amici, ma il più grande scontro che io e Bryan abbiamo dovuto superare e di cui non ne sono ancora molto convinta è il lavoro di quest'ultimo. Appena hanno saputo della sua presenza in città, il dipartimento di polizia della contea, non si è fatto scappare questa opportunità. In nemmeno tre settimane, gli hanno subito offerto di lavorare per loro nell'ufficio delle Special Operations Bureau. Non ho dovuto pensare due volte per dire che non ero assolutamente d'accordo. Avevamo chiaramente deciso che i lavori che mettevano a rischio la sua vita erano da escludere. Ne abbiamo discusso a lungo e quando lui per primo decise di ascoltarmi mi ero sentita in colpa. In fondo si trattava di una sua scelta e non avrei dovuto dettargli come vivere quindi ora siamo lo sbirro e la cuoca del vicinato. Sbuffo mentalmente per il modo in cui la gente ci indentifica mentre mi avvio anche io verso l'uscita. 

Mi manca la mia famiglia e delle volte ho ancora quella traccia di colpevolezza sulla pelle per aver lasciato tutto così di colpo ma non credo che avrò mai il coraggio di tornare indietro. L'ultima volta che ho fatto visita a Charleston è stato tre mesi fa, alla consegna del diploma di mio fratello. Adam però è stato più felice di vedere Bryan che la sottoscritta. Se sono gelosa? Assolutamente no...

Prima di chiudere la porta d'ingresso in stile shabby chic di cui mi ero innamorata appena adocchiata in un negozietto di antiquariato durante un piccolo appuntamento con Bryan, passo gli occhi sui tavoli ben disposti per assicurarmi che tuto sua in ordine. Come al solito i miei occhi finiscono sul quadro appeso con fierezza su una delle pareti. È lo stesso che avevo in camera mia a Charleston e mi ricorda sempre il posto dove sono nati tutti i miei sogni. Sospiro ancora con pensieri di gioia e chiudo a chiave.

Con piccoli passi, raggiungo la mia auto parcheggiata dietro l'angolo del ristorante. Ci ha pensato Bryan a trovarmi questa bellissima Toyota, piccola e pratica, dal momento che con i turni di lavoro di entrambi non avrebbe potuto accompagnarmi a casa. Avevo proposto di prendere la metro ma è stata bocciata subito e ora mi trovo a dover guidare. Tiro fuori le chiavi dalla borsa ma appena sblocco le portiere, uno strano rumore mi fa girare di colpo. Sembrano dei lamenti, delle piccole urla...di un cucciolo. Lancio delle veloci occhiate in giro solo per assicurarmi di non essermi immaginata quel suono ma in mezzo al brusio delle auto che sfrecciano sulla strada a un paio di metri oltre il marciapiede, i lamenti dal suono sottile insistono. Bryan potrebbe arrabbiarsi per quello che sto per fare ma per fortuna non è qui e con passi vacillanti e lenti seguo quei lamenti di un piccolo che non dovrebbe assolutamente stare lì. Accendendo la torcia del cellulare mi inoltro nella stradina fra due edifici troppo alti per i miei gusti e illumino un angolo buio fra due cassonetti, trovando finalmente il proprietario di quel suono. Un minuscolo cucciolo di cane dal pelo castano scuro e luminoso nonostante la sporcizia.  "E tu che ci fai qui?" Parlo con lui pur sapendo che non mi capisca. Non ho mai avuto un animale domestico in tutta la mia vita. Papà era molto allergico al pelo di questi carinissimi esseri ed era davvero un peccato. Esito a toccare a mani nudi quella piccola palla di pelo, non volendo rischiare perciò velocemente ritorno alla mia Toyota e afferro la mia felpa, improvvisando un accogliente posticino per quel piccoletto. Lo prendo fra le braccia con il cuore che sta balzando nel mio petto in una maniera caotica. Che cavolo sto facendo?

La Cerbiatta Innamorata.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora